Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Viva Villa! Come dire: Viva il Messico

Bisogna venire in quest’angolo di New Mexico, che non è più Stati Uniti ma non è ancora l’old Mexico, per capire chi era veramente Doroteo Arango. Un nome che pochi ricordano, perché è famoso per il suo nome di battaglia: Pancho Villa

A cavallo nel palazzo dei ricchi

Zocalo, il Palazzo Nazionale (Foto:visitmexico, Carlos Sanches)
Zocalo, il Palazzo Nazionale (Foto:visitmexico, Carlos Sanches)

Fuori, sullo Zocalo, la gigantesca piazza ombelico e riassunto dell’intero Messico, campesinos e zapatisti incappucciati si mescolano a comitive di turisti, mimi, venditrici di “artesanias”, coppie di innamorati, delegazioni di maestri di provincia intimiditi dalla capitale. Contraddizioni e turbolenze del Messico di oggi impazzano ogni giorno su questa surreale piazza centrale di un villaggio di oltre ventidue milioni di abitanti, per chiedere, vendere, protestare, far sapere al mondo che esistono.
Anche questa è un’eredità del tempo della Rivoluzione, come il buco nel soffitto dorato della non lontana “cantina” La Opera provocato dalle pistolettate di un iracondo Villa, che aveva fatto uno spettacolare ingresso a cavallo in quest’ambiente ovattato di specchiere e lampadari. I più modesti guerriglieri zapatisti, preferivano invece pranzare nella vicina Casa de Azulejos, storica sede del ristorante Sanborn’s.

Ogni amore, un matrimonio

Pancho Villa e Luz Corral
Pancho Villa e Luz Corral

Per ritrovare le tracce degli ultimi anni di Villa bisogna tornare al nord, a Chihuahua, nella casa-museo di Quinta Luz che ospita le memorie del “jefe guerrillero”, raccolte nel tempo da Luz Corral Villa, riconosciuta vedova “oficial” dopo un’estenuante guerra legale con altre diciassette  concorrenti, perché Villa ogni volta che voleva una donna la sposava.
A Quinta Luz, tra cimeli d’ogni genere, c’è anche un manifesto rivelatore del senso pratico di Villa, rivolto a potenziali volontari dagli Stati Uniti. “Gringo, cavalca a sud della frontiera in cerca di oro e di gloria. Pagamenti settimanali in oro a esperti in dinamite, mitraglieri, ferrovieri”.
Ma soprattutto c’è la Dodge nera in cui venne assassinato nel 1923 a Parral, dove si era ritirato a fare il contadino, una vocazione che non convinceva molti, soprattutto il governo centrale che i più sospettarono essere il mandante. La fine di Villa fu all’altezza della sua vita turbolenta, immortalata da trucide leggende nere sulla sorte del suo corpo, tra cui quella secondo cui al cadavere, sostituito con quello di un altro e sepolto in un luogo sconosciuto, avrebbero tagliato la testa per venderla ai gringos.
Così tutto riporta a quella maschera funebre di Columbus e ai misteri che la circondano. Segreti di questo mondo di orizzonti senza confini, dove le idee corrono come il vento che scolpisce i volti e le pietre con la sabbia di un deserto che ognuno può riempire con la propria fantasia e con i propri sogni.

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Porfirio Diaz, l’età d’oro del Messico

Porfirio Diaz
Porfirio Diaz

Aveva iniziato come “insurgente” nei ranghi dell’esercito guerrigliero di Benito Juarez che combatteva i francesi di Napoleoone III, che a loro volta sostenevano il traballante imperatore Massimiliano d’Asburgo. Poi Porfirio Diaz, indio di Oaxaca diventato generale, al potere si era appassionato restandoci per trentacinque anni, salvo un breve periodo in cui, per salvare le apparenze, aveva messo un presidente-fantoccio al suo posto. Gli anni di Don Porfirio furono cruciali per il Messico, che fu protagonista di uno sviluppo economico spettacolare, accompagnato dalla nascita di una rete ferroviaria e dallo sfruttamento sistematico delle ricchezze minerarie.
Tutto questo avvenne però a un prezzo spropositato, con un dominio schiacciante del capitale straniero, soprattutto statunitense e in una condizione di semi-schiavitù di contadini e minatori. Mentre i “rurales”, una feroce polizia che spadroneggiava nelle campagne, mantenevano sanguinosamente l’ordine sociale, la nuova borghesia sfilava in carrozza scimmiottando l’ultima moda parigina. Nel 1910 Don Porfirio poteva celebrare fastosamente il Centenario dell’Indipendenza. Mancavano solo pochi mesi, otto, allo scoppio della prima grande Rivoluzione del Ventesimo Secolo.

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