Martedì 26 Settembre 2023 - Anno XXI

Budapest, tre città in una

Budapest

Gli Ungheresi sono allegri, amanti della libertà, della buona tavola e del buon vino (Tokaj su tutti). La gioia di vivere si esalta anche nelle fattezze femminili: bionde con gli occhi verdi o blu, giovani dal carnato scuro e occhi color cobalto

Il Palazzo del Parlamento sul Danubio
Il Palazzo del Parlamento sul Danubio

Libertà, amore! Voglio queste due cose. Per l’amore sacrifico la vita, per la libertà sacrifico il mio amore. (Sándor Petöfi, 1823-1849)
C’è un “feeling” naturale tra Italiani e Ungheresi, a Budapest.
Andando in giro per la città troviamo piazze e strade intitolate a nostri connazionali: piazza Domenico Martinelli, in pieno centro a Pest, architetto lucchese (1650-1718) che qui ha edificato la chiesa degli Olivetani sul monte Zobor, oppure piazza Capestrano, nell’antica Buda, a ricordo del frate francescano Giovanni da Capestrano, attivo durante l’assedio di Belgrado da parte dei Turchi (giugno 1456) assedio respinto dal Comandante Valacco János Hunyadi. In moltissimi palazzi della città è rimasta l’impronta del genio e dell’arte italiana.

Buda, città “sopra”

Il Ponte delle Catene
Il Ponte delle Catene

“Buda è la collina, Pest la pianura” ripetono con monotonia tutte le guide locali ai turisti, per far capire che questa città ha due anime, due facce, due storie, e che il Ponte delle Catene, che unì le due città per la prima volta nel 1848, è stato il trait d’union di due sponde, ma anche di due culture, di due modi differenti di vivere e di pensare.
Buda la potente. Non a caso su questa collina sono stati costruiti nei secoli, gli uni sugli altri, i monumenti emblema del potere che dominava la città.
Nel medioevo un castello, poi residenza del pascià turco, sontuosa dimora degli Asburgo e infine un grande soldato russo in bronzo che doveva rappresentare, col mitra in mano, la pace e la concordia tra i popoli dell’Est.
Buda la raffinata. Nella quale si arrivava in carrozza attraverso il grande viale voluto dalla principessa Sissi o, ancora oggi, con una funivia – un piccolo lussuoso giocattolino di metà Ottocento – con due vagoni in legno che mentre salgono verso questo paradiso, fanno respirare un’aria di regale nobiltà.
Il Varhegy, il quartiere della fortezza, è un museo open air: nella signorile strada Uri Utca ci sono ancora gli ingressi delle grotte, vere e proprie catacombe magiare, che percorrono per decine di chilometri tutta la collina. Furono riparo sicuro contro turchi e tedeschi, ora sono temperate cantine dove riposano le bottiglie pregiate del biondo Tokaj.

Palazzo Reale
Palazzo Reale

Sempre nella collina di Buda c’è la famosa via degli antiquari: Fortuna Utca, curatissima, precisa nella sua architettura medievale, così essenziale e pura. Anche il grande palazzo dell’Archivio di Stato spicca sul colle con la sua maestosità e riflette, sul tetto di ceramica magiara Zsolnay, il colore della luce bianca dell’attigua chiesa di Mattia.
Il Palazzo Reale fa bella mostra di sé in cima a Buda e ha i cancelli aperti anche di notte. Con la luna magiara si può passeggiare sotto le finestre che furono di Francesco Giuseppe, evocando il fantasma di Maria Teresa d’Austria; non ci sono lucchetti a sbarrare il passo notturno.
Dal Bastione dei Pescatori, Pest e la sua pianura sembrano così distanti, staticamente immobili sotto il peso della piccola collina di Buda.
Ma questa è l’apparenza. Con le prime ombre della notte Pest prende la sua rivincita. Nel colle di Buda, nella Cittadella e nei suoi monumenti la vita si spegne col tramonto e la collina si spopola rapidamente. Si svuotano le vie colorate, le piazze sono deserte e questa grande migrazione giornaliera prende la direzione di Pest.

Pest, città “sotto”

Una città all'insegna del liberty
Una città all’insegna del liberty

Pest l’elegante si è rifatta un make-up da nuovo millennio e ha ritrovato la sua anima “cocotte” dei primi del Novecento. Chi la conosceva e aveva un ricordo di una città sbiadita, quasi una convalescente pallida post-comunista, metta quel ricordo in un cassetto e lo chiuda a chiave.
Via Utca, via Andrassy, piazza Vorosmarty, piazza Ferenciek sono risorte, hanno ripreso il colore, la luce perduta, la raffinatezza dei negozi, il profumo delle “kremés”, dei “dobos” e dei “ludlab”, i dolci di scuola austriaca della pasticceria Gerbeaud. Anche il caffè New York ha ripreso il suo antico nome. Lo chiamavano Hungary perché New York aveva una valenza capitalistica, consumistica. Avevano fatto sbiadire anche il ricordo dei poeti e dei letterati che qui si ritrovavano: Koztolany, Moricz, Ady erano diventati solo dei nomi, e l’ “intellighentia” ungherese aveva perduto uno dei suoi templi.
Pest liberty, in tutti i sensi. Sotto l’aspetto architettonico Pest è stata la patria del liberty magiaro e le sue strade sono uno scrigno di questo periodo spensierato. Dovunque è un fiorire di statue di donne dai lunghi capelli in pose morbide, con linee arrotondate e dai colori tipici giallo-blu di questo stile, nella sua variante ungherese.

La cultura dei bagni termali
La cultura dei bagni termali

Pest la rivoluzionaria. E’ quaggiù, in pianura, in mezzo alla gente, che si sviluppò nel 1956 il primo timido segno di libertà infranto dai cingoli dei carri armati T34 russi. E’ a Pest, nel grande viale alberato che porta in piazza degli eroi, che Imre Nagy, il padre dell’insurrezione, lanciò i suoi accorati appelli, ignorati dal mondo intero, per il diritto ad essere liberi.
Pest può vantarsi, senza falsa modestia, di rappresentare il carattere dei suoi abitanti: brillante, sensuale, una città femmina che non nasconde di amare i piaceri, il lusso, le stravaganze. E’ nell’elegante impudicità dei bagni turchi che si ritrova lo spirito della città di pianura, nelle grandi piscine termali, nel rito delle acque come antica purificazione, realizzata in bikini succinti o addirittura con la nudità. Una commistione di sacro e profano che solo a Budapest non fa scandalo. Pest non è una città del vizio, ma dei piaceri. Ci sono dieci casinò e un mare di bar dove le ragazze non si nascondono, non nascondono nulla; anche i loro desideri sono palesi.

Obuda, la “città nella città”

Aquincum, i resti dell'antica città imperiale
Aquincum, i resti dell’antica città imperiale

Quella di cui nessuno parla, la dimenticata. In realtà Budapest nasce dalla fusione di tre nuclei e Obuda è il terzo. Certo non ha da offrire i palazzi degli Asburgo, non ci sono i ricordi di Sissi, la principessa che ancora fa sognare e scrivere. Non c’è la vitalità di Pest, i suoi commerci, la sua eleganza, le pasticcerie sontuose.
Obuda è la città vera, quella di tutti i giorni, della gente normale, che nasconde tra le sue pagine, come un libro polveroso di seconda mano, dei passi interessanti che vale la pena di leggere.
Obuda è la città vissuta, i cui segni e le cicatrici di anni di comunismo si vedono ancora. Come nel suo centro storico, la piazza medievale Foter, intatta e bellissima, ma soffocata dai casermoni grigi dell’architettura del socialismo russo.
Aquincum è l’antica città imperiale romana di Obuda, ritrovata dopo duemila anni e divisa in due da un’autostrada. Queste vestigia sono ancora poco visitate e i turisti si contano sulle dita di una mano, perché seguono altri itinerari, sulle piste consuete segnate dalle guide locali.

Oggetti targati U.R.S.S.
Oggetti targati U.R.S.S.

Un po’ della vecchia Budapest è rimasta qui a Obuda, in mezzo alle case popolari che odorano di Cortina di Ferro, tra le facce di questi post comunisti che hanno visto impallidire i loro miti in un attimo, tra i negozi di piccoli antiquari che vendono reliquie di un passato remoto targato U.R.S.S.
Se volete vedere Budapest com’era fate un salto a Obuda prima possibile, perché il progresso e la multi-medialità stanno avanzando anche qui, mangiandosi le piccole birrerie, i negozietti degli artigiani, i ristoranti naïf, la cordialità e le facce calme e amichevoli di questa gente al confine della metropoli.

Zigani: diversi si, ma ungheresi

Il culto del buon vino
Il culto del buon vino

Ogni strada di Pest, di Buda, di Obuda ha il suo pub, le sue birrerie, le sue degustazioni di vini e i suoi ristoranti sono un richiamo alla gola, ma senza la grandeur gastronomica di cui si potrebbero vantare da queste parti. Qui non ci sono solo crauti e patate, ma una cucina ricercata, finissima, dai gusti e dai toni più vicini all’Europa che all’Est. I vini hanno spessore, storia, profumo, e la birra è come il Danubio: c’è da sempre.
Chi, se non gli Zigani, che abitano l’ottavo distretto di questa pianura, rappresentano meglio l’anima di Budapest? Liberi nel vestire i loro colori sgargianti; liberi di migrare senza una meta; liberi di trasformarsi da straccioni in compassati musicisti e di riempire l’aria delle note della “csarda” ungherese, una musica struggente.
Gli Zigani sono amati e odiati, a Budapest. Quando si parla di loro nessuno ne dice bene; anzi, è opinione diffusa che siano tutti ladri, buoni a niente e parassiti. Ma quando uno zigano prende in mano un violino e attacca le prime note di una csarda, la melodia tradizionale magiara, anche i più accaniti detrattori restano ammaliati. Non c’è bisogno di andarli a cercare, non suonano per strada, gli Zigani sono animali da ristorante.

Uno zigano al violino
Uno zigano al violino

L’origine degli Zigani si perde nelle pianure asiatiche e indiane. Verso il 1300 si infiltrarono nell’est europeo e fecero fortuna grazie alla loro fine arte di fabbri, incisori e come mercanti di cavalli. Con la prima industrializzazione dell’Ottocento persero i loro lavori e la scelta fu tra rubare per sopravvivere o inventarsi un’altra attività. Così molti si dedicarono al commercio di cose vecchie (oggi i più grandi antiquari di Budapest sono di origine zigana) e alla musica. I canti e le melodie folcloristiche magiare venivano suonate nelle trattorie di campagna e tramandate rigorosamente a voce. E’ merito degli Zigani aver trascritto un pezzo della tradizione musicale ungherese.
A Budapest ci sono più di centocinquanta formazioni zigane, ognuna rigorosamente composta da quattro elementi. Molti di loro sono maestri e non musicisti improvvisati: hanno studiato all’accademia. Ci sono addirittura dinastie di grandi suonatori come i Lakatos, famosi per le loro “performances” che vedono nonni, zii e nipoti suonare insieme. Nei ristoranti di un certo livello, a metà della cena arrivano i musicisti, vestiti di nero con fusciacche dai colori tipici zigani, rosse e gialle.

Trionfo del “gulash”

Gulash
Gulash

Iniziano con csarde lente, melanconiche, poi l’aria si infiamma e il primo violino diventa padrone della sala. Le posate smettono di tintinnare e la gente si blocca silenziosa ad ascoltare “l’usignolo”, un virtuosismo fatto sulla prima corda che è identico al canto del piccolo uccello notturno. Il gitano si sposta tra i tavoli e con accordi funambolici e dolci melodie riesce ad arrivare al cuore dei commensali.
Nei ristoranti di Budapest, insieme alle note dei violini, spicca quel capolavoro di arte culinaria che porta il nome di “gulash” la pietanza magiara doc. Nacque nella vasta pianura, la Puszta, come un nutriente piatto unico, cucinato in un grande paiolo sul fuoco di legna. Era il pasto dei Gulyas, i mandriani dei grandi buoi grigi magiari ed era sicuramente un cibo pesante e rozzo, finché arrivò quel genio di Gundel.
Karoli Gundel è stato nel Novecento quello che per noi italiani è stato, molti anni più tardi, Gualtiero Marchesi; un innovatore, un cuoco di razza, uno chef intelligente che portò un’ondata di raffinatezza nella cucina magiara.
Senza rinnegare la storia, le tradizioni, gli ingredienti, apportò modifiche essenziali alla cucina locale, alleggerendo le pietanze e trasformandole in veri e propri piatti d’autore. Così fu per il gulash, che lui cambiò da semplice zuppa di carne in una indimenticabile minestra di magro, nella quale i sapori di peperoni, pomodori, cipolla, cumino, aglio, patate, strutto e paprika dolce, riescono ad amalgamarsi in sintonia, sino a formare un piatto delicato, saporito, decisamente ungherese.

Informazioni turistiche

Ufficio Turistico Ungherese
via Alberto da Giussano 1, Milano
tel. 02 48195434
fax 024801026
www.turismoungherese.it

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