Martedì 16 Aprile 2024 - Anno XXII

La natura e l’uomo, dal Kopacki Rit a Vukovar

Pochi anni orsono nomi geografici come Slavonia, Osijek o Vukovar si udivano quotidianamente al telegiornale. La guerra nell’ex-Jugoslavia li aveva resi tristemente famosi. Ora la vita sta riprendendo piano piano la sua normalità, le ferite degli uomini e degli edifici si rimarginano lasciando vistose cicatrici. Solo la Natura è esplosa tornando rigogliosa come un tempo

La città miracolata: Osijek

Una sera a Osijek
Una sera a Osijek

Partendo dal Kopacki Rit e scendendo verso sud, si costeggia quel pezzo di Danubio che segna il confine tra Serbia e Croazia e si è colpiti dalla tensione che vi è tra la bellezza della natura e l’assurdità della guerra. Quei cartelli con il teschio e le tibie incrociate, simbolo di pericolo mortale, si ripetono più volte lungo il ciglio della strada che porta a Osijek attraverso boschi e campi coltivati. La città è stata bombardata durante la guerra, anche se moderatamente e ha scampato la distruzione che invece hanno subito altre cittadine vicine. I sofisticati palazzi colore pastello in stile secessione viennese sono stati per lo più ristrutturati e un tram nuovo di zecca attraversa la piazza principale dove una fontana mescola giochi di luce e spruzzi d’acqua. Il selciato bagnato riflette la cattedrale come uno specchio. Avvicinandosi si scopre che i suoi mattoni rossi sono ancora scheggiati da qualche colpo sparato dagli edifici dal lato opposto della strada. Allontanandosi dalla piazza principale si arriva al lungofiume. Osijek, capitale della Baranja croata, fu fondata dai Romani, sotto l’imperatore Adriano, sulla sponda meridionale della Drava, dopo aver raso al suolo un insediamento preesistente. Oggi il fiume è attraversato da un ponte pedonale in cemento e cavi d’acciaio, dove alcuni ragazzini giocano con le biciclette esibendosi in pericolose acrobazie sul parapetto. Un moderno hotel in vetro è stato da poco costruito a monte del ponte, quasi a voler bilanciare la presenza della città vecchia, la Tvrda, che sorge poche centinaia di metri più a valle.

La memoria ottomana

La posizione di Osijek rispetto al fiume
La posizione di Osijek rispetto al fiume

La cittadella fu costruita alla fine del diciassettesimo secolo dagli Asburgo i quali avevano appena scacciato dalla Baranja gli Ottomani che vi avevano regnato per quasi due secoli. Le antiche mura oggi sono state demolite ma un insieme di edifici – caserme, palazzi governativi, una chiesa – si raccoglie attorno a una piazza principale, anch’essa sotto restauro da qualche anno. Stradine acciottolate e deserte si snodano attraverso quello che un tempo era un avamposto militare contro l’infedele Ottomano. Un verde parco cittadino, accanto al quale scorre placida la Drava, collega la Tvrda al centro vero e proprio dove vi sono i negozi, le vetrine e la gente che passeggia. Ancora una volta, tra i grandi alberi non vi sono i segni dell’ultima guerra, ben visibili invece sugli edifici.

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Vukovar, la città martire

Vukovar devastata dalla guerra nel 1991
Vukovar devastata dalla guerra nel 1991

Uscendo da Osijek e dirigendosi a sud ci si avvicina a quello che è stato uno dei più sanguinosi campi di battaglia della guerra in Jugoslavia. Si attraversano molti piccoli paesi e spesso sui muri delle case sono visibili le scarificature dei colpi di artiglieria, riparati alla meno peggio. Fori cementati che risaltano perché contrastano con il colore originale. Il fluire lento e costante del Danubio, poco lontano sulla sinistra, è percepibile anche se non si vede. Nemmeno quaranta chilometri e si entra a Vukovar, il cui nome evoca le più brutali atrocità che una guerra possa portare. La città fu praticamente rasa al suolo dai bombardamenti serbi nel 1991 e resistette a un tremendo assedio per alcuni mesi, prima di capitolare. Arrivando da nord si lascia la macchina in un parcheggio, poco distante dal mercato. Tra le bancarelle anziane signore osservano la merce. C’è qualsiasi cosa, dalla frutta e verdura ai tappeti, dagli accessori per il bagno ai giocattoli. La vita è ripresa in città. Lentamente il fluire delle attività quotidiane ritorna alla normalità e scorre regolare come il fiume, poco distante, però le ferite sono ancora aperte. Non tutti gli edifici sono stati ristrutturati. Alcuni sono cadenti, altri hanno i muri sfregiati dalle granate e dai colpi di kalashnikov. La piazza principale si affaccia sul Danubio. Alcune barchette sonnecchiano nel porticciolo, cullate da onde quasi inesistenti. Il lastricato del lungofiume, sotto i pochi alberi, è come spruzzato di vernice. I buchi lasciati dalle granate sono stati colmati con del cemento chiaro. Tre bandiere, quella di Vukovar, della Croazia e della provincia, si agitano al vento. Sembra vogliano dimostrare alla riva opposta la loro indipendenza. Appena oltre il fiume è Serbia. Da quella riva ostile la città è stata duramente colpita. Volgendo lo sguardo a sud, dove il Danubio disegna un’ansa verso sinistra, si vede sulla riva croata quel che rimane del serbatoio dell’acqua della città. Trapassato da parte a parte dai colpi di artiglieria, sta in piedi a ricordo delle sofferenze patite durante la battaglia. Sotto di esso, alcuni bambini possono finalmente stare ad osservare quieti il fiume che scorre.

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(23/08/2012)

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