Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Rhodesia, la terra di Cecil Rhodes ora Zimbabwe

Rhodes

In Zimbabwe quando si chiamava ancora Rhodesia. Accadeva, molti lustri fa. Avventure di viaggio vissute e narrate da chi (forse) non arriverà mai sulla Luna. Ma in quanto a “bandiere”, ne ha collezionate davvero un gran numero!

Rhodesia, la terra di Cecil Rhodes ora Zimbabwe

Quando lo Zimbabwe si chiama Rhodesia. Viaggio nella terra di Cecil Rhodesw. Molto immodestamente (ma insisto sempre nel commentare che anche la falsa modestia, l’understatement e peggio ancora l’atteggiarsi underdog vanno deprecati) mi ritengo un rispettabile Globetrotter. E posso anche fornire doverosa prova. Anni fa, e forse sì balda confraternita tuttora esiste, un fantasioso giornalista tunisino – a Torino meglio definibile col termine lasarùn, ma nel senso buono della parola – inventò il Club Internazionale dei Grandi Viaggiatori.

Per divenirne socio non occorreva molto: bastava sganciare cento USA dollars e dire in quanti Paesi eri stato. Ovvio che si trattasse di una dichiarazione sulla fiducia – un po’ come quella dei redditi – e pure abbastanza vaga: se, ad esempio, superi di un paio di metri la sbarra di confine a Ponte Chiasso nessuno ti può dare del casciaball se bofonchi che “sei stato in Svizzera” nonché “all’estero”.

Paesi visitati 135 su 195. Un bel record!
Rhodesia, la terra di Cecil Rhodes ora Zimbabwe

Ma datosi che chi viaggia è gente seria, c’era forse da fidarsi sulla dirittura morale dei quasi 200 soci cuccati (che moltiplicati per 100 Usd spiegano perché ho definito lasarùn l’arruolatore). Quanto a me, “dichiarai”, ed ero veritiero, 135 Paesi (bella forza, mica difficile tra viaggi accompagnati da studente, organizzati da tour operator e infine descritti in qualità di scriba). Una sommetta tale, 135 posti nel mondo riconosciuti dall’Onu, che mi issarono al 3° posto di una (vabbè, forse un pochino fanciullesca, ma il tunisino doveva pur campare) classifica del Club capeggiata con 148 Paesi dal presidente del Comitato Olimpico Internazionale, l’americano Avery Brundage (e ce credo: viaggiava a sbafo in visita ai comitati olimpici nazionali retti da gente che più corrotta non si può). Da Brundage mi separava uno yankee (non ne ricordo il nome) tanto ricco da potersi permettere di non star mai fermo. Ottimo, pertanto, il mio 3° posto, vieppiù glorioso perché potevo lasciar dietro, e di svariate lunghezze, il compagno (nel senso di anche lui Grande Viaggiatore) Bettino Craxi, Primo Ministro ma soprattutto amico di Berlusconi.

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Rhodesia, la terra di Cecil Rhodes ora Zimbabwe

Finiti i dollari per farne parte, mollai il Club ma non prima di aver sorpassato il citato ricco yankee per anni ben saldo al 2° posto. Oh bella, ma come? Accadde che a inizio anni ’90 dalla sporificazione della Jugoslavia, per decenni tenuta appiccicata da Tito, spuntarono numerosi neo Stati/Paesi (Croazia, Slovenia, Serbia, Bosnia, ovviamente tutti “validi per la classifica”) da me bazzicati perché vicini, mentre il mio povero avversario, domiciliato nei lontani States, manco sapeva dove fossero.
Le suesposte vicende ‘Grandi Viaggiatorie’ possono pertanto dimostrare che non solo “sono stato in tanti Stati” ma pure che “sono stato in Stati che non esistono”, leggasi che non ci sono più. Uno di questi (l’altro è la Jugoslavia, che tratterò alla prossima puntata), è la Rhodesia. Anzi, era la Rhodesia, perché, appunto, non c’è più (e adesso al suo posto c’è lo Zimbabwe, capitale Harare, che in Rhodesia si chiamava Salisbury).

Rhodesia, all’inizio segregazionista
Monumento a Cecil Rhodes
Monumento a Cecil Rhodes

Volai un paio di volte (se ben ricordo nei primi anni ’70) nel citato Paese, a quel tempo assai tribolato non meno che (eufemismo) chiacchierato per scottanti vicende politiche. Là, comunque, si doveva andare, nel nome del turismo che mai avrebbe perdonato l’assenza delle Cascate Victoria nel carniere di un Grande Viaggiatore, dopodiché si visitavano pure i pittoreschi villaggi degli Shona e dei Ndebele, i due più numerosi gruppi etnici). Abbastanza tranquilla colonia fino al 1965, la Rhodesia (in onore di Cecil Rhodes, uno dei grandi artefici dell’impero britannico, amò tanto questa terra da voler esservi inumato) fu proclamata indipendente (1969) da Ian Smith, un deciso gentleman del posto incline (con la maggioranza dei whites) al segregazionismo. Apriti cielo! Gran parte del mondo la giurò alla Rhodesia, rea di aver adottato lo stesso Apartheid vigente nel confinante Sud Africa, e reagì in due modi, che sia pur nel mio piccolo ebbi occasione di verificare.

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Bistecche svizzere e razzi
Doctor Livingstone
Doctor Livingstone

Molti Stati, quelli europei in testa, proclamarono il boicottaggio dei prodotti rhodesiani (ma una notte, portato dal mio neo amico Peter Nicholls all’aeroporto, assistetti alla partenza di un DC9 Cargo, ça va sans dire ‘sconosciuto’ ma anche ricolmo di squisiti filetti di bue destinati alle macellerie e ai ristoranti della boicottante Svizzera).
Il secondo modo di farla pagare alla Rhodesia fu adottato dal neo indipendente, confinante Zambia (ex Northern Rhodesia) e consisteva nel lancio di razzi e in attacchi di guerriglieri nottetempo attraversanti lo Zambesi nella zona delle fantastiche cascate (le Mosi Oa Tunya, fiume che tuona, scoperte dal ben noto “doctor Livingstone” sulla cui identità, secondo british style, Mr Stanley dubitò – I suppose – dopo averlo beccato nel bel mezzo di un’Africa che, a quei tempi, più Nera di così non si poteva).

La vasca da bagno del Grand Hotel
Un indigeno zimbabwano
Un indigeno zimbabwano

E anche a proposito di razzi e guerriglieri posso dire la mia (oltre alla già narrata vicenda dei boicottati filetti di bue finiti sui deschi svizzeri). Fatto il check-in al mitico Victoria Falls Hotels (uno dei più british colonial nel mondo, chissà com’è ridotto adesso) salgo in camera e su un cartoncino leggo: “Nel caso di un improbabile lancio di razzi dall’altra parte dello Zambesi andate in bagno e state lì”. Ciò premesso non mi si chieda come si dorme per quattro notti consecutive in una vasca da bagno. E per colpa del Peter Nicholls altrettanto rischiosetta fu la mia vicenda con la guerriglia zambiana. Perché il su lodato neo-amico (quello che mi portò a vedere i DC9 contrabbandieri) era il capo della polizia di Victoria Falls e una sera mi propose una gita in lancia sullo Zambesi.
Accettai e solo quando mi fu richiesto di infilarmi in una tuta mimetica indossando un elmetto afferrai che si andava di pattuglia alla caccia di terroristi. Andò tutto ok e tornato sano e salvo in albergo mi coricai beato nella salvifica vasca da bagno.

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Questa narrazione su un “Ex Stato dove sono stato” dovrebbe concludersi col mio ritorno in Italia. C’è però un miniseguito che racconto solo per spiegare quanto facilmente (ho amici di Novara mai venuti a Milano) come girano il mondo senza fare un plissè quei balossi dei British (Peter era londinese). Un sera finisco davanti a una birra in un bar di Cairns, Barriera Corallina, Australia, urto un tizio e guardandolo gli dico “Sorry”. Era Peter! Festa, abbracci e gran ciucca. Ma veloce, perché il ritrovato amico doveva tornare al lavoro, 1200 chilometri più lontano, roba da una notte al volante.
L’ex poliziotto di Victoria Falls nell’ex Rhodesia era finito tra aborigeni e canguri a lavorare in un settore del Turismo nel Northern Territory (3 o 4 volte più grande dell’Italia, solo 250mila gli abitanti). Doveva occuparsi della gestione alberghiera, in tutto non più di 100 di letti.

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