
Qualche sera fa Chef Boris è stato invitato ad assaggiare un menu particolare: il Menu del Pellegrino. In pratica si tratta dei cibi che venivano cucinati negli ospizi, locande o conventi che sorgevano lungo la Via Francigena, la lunga strada che conduceva, rigorosamente a piedi i pellegrini che da Canterbury, in Inghilterra, si recavano a Roma oppure coloro che dall’Italia e dalla Francia si recavano a Santiago de Compostela. L’iniziativa di sviluppare il turismo a piedi lungo quelle strade del Piemonte parte dalla Regione e dall’ATL Torino e Provincia e l’idea di ricostruire i menu storici fa parte di questo progetto (info: www.turismotorino.org/it/viafrancigena).
Se torniamo con la mente al Medioevo la cucina era assolutamente stagionale. In poche parole si mangiava quello che c’era. Oggi sono di moda il “Chilometro 0” e la stagionalità. Allora era la prassi. Anche se non erano ancora comparsi in Europa il pomodoro, la patata, il mais e altri preziosi ortaggi che sarebbero arrivati solo dopo la scoperta dell’America (1492), le ricette erano variate. Naturalmente povere perché né i pellegrini disponevano di molti soldi da spendere, né le diverse congreghe religiose erano in grado di “mantenere” i viandanti con cibi sontuosi.
Piatti veloci, salati e facili da conservare

I piatti dovevano avere tre caratteristiche fondamentali: veloci da preparare, molto saporiti e salati (stratagemma degli osti per fare bere di più gli avventori) e, soprattutto, facili da conservare. Gli ingredienti vedevano un grande impiego di erbe aromatiche (per non parlare di aglio e cipolla…) che si integravano con le vedure degli orti, i legumi e le piante che crescevano spontanee: l’ortica, le cime di luppolo selvatico, le spugnole, i frutti di bosco, le castagne… Molto usate le uova per grandi frittate arricchite con quello che c’era. Il formaggio era quello fresco, come la ricotta. A proposito di formaggio, il famoso grana e il parmigiano risalgono proprio al medioevo ed era quello che i monaci potevano offrire ai viandanti in qualsiasi stagione perché dura a lungo. Il pesce era offerto soprattutto in scapece, fritto e marinato nell’aceto per conservarlo meglio e, ogni tanto, in occasioni speciali, un po’ di carne degli animali da fattoria: pollame e maiale. Il manzo e il vitello erano destinati ai nobili che si spostavano di residenza in residenza, ospiti, Noblesse oblige, dei loro pari rango. I dolci, così come li intendiamo noi, non esistevano. Si usava il miele o il sangue di maiale per dolcificare e si aggiungevano noci, nocciole, uvetta o fichi secchi per dare consistenza. Niente a che vedere con i dessert elaborati ricchi di zucchero e sontuosi.
Il pane alla base della dieta

Insomma, una situazione che stuzzicava la capacità dei cuochi e la loro fantasia nel riuscire, con poco, a creare piatti gradevoli, economici e nutrienti (non dimentichiamoci che erano destinati a gente che macinava chilometri su chilometri a piedi). Il piatto principale era una zuppa calda, come la Paniccia (nome con il quale si intendeva qualsiasi zuppa a base di cereali) e ottima per ammollare il pan secco. Pane che, ovviamente era nero, fatto con la farina di diverse specie di cereali: grano tenero, segale, spelta, orzo e crusca di frumento più farina di fave e di castagne, il cosiddetto “Pane nero della penitenza”. Tra l’altro il pane era l’unico bene, se così si può definire, che era concesso portare con sé a un pellegrino. E sempre il pane era l’ingrediente principale della pulmenta, una zuppa a base di pane raffermo con cereali, verdure, erbe e castagne.
Proviamo qualche ricetta. Sono tutte molto frugali e versatili dove l’ispirazione è più importante della regola e spesso, per non dire sempre, le dosi e le quantità dipendevano dalla disponibilità. Non resta che farsi coraggio e sperimentare la mescolanza di gusti. Se venisse troppo saporita, nessun problema, come ho già detto era la prassi medioevale, niente che un buon bicchiere di vino non possa rimediare.