Martedì 23 Aprile 2024 - Anno XXII

A Moncalvo è andato in scena Sua Maestà il Bue Grasso

Bollito Moncalvo fiera bue grasso

In Piemonte anche quest’anno si rinnova il tradizionale appuntamento commerciale e folkloristico della Fiera del Bue Grasso e del Bollito nelle province di Asti e Cuneo. A Moncalvo di è appena conclusa la 378 esima edizione. A Carrù siamo alla 105 che si svolge il 17 dicembre

Bollito Moncalvo bue grasso 2015 jury
Il jury d’onore per la valutazione del bue

L’anno scorso ero stato a quella di Carrù, eppertanto quest’anno, per una giusta non meno che doverosa Par Condicio non potevo esimermi dal recarmi a Moncalvo alla Fiera di Sua Maestà il Bue Grasso nonché (precisa la locandina della manifestazione ma si tratta di pura tautologia) Sagra del Bollito, che si è svolta dal 6 al 9 dicembre. Una precisazione che ad ogni buon conto mi aggrada perché solitamente la parola Sagra sottintende qualcosa di sacro, suona seriosamente solenne, mentre non vedo niente di più laico, e godereccio, di una bella pappata di Bollito.
E parlandosi di questo saporito mangiare mi affretto a informare la cortese aficiòn lettrice che la parola Bollito è in pratica sinonimo di Bagnèt Verd (Bagnetto Verde: acciughe sotto sale, aceto, mollica, olio, e sia fustigato chi dice che si può fare a meno dell’aglio), si tratta di due parole intimamente collegate, ne pronunci una e pensi d’amblé all’altra.

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Alla Fiera del Bue Grasso e del Bollito in vendita i prodotti del territorio

Parto pertanto per il Monferrato (Monfrà nell’idioma di mia nonna materna, Mons Ferratus in latino, e può anche andar bene Mons Ferax, fertile, vai a sapere qual è la versione giusta) e a Casale (Monferrato) mi premio per aver domato il nebiùn padano mediante un profumato Punt e Mes. Sono passate da poco dopo le 10 e la deglutizione di un profumato vino (vabbè, contenente pure un pochino di assenzio o Artemisia che sia) potrebbe far pensare all’alcolismo, ma le tradizioni son pur sempre le tradizioni. E non intendo sgarrare nemmeno stavolta. Mi trovo infatti a pochi metri dal caffè Savoia (un bar davvero giusto alla faccia di sì sfigato nome) e incurante del volto sorpreso del barista degusto il torinesissimo Vermuth (che invece è – spiacente di contraddire Google – parola di origine tedesca).

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La kermesse gastronomica di Moncalvo

Bollito Moncalvo
Moncalvo

Eccomi giunto nella monferrina Moncalvo (che belle le nettaree colline che riesco ad ammirare, imperocché, come sovente accade il nebiùn resta a Milano fosse solo per diventare Polveri Sottili ), a vivere la 378^ edizione (che bello, la storia e le tradizioni, e non solo quella del Punt e Mes) della Fiera del Bue Grasso alias Sagra del Bollito. E se lo stomaco reggerà anche in occasione di questa ennesima kermesse gastronomica chissà che tra una settimana (al palato non si comanda) non compia analoga trasferta nella già lodata, langarola Carrù il 17 dicembre si tiene la 105^ edizione. Che, come già accennato, sarebbe la seconda Mecca (nei Tiggì Economia direbbero il secondo polo) del Bollito Piemontese.

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Fiera del Bue Grasso, carretti folkloristici

Ma che belle queste Fiere paesane, comunque campagnole, soprattutto queste bovine. A inizio inverno, quando (le loro Maestà) i buoi raggiungono il top dell’ingrassamento financo 1400 chili e anche più, e rammento che 1000 chili fanno una tonnellata) la langarola Carrù (ahhh la terra cara a Cesare Pavese è la Langa e non Langhe, me racumandi!) rileva la staffetta dalla monferrina Moncalvo. Già, il Monferrato, e il lettore lasci perdere il dettaglio poetico del Suol d’Aleramo inventato da quel casciaball del Carducci, che si incazzava con gli adulatori ma alla fine della fiera era lui a “tirar le quattro paghe per il lesso” (alias Bollito) vedi le adulanti puñetas indirizzate alla savoiarda regina Margherita. Molto meglio, pertanto, il già cittato Paìs, appunto piemontese doc, Cesare Pavese, ancorché tristarello. E non occorre metterla in poesia (melensa e sfacciatamente agiografa, nel caso del toscano blablabla Carducci) per narrare una giornata a spassarsela in una Fiera bovina (in Piemonte, ma ça va sans dire esistono analoghe manifestazioni nel resto del Belpaese: in provincia di Reggio Emilia è previsto un Bue Grasso in gennaio, e lì si ammireranno le appenniniche Vacche Rosse balie da latte di un meraviglioso Parmigiano.

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Belle tradizioni contadine

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Maestà da ben 1400 chilogrammi, controllate e numerate

Arrivati verso le 11, abbiamo dovuto intraprende una mini-maratona, per di più, sovente, in salita. A quell’ora i posti auto sono già tutti occupati, dopodiché, trovandosi solitamente la località da raggiungere sulla sommità di un colle non resta che ricordarsi di aver servito la Patria nel IV Alpini (e cominci a cercare alibi alcolici canticchiando Mì sunt alpìn mì sunt alpìn, me pias el vìn me pias el vìn…).
Giunti senza chiedere info, basta l’olfatto (e sarò un ragazzo dei campi ma a me quel profumo di cacca bovina e sana nebbiolina, mi fa pensare al Nebbiolo, non dispiace) ed ecco il recinto esposizione. Nel quale ti infili o camminando all’indietro o dichiarandoti giornalista (in tal caso l’ingenua gente contadina ti lascia passare inginocchiandosi quasi alla vista di un’apparizione divina). Dopodiché non ti resta che ammirare e fotografare un po’ di grosse corna ed enormi chiappe (beninteso della magnifica Razza Piemontese, che alla faccia dei goffi blablabla toscani vale10 volte la Chianina, razza la cui doc sopravvive ormai genuina solo nella Pampa argentina in cui fu esportata). E infine – sempre informando che sei giornalista, non occorre precisare di che tiggì – chiedi “dove andare a mangiare” al maresciallo dei (ex Reali, in Piemonte sono tuttora venerati) Carabinieri o in subordine a qualche addetto ai lavori bovini un tempo meglio noto come Capègus (alias Cappello Aguzzo). Solo che i Capègus risultano ormai una razza in via di estinzione per colpa della moda che fa preferire berrettucci da baseball e basketball ai mitici Borsalino. La cui punta, a furia delle frequenti scappellate operate degli ossequiosi contadini, diveniva talmente aguzza da meritare il citato soprannome, antan assai comune nel Vej Piemont contadino.
E venuta l’ora della pappa ti fiondi (a mezzogiorno è già tardi, e pensare che a quest’ora, a Madrid comincio a fare il giro dei bar de tapas) a tavola a innaffiare Bollito e Bagnèt Verd con Grignolino (prima) e poi Barbera (per favore: “la Barbera”, mai “il”). Cerèa, né!?!?!?

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