Martedì 30 Aprile 2024 - Anno XXII

Ladakh, la Luna in Terra

Ladakh

È questo il ‘Tetto del Mondo’ in cui vivono e perpetuano la cultura buddhista e tibetana – negata dai cinesi nell’ex Tibet indipendente – poco più di centomila Ladaki. Terra di rara bellezza, dove i picchi bucano l’orizzonte, le gole dell’Indo sono profonde e incassate, i contrasti violentissimi

Ladakh

La vita è un ponte, non costruitevi sopra alcuna dimora. È un fiume, non aggrappatevi alle sue sponde. È una palestra, usatela per sviluppare lo spirito esercitandolo sull’apparato delle circostanze. È un viaggio: compitelo e procedete!” (Buddha)

In più occasioni, a partire dal 1947 anno dell’indipendenza dal dominio britannico, l’India è stata impegnata in ripetuti conflitti col Pakistan. Motivo del contendere, il vasto territorio dello Jammu-Kashmir, nell’estremo nord occidentale del paese. Anche se le carte geografiche ufficiali dell’India indicano queste zone sotto sovranità indiana, addirittura confinanti con la lingua di terra più settentrionale-occidentale dell’Afghanistan, la realtà è ben diversa. Il Kashmir sotto controllo pakistano include il Baltistan (capoluogo Gilgit) e l’Azad, un fascia di territorio a ovest di Srinagar, storica capitale del Kashmir. Ai cinesi, che già hanno sottratto la valle del Shaksgam ai pakistani, farebbe tanto piacere poter estendere il loro dominio sull’intero Ladakh (capoluogo Leh) che è invece indiano. Al contrario è di pertinenza cinese, a nord del Ladakh, la vasta area dell’Aksai Chin, rivendicata a sua volta dagli indiani.

Ladakh, una terra selvaggia e poetica

Ladakh Leh, la capitale
Leh, la capitale

“…e quando l’uomo va per queste contrade bene venti giornate, non trova né alberghi né vivande, ma conviene che porti vivande per sé e per sue bestie tutte (…) tuttavia trovando fiere pessime e bestie selvatiche che sono molto pericolose”.

È Marco Polo, nel suo ‘Milione’ a descrivere la ‘provincia di Tebet’, da lui visitata nel corso del suo secondo viaggio in oriente (1283). Certo ai suoi tempi l’area sarà apparsa ancora più isolata e inaccessibile di quanto lo sia oggi, dove la ‘modernità’ ha portato persino un collegamento aereo tra Delhi e Leh, principale centro abitato del Ladakh. Ma che questo sia un territorio dall’indubbio fascino e dalle bellezze naturali straordinarie, lo confermano i molti ‘nomi’ con i quali viene identificato. ‘Khachampa’ (Terra delle Nevi) è il primo, ovvio, di questi nomi. Compreso tra Karakorum e Himalaya, il Ladakh viene tuttavia chiamato anche ‘Maryul’ (Terra Bassa) per contrasto con le alte vette che circondano questo in gran parte desertico altopiano, tant’è che viene talvolta definito ‘Terra della Luna’. Ma ‘Terra dei Lama’ è appellativo abbastanza recente e soprattutto pertinente al massimo; infatti il Ladakh, da quando il Tibet è stato invaso dai Cinesi, rappresenta il fulcro della religione buddhista, con i suoi molti monasteri (Gompa) e con la presenza di un gran numero di monaci che hanno dovuto lasciare la loro terra, ora divenuta una provincia cinese.

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Territorio, flora e fauna

Ladakh

Il Ladakh è il paese dei valichi e ciò è rilevabile proprio dal nome di questa regione montagnosa: La (passo, valico d’altura) e Dakh (paese). In buona sostanza chi vive qui vive tra le nuvole delle altissime vette himalayane e del vasto Karakorum, in condizioni climatiche spesso proibitive ed è abituato a due sole stagioni: una brevissima primavera-estate-autunno ed un lunghissimo e freddo inverno. Ad una altitudine media che oscilla fra i 3500 e i 4000 metri, il dorso nudo dei monti è il carattere saliente del paesaggio; alberi quasi del tutto assenti, ad eccezione di qualche ‘shukpà’ (varietà di ginepro), che si riduce in dimensioni attorno ai 4500 metri d’altitudine; poi c’è il pioppo (giulaad) e il salice (ciannà). Assenti i boschi e ridotti i pascoli, ad altitudini inferiori troviamo piante di melo, pesco e albicocco, oltre a diffusi appezzamenti di ortaggi. Per quanto riguarda gli animali selvatici, sono poco numerosi e senza dubbio non presenti come ai tempi di Marco Polo. Non c’è l’orso tibetano, ma sopravvive qualche esemplare di leopardo delle nevi, che a sua volta si nutre di selvaggina ‘grossa’: stambecchi, antilopi e pecore selvatiche tibetane.
Numerosissimi gli uccelli di varie specie, mentre tra i mammiferi predatori troviamo la volpe, alcuni piccoli felini; presenti anche le marmotte e i ‘kyang’, equini selvatici, metà cavallo e metà asino. Lo ‘yak’, infine, da selvaggio si è trasformato nell’animale domestico per eccellenza delle popolazioni Ladaka.

I segni della cultura tibetana

Ladakh Il grande Buddha in bronzo dorato nel monastero di Shey. Foto di Grete Howard
Il grande Buddha in bronzo dorato nel monastero di Shey (Foto di Grete Howard)

Tra le vette più alte della Terra, c’è un territorio affascinante per le bellezze naturali che possiede e per la storia che ha attraversato. Conteso da più paesi, rappresenta oggi la sopravvivenza libera della cultura tibetana, culla della cultura buddhista. I Ladaki che lo abitano, dimostrano di avere raggiunto uno status di serena convivenza, permeata di indubbia spiritualità, che favorisce la soluzione di eventuali controversie per mezzo di equilibrati arbitrati, condivisi dalle parti e il più delle volte regolati dall’amichevole saluto del ‘julay’, pronunciato a mani giunte.
Una terra come questa, non può dunque non brulicare di numerosi monasteri (oltre un centinaio attorno al 1500); ne esistono disseminati per l’intera regione, di grandi e di piccoli, la maggior parte dei quali attorno all’area di Leh, il capoluogo. Il più importante è quello di Hemis, risalente al 1602, fatto di più complessi monastici, che ogni anno celebra un noto festival che raccoglie moltitudini di fedeli. Ecco ancora i ‘gompa’ di Masrho, Shanker, Shey e Tikse, a pochi chilometri da Leh. Quello di Shey è famoso anche per la grande statua del Buddha in bronzo dorato. Noti e frequentati sono anche i monasteri di Spitak, quello di Ringdom a Kargil. Tra i più antichi, il ‘gompa’ di Sumdah, prossimo al villaggio di Achirik, risalente al X secolo e il famoso Lamayuru (villaggio dei Lama) un tempo abitato da oltre 400 monaci, ridotti oggi a una trentina.

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Una terra per viaggiatori veri

Ladakh Il monastero di Zangskar
Il monastero di Zangskar

Con l’aumento dei flussi turistici, anche il Ladakh, anno dopo anno, si organizza per accoglierli al meglio. Lo sport dominante è il trekking (dal vocabolo ‘trek’, migrazione). Prendendo come base il fondo delle varie valli, tutte ‘altolocate’,  l’impresa di salire su pianori o verso i monti dell’Himalaya, una volta acclimatati, non è particolarmente impegnativa. È comunque sempre opportuno affidarsi a chi conosce i luoghi, a chi sa interpretare al meglio i possibili rischi che si possono correre (insolazione, facile disgelo delle nevi per l’aumentata potenza dei raggi solari, guadi di torrenti ecc.).
Altri sport si affacciano come nuovi o quasi, per via del lungo isolamento della zona: sono le arrampicate alle alte vette, il rafting nei fiumi del fondovalle, le escursioni possibili in gran numero – verso monasteri, laghi, grotte sacre – attraverso le varie strade e sentieri che si diramano nell’intera regione e lungo i molti passi himalayani e del Karakorum. Una zona particolarmente interessante, per i panorami grandiosi e selvaggi che offre, è lo Zangskar, a sud della valle dell’Indo. Non di rado è necessario guadare i fiumi impetuosi della zona o attraversarli sui tipici ponti sospesi (jhula). Vita concreta e difficile, spirito di convivenza e tolleranza si mescolano nei Ladaki, come recita un’antica preghiera: “…questo è il mondo dell’illusione, la vita non è che un sogno; tutto ciò che è nato deve morire; verrà l’inverno e anche i fiori come la bellezza sfioriranno; solo la via del Buddha conduce alla felicità eterna”.

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