Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

In Nicaragua, tra le dolcezze di un paese dimenticato

Diario di viaggio all’interno del Nicaragua occidentale, segnato da una guerra civile ancora viva nei ricordi della gente e nelle strade. Il viaggio è partito dalla capitale Managua, con mezzi locali abbiamo attraversato il paese raggiungendo il Lago Nicaragua e l’Isla de Ometepe. L’isola della terra rossa, delle scimmie e delle farfalle. L’isola delle piogge torrenziali che in pochi minuti cancellano la strada. Ecco un assaggio di “Viaggio in Nicaragua”, Greco e Greco editore

Ometepe, vulcano Madera
Ometepe, vulcano Madera

Cerchiamo le banane per fare colazione. Non sono ancora le otto ed è ancora tutto curiosamente chiuso, solo un piccolo supermercato vende acqua e qualche frutto che diventa la nostra colazione. Andiamo verso l’imbarcadero dove alle otto abbiamo appuntamento con la guida. Rudy e la sua vecchia jeep marrone ci stanno già aspettando da qualche minuto e questo ci permette di partire subito. Il nostro itinerario prevede il giro per l’isola il più possibile completo, passando da Altagracia fino a Balgue e poi indietro dall’altra parte. Ometepe è un vero gioiello ecoturistico e detiene il primato della più grande isola al mondo emersa in un lago d’acqua dolce.

La gente che abita l’isola vive di pesca lacustre e di agricoltura, coltivando banane, limoni, maizena, sesamo, fagioli e altri legumi. L’isola è completamente verde, coperta di foresta vergine incredibilmente popolosa di animali e piante di specie rare e palmeti di ogni tipo. Scimmie e pappagalli fanno compagnia agli abitanti, ma anche scoiattoli, i miei amati tucani, picchi e molte altre specie animali.

Nonostante il Paese non veda molto turismo, non è possibile visitare il Nicaragua senza passare dall’isola di Ometepe. Tra gli altri, gli appassionati di trekking trovano qui splendide vie risalendo i vulcani Concepcion e Madera, alcune esauribili in una gior116 nata, altre che richiedono un paio di giorni almeno e una tenda per dormire la notte.

Il nostro viaggio comincia sulla strada sterrata per Altagracia. Basta lasciare il paese di Moyogalpa per trovarsi in mezzo a una natura selvaggia e meravigliosa. La jeep si fa largo sulla terra rossa mentre Rudy ci racconta di questa isola e della sua gente. Ci racconta che a Ometepe non esiste delinquenza e la ragione principale è da ricercarsi nell’educazione che comincia con la scuola.

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Le lezioni durano tutto il giorno e sono divise nel turno del mattino e in quello del pomeriggio. I ragazzi seguono un turno al giorno e quando escono dalla scuola aiutano i genitori a lavorare la terra. Quindi chi va a scuola al mattino trascorre il pomeriggio nei campi, e viceversa chi va a scuola il pomeriggio lavorerà la terra al mattino. Secondo Rudy questo sistema è sufficiente per evitare che i ragazzi prendano una direzione sbagliata, capendo molto presto il valore del lavoro, dell’istruzione, della famiglia. Sfrecciamo in mezzo a piantagioni di frutti succosi e grandi come meloni dai nomi incomprensibili finora mai incontrati. Rudy ci assicura che sono molto buoni, ma non ancora maturi per essere assaggiati.

Viaggio in Nicaragua. Diario di viaggio tra le dolcezze di un paese dimenticato, di Viscito M. Grazia, Greco e Greco editore. Pag. 174, prezzo 11,50 euro
Viaggio in Nicaragua. Diario di viaggio tra le dolcezze di un paese dimenticato, di Viscito M. Grazia, Greco e Greco editore. Pag. 174, prezzo 11,50 euro

Arrivando nei pressi di Altagracia la strada si fa asfaltata; Rudy è un seguace della politica di Violeta Chamorro, presidentessa del Nicaragua fino alla fine degli anni ’90, e non perde occasione per raccontare che quel poco di asfalto presente nell’isola nei paesi di Moyogalpa e Altagracia l’ha voluto Violeta. È stata lei a portare luce e acqua potabile, adesso presenti su gran parte del territorio, e scuole che ormai si trovano in prossimità di tutti i villaggi abitati.

Violeta è stata poi succeduta da presidenti di destra, che non sono cari a Rudy. All’interno della selva però ci sono ancora molti villaggi senza luce artificiale, mentre per quanto riguarda i collegamenti nell’isola, l’unico sistema per girarla tutta è con una jeep.

È simpatico Rudy. Attento a ogni nostra curiosità, ci racconta molte cose e ci mostra ogni pianta o dettaglio attiri la sua attenzione e la nostra. Il paesaggio è bellissimo, corriamo nella selva rotta solo dallo sterrato e da qualche capanna di contadini. Passiamo attraverso i villaggi di La Concepcion, La Flor, San Marcos e dopo neppure un’ora di jeep siamo ad Altagracia; oltre a essere il capoluogo dell’isola è uno dei siti dove sono visibili i petroglifici originali.

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La costruzione di questi antichi petroglifici è stata attribuita al popolo di Chorotega, una popolazione indigena vissuta in Nicaragua intorno al 795 d.C.; qui sono raffigurate figure geometriche o animali e divinità. Nonostante i petroglifici si trovino in tutta l’isola, la maggiore concentrazione rimane nella metà sud dell’isola tutto intorno al vulcano Madera. Altagracia non ha nulla di particolare a parte il sito archeologico accanto alla chiesa principale, quindi decidiamo di lasciarla subito e di proseguire verso sud.

La nostra jeep al guado
La nostra jeep al guado

Uscendo dal paese ritroviamo lo sterrato; scendendo verso l’istmo che divide in due l’otto dell’isola, costeggiamo il maestoso Vulcan Concepcion. Appena possiamo lasciamo la jeep e risaliamo a piedi per qualche sentiero. Qui non c’è niente, oltre il verde e qualche contadino che ci viene incontro per conoscerci e chiederci di noi.

Percorriamo una bellissima strada sormontata da alberi altissimi sui quali Rudy cerca di avvistare le scimmie per potercele mostrare. Finora abbiamo visto solo scoiattoli ma sentiamo le scimmie chiamarsi tra loro e sappiamo che sono sopra le nostre teste e ci guardano. Lasciamo che la jeep ci preceda, Massimo e io camminiamo con la testa all’insù, mentre i giovani che vanno a lavorare nei campi montando i buoi ci salutano divertiti.

Un bambino ci incrocia e ci lancia un’occhiata appena di traverso. È un piccolo uomo, avrà sì e no 11 anni, una bandana gli protegge il capo dal sole scoprendogli appena due occhi bellissimi, lunghi e intensi e l’espressione dura appena accennata della bocca. Cammina deciso mentre con il macete “sbuccia” una noce di cocco, la camicia aperta sul davanti, libera contro il vento.

Rudy gli parla in spagnolo, chiede dei monocongo, il bambino accenna un sorriso, ci guarda, risponde serio e se ne va. Percorre duecento metri e a un tratto lo sentiamo urlare señor, señor mentre ci rincorre, piccolo e felice, e prende Massimo per il braccio. Lo trascina indietro agitato, indicandogli un albero nel mezzo della selva, molti metri indietro. Solo dopo qualche secondo capisco e mi metto a correre nella loro direzione.

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Eccoli lì, in mezzo al verde delle cime degli alberi, i due splendidi corpi grossi e scuri delle scimmie monocongo. Interamente di colore nero con una mascherina chiara intorno agli occhi. Ci guardano, ci osservano, buttandosi con tutto il corpo sul ramo per essere più vicine e guardarci meglio con gli occhi fissi, tondi e curiosissimi.

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