Cerchiamo di essere coerenti. Se, come disse Feuerbach, “L’uomo è ciò che mangia” la nostra nutrizione dovrebbe elevarsi dal vile abbrutimento del panino in piedi – e della MacDonaldiana refezione in batteria – per assurgere a più nobili vette metafisiche. Sia chiaro che con questa ode ai piaceri del palato non voglio paragonare una torta Sacher alla Venere di Milo, né la Divina Commedia a un Pasticcio di Maccheroni. Intendo soltanto affermare che la gastronomia (il mangiare) è parte integrante della cultura di un popolo, a tal punto da incrementare lo sviluppo turistico di un territorio se le tradizioni locali sono state preservate o convenientemente riproposte).
Matanza un rito antico
Si pensi all’uccisione del maiale, avvenimento tipicamente invernale celebrato tra novembre e marzo. Nel Belpaese d’antàn mazàa el purscèl, direbbero i brianzoli, rappresentava qualcosa di più dell’attuale soppressione del suino perpetrata – ormai sempre più raramente – tra una ristretta cerchia di amici. La contestuale trasformazione del nimél (nel dialetto reggiano, l’animale per antonomasia, soprattutto perché di lui niente va sprecato), il suo quasi miracoloso divenire salsicce, pancetta, lardo e costine, costituiva una festa comune, un giorno speciale, una sorta di inno alla vita (a quei tempi dura assai).
Se dalle nostre parti la festa e l’euforìa per il sacrificio del maiale sono ormai soltanto un ricordo (con annessa scomparsa delle manifestazioni che aggregavano gli amanti del folklore e della buona tavola), in Spagna un albergatore castellano, Gil Martinez Soto, ha trasformato la matanza in un acontecimiento (evento) turistico-gastronomico tanto importante da essere dichiarato “Manifestazione di interesse nazionale”.
Ogni weekend, da gennaio a marzo, nello storico Burgo de Osma, in provincia di Soria (Castilla y Leòn, a due ore d’auto da Madrid) la canonica moltiplicazione del grufolante e mai troppo lodato porcellone in delizie del palato è celebrata con una ben precisa liturgia. Nella mattinata di sabato il maiale da matar é portato su uno spiazzo – una sorta di Place de la Concorde robespierrana – prospiciente il primo, modesto ristorante-albergo di Gil (il Virrey I, al quale – grazie al successo della Matanza – il creativo soriano ha aggiunto un ridondante Virrey II, contenente un curioso non meno che divertente minimuseo di statuette suine). Ucciso il maiale e depostolo brevemente sulla paglia bruciata per eliminarne le setole, il lavoro dei norcini prosegue con la collaborazione di esperte massaie: i primi squartano e sezionano costine e zampe, pancette e lombi; le seconde raccolgono il sangue e preparano ipso facto la prelibata (quantomeno per gli spagnoli) morcilla, un sanguinaccio con riso, talvolta pinoli, insaporito da paprika e altre spezie.
Nel magazzino-ristorante
Ma il trascorrere del tempo e l’invernale temperatura della meseta suggeriscono il passaggio dai riti ai fatti. La matanza prosegue pertanto in un vecchio magazzino di cereali abilmente ristrutturato in megaristorante (tipo festa bavarese della birra, siamo invece nella Mittelespaña) con una maratona gastronomica interamente dedicata al ricordo e all’assaggio del porséo sacrificato e di tanti altri suoi simili immolati meno platealmente. L’estetica può attendere, ma anche il gourmand con esigenze culturali non torna a mani vuote: El Burgo de Osma è un’intrigante cittadina ricca di storia (celtiberi, romani, arabi, reconquista) e di bellezze dell’architettura (cattedrale, museo episcopale, l’antica Università, l’ospedale barocco di San Agustìn). Semmai Feuerbach consentisse ritocchi al suo pensiero, concordando che “l’uomo è ciò che mangia” aggiungerei che è anche ciò che va ad ammirare.
Post Scriptum – Sia rivolto un reverente pensiero a ebrei e musulmani (quantomeno a quelli pii e pertanto osservanti): di detestare l’impuro maiale gliel’avranno anche suggerito dotti rabbini e coranici uléma, ma, quei croccanti ciccioli, un paio di sapide costine e qualche fettina di jamòn de pata negra de bellota, vuoi mettere?