Da Rubbiano si risalgono le praterie del monte Zampa per poi scendere lungo la valle dell’Aso. Da Tofe si prosegue per Altino e si raggiunge S. Maria in Pantano, la chiesa che conserva affreschi raffiguranti le Sibille. Si prosegue quindi fino a Colle di Montegallo con vista sul monte Vettore, e ancora per il monte Pianello della Macchia, la Forca di Presta e i Piani di Castelluccio. Da qui ampi scorci panoramici con sfondo la Cima del Redentore. Dalla Forca di Giuda, punto più alto dell’intero anello a 1794 metri, si scende verso la Forca di Ancarano e, con il sentiero per Campi si traversa la val Majore, le praterie dei casali dell’Acquaro fino alla valle di Visso. Chiudendo così l’anello sibillino. Si possono, naturalmente, percorrere singole tappe; tuttavia, se si ha la costanza di dedicare tempo a questa camminata le soddisfazioni sono assicurate, data la bellezza del paesaggio e le suggestioni che monti e valli sanno evocare.
Monti Sibillini, l’atlante delle bontà umbro-marchigiane
Il parco, però, non è solo natura. La tradizione gastronomica è ora valorizzata con un atlante dei prodotti. C’è il pane di mais e il pecorino dei Sibillini, latte di pecora appenninica e aroma al timo serpillo. C’è la lenticchia di Castelluccio, il miele, la mela rosa sibillina. Ci sono il mistrà, distillato di anice verde, finocchio selvatico, mele, arance (da bere con acqua o nel caffè), e il ciavuscolo, salame leggermente affumicato da spalmare sul pane, fatto con varie parti del maiale aromatizzate con finocchio e arancia grattugiata. E poi il tartufo, bianco e nero dei Sibillini, che fa il pari con il marchigiano più famoso di Acqualagna. Dato ai Sibillini ciò che loro spetta, bisogna tuttavia aprire gli orizzonti alla regione. Le Marche hanno una serie di prodotti tradizionali che permettono un altro tour appassionante, questa volta enogastronomico. Prodotti che raccontano di tradizioni contadine, di sapienza gastronomica tramandata. E che, finalmente, hanno trovato vetrine e amplificatori. Per prima Tipicità, di cui raccontiamo a parte. Eccoli allora, i grandi marchigiani, quelli venuti prima delle scarpe e delle cucine.
Il Formaggio di Fossa, innanzitutto. Nato nella zona di Talamello da una furbizia contadina per impedire le frequenti razzie dei soldati, è diventato un prodotto particolare, ricercato. Si prendono le forme e si mettono nei sacchi di tela, che vengono poi depositati nelle fosse scavate nel tufo, chiuse da coperchi di legno e di gesso per almeno tre mesi. Quando, a novembre, si aprono le fosse, il formaggio è trasformato, è diventato ambrato e con un sapore marcato, con note di zolfo e di tartufo. Una vera rarità, che da poco è riapparsa all’onor del mondo, diventando in poco tempo uno dei simboli della ricchezza gastronomica italiana da conservare. Altra delizia casearia è la Casciotta di Urbino dop, da latte ovino e vaccino, a pasta semicotta, con crosta sottile e colore bianco. Conserva ed esalta tutti i sapori del latte. Anche il grande Michelangelo la apprezzava, e ogni primavera, quando il latte è migliore, se ne faceva inviare in quantità a Roma. Il prosciutto di Carpegna dop è un crudo a maturazione naturale, dal colore rosa salmone e con poco grasso solido, dal sapore dolce e delicato.
Vini, liquori e oli; trionfo finale
Certo il verdicchio dei Colli di Jesi, bianco delicato e fresco, dai profumi di frutti e di mandorla, retrogusto amarognolo, è conosciuto da molti. Tuttavia, anche gli altri vini marchigiani sono molto interessanti. A partire dagli altri bianchi, come il verdicchio di Matelica (ce n’è anche una versione passito), giallo paglierino, gusto asciutto e armonico, retrogusto amarognolo; il Falerio dei Colli Ascolani (trebbiano, passerina, pecorino), odore di pomi e di acacia, gusto armonico e leggermente acidulo; e il Bianchello del Metauro, bianco da trebbiano e malvasia, di colore giallo-verde, dal sapore secco e fresco; e poi i rossi, come il Rosso Conero (montepulciano e un po’ di sangiovese), rubino con sfumature violacee, armonico e tannico; e il Rosso Piceno (sangiovese e montepulciano), rubino e violaceo, fruttato e vinoso, con un pizzico di liquirizia nel sapore. Due curiosità sono il Vino Cotto e l’Anisetta. Il primo è il succo d’uva bollito, in modo da stabilizzarlo. È una rarità contadina, offerto nelle grandi occasioni, un vino intenso, forte, dolce. La seconda è il liquore della Pimpinella anisum dei Sibillini, un aroma delicato e gradevole, che accompagna alla perfezione la digestione. L’olio de Marchia è un olio particolare, apprezzato già dai Veneziani. Infatti, le navi marchigiane che risalivano il Po pagavano i loro tributi in olio. Ottenuto dalla spremitura di olive leccino e frantoio, ma anche da varietà locali come la coroncina o il piantone, è un olio fruttato medio leggero, con aromi di erba e di mandorla verde, con gusto dolce e note di ammaro e piccante.
Dell’ascolana tenera non vale la pena parlare, la conoscono tutti. Oliva di grande pezzatura, verde brillante, con una polpa morbida, è ideale come oliva da tavola. Conosciuta nella versione all’ascolana, farcita, impanata e fritta. Una delizia, come già dicevano Plinio e Marziale. Poi c’è l’universo del mare di S.Benedetto del Tronto, una dei maggiori porti di pesca italiani. Pesci e molluschi riempiono e danno sapore alle tavole marchigiane.
Volete saperne di più? Chiedete alla Sibilla.
Tipicità
E’ la più importante vetrina per i prodotti di qualità marchigiani. Tutti quelli descritti in questo servizio, dal prosciutto di Carpegna al formaggio di fossa, dal vino all’olio. Una tre giorni di sapori, organizzata per settori: dai Laboratori del Gusto Slow Food all’Enoteca delle Marche; dalla Fucina dei Sapori al Mercatino a Piceno a Tavola. La manifestazione, che si svolge a fine marzo, è affiancata da TipicitàMarcheTur, salone del turismo enogastronomico.
Tipicità, loc. Campiglione, Fermo (Ap), tel. 0734.628810, www.tipicita.org
Mountain Bike
C’è un altro modo di vedere i Sibillini, che richiede però un certo allenamento: in mountain bike. Lo propone il Parco, suggerendo un itinerario in 5 tappe. Nella prima, da Visso a Fiastra (32 km, 1007 mt in salita, 858 mt in discesa) si vedono le pareti rocciose del monte Bova; nella seconda, da Fiastra ad Amandola (40 km, 926 mt in salita, 1148 mt in discesa) si vedono le creste dei Sibillini, le colline del Piceno fino all’Adriatico; nella terza, da Amandola a Montegallo (34,5 km, 1082 mt in salita, 601 mt in discesa) si passa accanto ai monti Sibilla, Vettore, Priora; nella quarta, da Montegallo a Norcia (39 km, 1064 mt in salita, 1471 mt in discesa) si vedono le praterie dei Piani di Castelluccio; nell’ultima tappa, da Norcia a Visso (30 km, 1002 mt in salita, 1002 mt in discesa) le abbazie e i castelli della zona.
Donne dell’Olio
Pandolea come Pandora. Dove “olea” sta per “olio”, e “pand” per la mitica donna-madre che nel suo orcio conserva tutti i guai e le speranze degli uomini. Forse per gli uomini, i maschi, ci sono più guai che altro in quel vaso, ma tant’è. La speranza delle Donne dell’Olio Pandolea, produttrici associate, è quella di riscrivere le regole dell’olio, riportandolo a prodotto “onesto”, nella lavorazione, e “sostenibile”, nel rapporto con l’ambiente e il paesaggio italiano. Obiettivo impossibile? Quando le donne si mettono qualcosa in testa, per di più nel nome di Pandora e dei suoi mille venti, tutto è possibile. Loriana Abruzzetti, presidente e animatrice dell’associazione, produce il suo olio nelle Marche. www.pondolea.it
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