Cambierà nome New Orleans?
Le cronache di questi giorni sono crude, ma efficaci. Alcune foto mostrano, assieme alle rovine provocate dai venti impossibili (oltre trecento chilometri all’ora) e alle strade trasformate in putridi canali, anche cartelli vergati dai cittadini di New Orleans: “you loot, we shoot” (tu saccheggi, noi spariamo).
Ora si ricorre all’esercito (mettono sgomento i mezzi anfibi che percorrono le vie del Vieux Carré), alle forze di polizia per arginare (prima ancora che le acque straripate) la violenza degli uomini. Come tutto ciò non bastasse, si legge della soddisfazione per l’accaduto di chi ascrive alla lungimiranza di Allah il merito di questo scempio: “non avranno più tempo (e meno uomini e risorse) per la guerra in Irak”.
Molti americani sono d’accordo, ma aggiungono alla lista altri “peccati”: primo fra tutti, quello d’aver snobbato il protocollo di Kyoto.
Se l’effetto serra lo permetterà, col trascorrere dei mesi o forse degli anni, tutto si sistemerà a New Orleans, anche se i tempi di recupero mettono paura.
Mesi perché le acque si ritirino, anni perché vengano riedificate le molte case distrutte, specie quelle tanto care ai turisti del mondo: arcate, balconi con ringhiere in ferro battuto, portici, strade e negozi dalle atmosfere rilassate e goderecce; brulicanti di vita, di suoni, di gioia di vivere. Forse, in futuro, verrà naturale cambiar nome alla città: “New-New Orleans”.
Vieux Carré, Jazz e Carnevale
La Vieux Carré Commission, a New Orleans, ha sempre avuto pieni poteri nello stabilire “come” andavano fatte le nuove costruzioni e “come” andavano conservate quelle vecchie; un’architettura ricca di stili diversi, dal coloniale francese e spagnolo a quello ibrido creolo. Avrà molto da fare, la Commissione.
Ad esempio molto lavoro richiederà il Cabildo, un tempo quartiere generale dei dominatori coloniali spagnoli, con le sue case abbellite da arcate spagnole e coperte talvolta da tetti francesi a mansarda, Così come, prossima alla Jackson Square, dovrà valutare cosa recuperare e cosa ricostruire dei famosi appartamenti della zona Pontalba, anch’essa con le abitazioni edificate su arcate in stile francese e ingentilite da balconi in ferro battuto. Per questi ultimi, pare siano pressoché nulle le speranze di trovarne in buono stato.
Chissà quando sarà possibile ripercorrere le strade acciottolate del Vieux Carré.
Il consiglio era quello di visitare il Quartiere Francese senza un preciso itinerario, con lentezza, per assaporare le atmosfere, i profumi, i suoni, i cibi e le bevande di una città davvero speciale.
Chissà ancora come reagirà il cosmo tutto particolare del jazz di New Orleans.
Le cronache ci raccontano del salvataggio, effettuato da un campione di football americano della Lousiana University, di Antoine Fats Domino, a sua volta “campione” del rock americano di qualche decennio fa.
Ci vorrà un po’ di tempo perché venga ripristinato il Jazz and Heritage Festival.
La città è stata il trampolino di lancio per molti musicisti famosi: primo fra tutti il grande Louis Armstrong, detto Satchmo (bocca a sacco); poi Buddy Bolden, Joe “King” Oliver, Kid Ory, Jelly Roll Morton ed altri ancora, tutti ricordati nell’Old Mint, vero e proprio sacrario per la storia del jazz, musica nata da fusioni di ritmi afroamericani ed europei. Il museo conserva la prima cornetta di Louis Armstrong, i gemelli di Bix Beiderbecke e gli strumenti impiegati dalla Original Dixieland Jazz Band. Si tornerà a frequentare le “nuove” taverne di Bourbon Street, nelle quali i jazzisti famosi e quelli improvvisati venivano chiamati “professori”; non tanto perché “istruiti” (alcuni non sapevano nemmeno leggere la musica), ma perché erano divini nell’improvvisarla.
Nella “New-New Orleans” rivivrà senza alcun dubbio il Season Carnival, una tradizione vecchia di oltre cent’anni che ha avuto origine in un club sociale, il Mystick Krewe of Comus, seguito nel tempo da altri club.
Quando tutto sarà a posto, bloccati il Quartiere Francese, St.Charles Avenue e Canal Street, i carri con Re Zulu riprenderanno a gettare fra il pubblico noci di cocco dipinte, dobloni e perline, in un tripudio di suoni e di canti.