Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Alfredo Jaar, arte e denuncia

L’artista cileno vara il suo primo progetto pubblico nel capoluogo lombardo. In città anche Gregory Crewdson che fotografa Tilda Swinton, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffamn, William Macy e Gwyneth Paltrow

Alfredo Jaar, A logo for America
Alfredo Jaar, A logo for America

Ha un respiro internazionale la stagione espositiva aperta a Milano con il primo progetto pubblico di Alfredo Jaar. Spazio Oberdan e Hangar Bicocca presentano un’antologica dell’artista cileno mentre per le strade, nei locali, su manifesti affissi ai muri e immagini pubblicitarie sui mezzi pubblici, saranno diffuse le “domande” ideate da Jaar per comunicare con la città. Poster su sfondo nero, con alcuni interrogativi isolati come “cos’è la cultura?”, “l’intellettuale è inutile?”, “la cultura è critica sociale?” sono il primo passo del progetto: i milanesi sono invitati a rispondere, riportando le apposite cartoline allo spazio Oberdan o inviandole via posta. “Le domande entrano nel flusso di informazioni continue nel quale viviamo”, ha detto Jaar. Sono pensate per chi conosce il progetto, ma anche per chi non ne sa nulla e si sente comunque chiamato in causa dagli interrogativi. Obiettivo, ridare all’arte il ruolo di riflessione sul proprio tempo, tramite il dialogo con le persone.“E’ un modo per irrompere nel contesto della società dei consumi, non voglio imporre nulla, semplicemente rivolgermi agli individui”, ha detto l’autore.
Jaar non è nuovo a queste iniziative: i suoi progetti coinvolgono il pubblico, creano una rete di relazioni. A Skoghall, in Svezia, fa costruire un museo di carta per poi bruciarlo, sotto gli occhi dei cittadini, per mostrar loro il senso della presenza e dell’assenza di un’istituzione culturale nella comunità. A Montreal illumina la cupola del Marché Bonsecours, che ospita gli homeless della città. Le luci rosse si vedono dall’esterno, segnalano un disagio reale ma al tempo stesso rispettano la volontà dei senzatetto di non essere ritratti. 

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Le mostre milanesi

The Eyes of Gutete Emerita, 1996. Courtesy: Daros Collection, Zurich
The Eyes of Gutete Emerita, 1996. Courtesy: Daros Collection, Zurich

Una visita alle due sedi della mostra antologica chiarisce i tanti aspetti originali dell’opera di Jaar: si tratta di fotografie, installazioni, video, alcune delle quali risultato di altri interventi pubblici – ne ha realizzati più di cinquanta – . La più toccante, allo spazio Oberdan, si intitola “Gli occhi di Gutete Emerita” e fa parte del progetto Rwanda, dedicato alle stragi del ’94. Su uno schermo appare lentamente e a tempi cadenzati il volto di Gutete Emerita, una delle donne che allora aveva perso l’intera famiglia. Nella stanza accanto, un milione di diapositive si accumulano una sull’altra: rappresentano tutte la stessa immagine, il dettaglio degli occhi di Glida, metafora del milione di persone morte in Rwanda.
Jaar gioca sulle analogie, ma invita anche a cambiare punto di vista: come per l’opera all’Hangar Bicocca, “Un logo per l’America”, un’animazione digitale su schermo, che era stata esposta al Times Square di New York nel 1987. All’espressione “this is not America”, questa non è America, si sovrappongono le immagini luminose degli Stati Uniti, poi di tutto il continente. “Negli Usa, ma spesso anche altrove, per America si intende la sola nazione statunitense, mentre è in realtà il nome comprende anche Canada, America centrale e meridionale”. Una provocazione, come confermarono le stesse reazioni dei passanti newyorkesi: alcuni di loro, ricorda Jaar, dissero che l’opera sembrava loro “illegale”.

La casa dei sogni di Gregory Crewdson

Dream House, copyright Gregory Crewdson
Dream House, copyright Gregory Crewdson

E’ un’anteprima anche la mostra di Gregory Crewdson, alla galleria Photology in via Moscova: Milano è infatti la tappa d’inizio per il tour europeo della rassegna “dream house”. Crewdson ha chiesto a cinque attori di grido, Tilda Swinton, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffamn, William Macy e Gwyneth Paltrow, di posare per lui, in un contesto molto particolare: una casa non abitata del Vermont, dove tutto è rimasto come quando il proprietario era in vita. L’abitazione è divenuta quindi sede per un lavoro di staged photography: Crewdson ha realizzato delle vere e proprie messe in scena e gli attori hanno “recitato” di fronte all’obiettivo, in quella che ironicamente è stata definita la “casa dei sogni”.
La “dream house” è specchio dei disagi e delle inquietudini nella vita di coppia e familiare: l’atmosfera degli interni è ombrosa e carica di mistero, volti, posture ed espressioni dei soggetti tradiscono un malessere che non riesce a trovare espressione o valvole di sfogo.
Per Crewdson, nato a Brooklyn, classe 1962, la “dream house” è un’ulteriore tappa del suo modo di lavorare per cicli di immagini, come già è successo per “early works”, “natural wonder”, “twilight”, “beneath the roses”.

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Alfredo Jaar, It is difficult
Milano, Spazio Oberdan, dal 3 ottobre al 25 gennaio
Hangar Bicocca, dal 3 ottobre all’11 gennaio
Orario: tutti i giorni 10-19, martedì e giovedì 10-22, lunedì chiuso
Per informazioni: Spazio Oberdan, tel 02 77406300
Hangar Bicocca, tel 02 853531764

Gregory Crewdson, Dream House
Galleria Photology, via della Moscova 25
Fino al 22 novembre
Orario: da martedì a sabato 11-19
Per informazioni: tel  +39 02 6595285

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