Lo spazio è vita. E in nessun luogo della terra, fatta eccezione forse per il solo deserto sahariano, si avverte quest’aura avvolgente di benessere fisico e di calma spirituale che gli immensi spazi d’Australia riescono a trasmettere. Non è una frase di circostanza, né tanto meno un’esagerazione. Ma è l’insieme grandioso del continente australe che, se annusato, inspirato, assorbito nella sua interezza, dà questa inebriante sensazione di compiuta felicità; fisica e mentale. E’ sufficiente una sosta sulle scogliere spaccate e da brivido della Grande Baia, oppure ai bordi di una distesa d’erbe secche mosse dal vento dell’immenso Bush dell’interno, per far propri i messaggi che una natura primordiale e privilegiata riesce a trasmettere. E’ un’esperienza che molti visitatori del grande continente provano, questa. L’enorme distanza che si deve percorrere per spostarsi all’altro capo del mondo è davvero ampiamente compensata dalla visione di panorami incomparabilmente belli.
La Grande Baia Australiana
Abituati alle nostre strade, nelle quali i paesi si susseguono uno attaccato all’altro, non si ha idea di quanti chilometri sia necessario percorrere, in certe zone d’Australia, per spostarsi da un luogo abitato (magari da pochissime persone) all’altro. Lunghi, lunghissimi rettilinei nelle aree interne del paese ma anche lungo la costa; qui la strada è più movimentata e la Flinders Highway, che ha inizio da Ceduna quando si dirama verso sud dalla Eyre Highway che proviene da Perth, è un susseguirsi di promontori, baie più o meno grandi, affascinanti lagune che non si riesce a vedere dove abbiano inizio parallelamente al mare e dove finiscano all’interno. Quest’area geografica ha un nome aborigeno: Mirning. Uno spettacolo unico è poi quello di certi tratti di costa ondulata che all’improvvisano “crollano”, lasciando vedere, decine e decine di metri più in basso, il lavorio incessante del moto ondoso che le scava senza sosta. Visioni da togliere il fiato; precipizi da avvicinare con grande prudenza.
Ecco dunque la pellicola del lungo mare che si dipana, autentico spot per vacanze all’insegna della natura. Laura Bay, disseminata di isole e isolotti; quindi le baie gemelle di Gascoigne e Streaky. E si arriva alla baia di Baird, che rientra in una seconda porzione di terreno che gli aborigeni hanno chiamato Wirangu.
In mare con Delfini e Leoni marini
La costa qui è bassa e sabbiosa. L’insenatura di Baird si insinua all’interno per diversi chilometri. Questo tratto di mare, protetto alla fine della baia da basse isole rocciose, è il regno di delfini e leoni marini. E’ incredibile la dimestichezza che questi animali dimostrano verso i numerosi turisti “pinnati” (e muniti di tute) che sfidano le acque fredde per nuotare in loro compagnia. E’ evidente che gli animali sono abituati alla presenza dell’uomo. Le evoluzioni velocissime che compiono, i tuffi e le immersioni che lasciano scie d’argento sulla superficie marina, sono uno spettacolo sempre nuovo e sempre attraente. Spassosissimi sono i cuccioli, che spesso viaggiano in coppia e si scatenano in finte lotte giocose. Il battello attrezzato per le escursioni del capitano Alan compie giri concentrici nel bel mezzo della baia e sono i delfini, velocissimi, ad affiancarlo nuotando dentro e fuori acqua, come solo loro sanno fare.
Lasciata la baia di Baird, la strada prosegue verso sud-est, alla volta del capoluogo Port Lincoln. Quindi altre baie e altri panorami, sempre vari, sempre unici. Ecco Venus Bay, collegata a una grande laguna; quindi Anxious Bay. Tra la costa alta e scoscesa e una laguna interna dal colore cinerino, vi è un cippo marmoreo che racconta di un antico naufragio; poco dopo si raggiunge il promontorio dove sorge il piccolo centro di Elliston; al largo, l’isola Flinders. Il territorio retrostante ha un altro nome aborigeno: Nauo Barngala. Prima di raggiungere Port Lincoln, si intravede sulla destra la grande baia di Coffin, dal nome poco augurale (baia della “cassa da morto”!). Quindi la vasta penisola che si sviluppa a sud della città, occupata dal Port Lincoln National Park e l’ennesima baia, la più meridionale della Eyre Peninsula, dove sorge questa cittadina famosa per la lavorazione dei tonni, in gran parte acquistati dai giapponesi. I locali, tra le molte specie ittiche disponibili, preferiscono cucinare il barramundi, del quale sono letteralmente ghiotti. Non commestibile invece, perché protetto dal 1997, è lo squalo bianco che si trova dalle parti di Neptune Island, a due ore di navigazione da Port Lincoln. Un bestione lungo cinque metri che i più audaci scendono in mare aperto a fotografare, opportunamente equipaggiati e protetti da una robusta gabbia metallica. Adrenalina allo stato puro.
Verso il cuore della Eyre Peninsula
Tutto un altro mondo, lontano dal mare, è quello che si scopre inoltrandosi nella zona interna dei Flinders Ranges. Da migliaia di anni gli aborigeni Adnyamathanha considerano questa parte del continente la loro terra madre. Le formazioni rocciose che caratterizzano la vasta area di questa grande penisola del sud Australia, sono figlie dei “muda” (storie), di questa “vartha” (terra). I canti e le tradizioni orali degli aborigeni raccontano della creazione delle alture dei Flinders Ranges; da qui dipanano i sentieri del “sogno” aborigeno. E qui, davvero, la natura dà un’esatta dimensione della propria potenza. Lo deve aver pensato anche l’esploratore inglese Edward John Eyre, il primo ad aver attraversato l’intera Australia da est verso ovest. Il suo passaggio nella vasta area che avrebbe poi preso il suo nome – al pari di molti altri luoghi geografici del continente (basti pensare all’immenso Lago Eyre) – risale all’anno 1839. Non sarà rimasto indifferente, l’esploratore amico e in seguito protettore delle tribù locali, alla vista delle numerose formazioni rocciose, vecchie di millenni, che animano il panorama dei Flinders. Rocce dai cento colori e dalle innumerevoli composizioni naturali; laghi salati e non, di ogni forma e dimensione; alcuni disseminati di pietre sminuzzate che, opportunamente “lavorate” dai locali, sono in grado di generare polveri colorate dall’ocra, al giallo, al rosso, da sempre utilizzate per lasciare traccia del proprio passaggio ed esistenza, mediante graffiti sulle pareti rocciose di determinate aree sacre o all’interno di grotte.
Visioni affascinanti di lastroni verticali dai molti colori, come le Pipe Organs, o laghi immensi come il Gairdner, completamente bianco di sale. L’età geologica dei monti Flinders è misurabile nell’ordine di milioni di anni. Particolare questo che ingenera un profondo senso di rispetto per tutto ciò che si ha la fortuna di vedere.
Vita nel bush
Chi vive da queste parti si ritiene una persona privilegiata. Certo, si tratta di scelte di vita o di naturali eredità di nascita. Chi vive qui vive condizionato, quasi cullato dal metronomo della natura, che scandisce il ritmo delle stagioni, esattamente contrarie a quelle che abbiamo in Europa. Il momento magico della fioritura (in novembre) vede nella zona dei Flinders un’esplosione di innumerevoli fiori: orchidee di diverse specie; gigli, margherite blu, gialle, rosa e naturalmente bianche; poi la fioritura delle acacie, solitamente aride e secche. L’acacia pychanta è la pianta nazionale australiana e vi sono esemplari vecchi di seicento anni. Gli indigeni del luogo, per i quali il terreno non ha segreti, si nutrono “anche” dei fiori del bush; ad esempio con i fiori dolci e gravidi di nettare dello yakkas; oppure con i saltbush, piccoli fiori simili a grappoli d’uva; oppure ancora con i pigface, un frutto che sa di fragola.
Il bush dei Flinders Ranges è popolato da una grande varietà di uccelli; sono circa 120 le diverse specie catalogate nella zona, dalle grandi aquile ai più minuti pappagallini dai molti colori. Numerosi sono i canguri, da quelli “rossi” di taglia grande, ai wallabies più piccoli e panciuti, ai “mole”, piatti e grassocci che vivono in cunicoli sotterranei e si nutrono di insetti e formiche. Poi vi sono gli emu dall’aspetto di struzzi, un’infinita varietà di “lizard”, lucertole e piccole iguane dalle differente livree. Il bush è un intreccio continuo di alberi d’alto fusto o a ombrello, di cespugli grandi e piccoli, di vari tipi di erbe gialle, verdi e secche; tutti i vegetali trovano la giusta collocazione. Anche gli uomini, la trovano. Il Kangaluna Bush Camp dei coniugi Scholz, situato nel cuore del Parco Nazionale, ne è la riprova. Vita comoda si, ma “costruita” nel rispetto assoluto di una natura da preservare incontaminata. Le serate nelle tende illuminate da lampade ad acetilene, in ascolto delle numerose “storie” raccontate da Rose, la guida-pittrice degli animali del bush, scorrono piacevoli, in attesa del sole del giorno dopo, quando i Flinders sveleranno innumerevoli e sempre nuove meraviglie.