Si trattava di un teatro inaugurato nel 1690 con l’appellativo Tordinona e divenuto Apollo nel 1796. Voluto da Giacomo D’Alibert, si trovava nella sponda opposta a Castel Sant’Angelo. Nel 1798 vi recitarono per la prima volta tre donne, Susanna Banchieri, Maria Concetta Matrilli e Anna Priori. Nel 1888 fu demolito per permettere la costruzione degli argini del fiume. Sul Lungotevere attuale è presente una Memoria in marmo a ricordo di questo antico teatro. Nella sala successiva, una delle ultime, si cambia musica e si arriva ai giorni nostri con foto di Roma. È presente anche un binocolo per una veduta stereoscopica di Piazza Navona: usufruiamone.
Ambiente successivo e di nuovo salto indietro temporale con il ritratto a grandezza naturale di Elisabetta Brancaccio con i figli nel giardino del palazzo. Neanche a dirlo, in scena è presente un cane. Il quadro si ispira al precedente francese L’Enfant cheri e da esso deriva una certa leggiadria dell’insieme, tipicamente settecentesca. Nobili è bello sembra suggerirci l’autore del quadro, Francesco Gai, che è presente in sala anche con un suo autoritratto, come a voler controllare le nostre reazioni alla sua opera. Ed è a lui che chiediamo il permesso di passare all’ultimo ambiente del palazzo, l’affrescato Casino Torlonia, dal quale sbirciamo Piazza Navona, pronti a rituffarci nella vita cittadina. Una nuova visita museale ci attende: let’s go! (27/07/2012)
Siamo nel 1659 e sullo sfondo è riconoscibile Palazzo Orsini, come abbiamo visto antenato dell’attuale Palazzo Braschi. Che Roma nel ‘700 fosse una città quasi di campagna ce lo dimostra Paolo Anesi nella sua Veduta Del Campidoglio e Foro Romano: gente seduta sull’erba e una donna che lava i panni a una fontana. Se non dovessimo avere urgenza di andare alla toilette, che si trova in questa sala, è tempo di procedere oltre ed andare a scoprire, nell’ambiente successivo, i quadri di Giuseppe e Pier Leone Ghezzi, rispettivamente padre e figlio.
Ci colpiscono due tele del figlio Pier Leone, entrambe raffiguranti la cerimonia del conferimento del cappello cardinalizio. In un caso si tratta di Innocenzo X che premia Fabio Chigi, in un’altra Clemente XI che fa lo stesso con Giulio Alberoni.
Il capolavoro assoluto di Pier Leone Ghezzi è rappresentato dagli affreschi per Villa Falconieri a Frascati nel 1727, mentre con curiosità apprendiamo che egli stesso fu anche disegnatore di macchine per fuochi artificiali e apparati per feste.
Nella sala seguente ci colpiscono due oggetti custoditi in una vetrina: il primo è una maiolica rappresentante un Leone possente. Fu dedicato e regalato da Giovanni Volpato a Pio VI Braschi in occasione della visita di quest’ultimo alla studio dell’incisore vicentino. L’oggetto rappresentava l’emblema araldico della famiglia Braschi-Onesti ed era ispirato al Leone marmoreo all’epoca ancora collocato sulla facciata del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio. Sempre di Volpato è una riproduzione in piccolo dell’Ercole Farnese. L’originale in marmo, gigante, troneggia all’interno di Palazzo Farnese, sede attuale dell’Ambasciata di Francia.
Per chi ama la vedutistica, la prossima sala che incontriamo è una vera e propria gioia per gli occhi, grazie a una serie di capolavori di Ippolito Caffi. Il Caffi fu una delle personalità artistiche più acclamate dell’800 italiano. Vedutista eccellente e di respiro internazionale, fu accostato a Turner e Corot. Fu l’antesignano dei fotoreporter attuali. Solo che, anziché fotografare con la macchina fotografica, immortalava le scene con il pennello. Patriota, seguì da vicino tutte le operazioni belliche che videro protagonista la nascente Italia unita.
Questo suo coraggio gli fu fatale nel 1856: ottenuto il permesso di imbarcarsi al seguito della flotta impegnata nella battaglia navale di Lissa contro gli austriaci, pronto a riprendere tutte le fasi del conflitto, affondò sulla nave ammiraglia. Noi ne onoriamo la memoria fissando i suoi Fuochi d’artificio al Colosseo e La festa degli artisti a Tor Cervara. Questa festa era una tradizione della comunità internazionale degli artisti che aveva la consuetudine di organizzare riunioni in luoghi simbolici della campagna intorno Roma. In questa occasione siamo a Tor de’ Schiavi sulla Prenestina.
Qui gli artisti si raccoglievano per raggiungere poi le grotte di Tor Cervara dove si festeggiava l’arrivo della primavera. Sarà un caso che l’inverno difficilmente viene festeggiato dagli amanti dell’arte e della natura?
Con questo quesito in cerca di una risposta nella nostra mente saliamo al secondo piano di Palazzo Braschi. A questo punto una precisazione è d’obbligo: la ristrutturazione di questo edificio è in continua evoluzione, per cui al momento della vostra visita potreste ritrovarvi davanti una disposizione delle sale e delle opere d’arte diversa rispetto a quanto letto in queste pagine. In caso, perdonatemi, è un disguido non dipendente dalla mia volontà. Premesso questo, addentriamoci nel secondo piano del palazzo.
Ad accoglierci la Sala dei Torlonia, nella quale due grandi specchi, installati in entrambi i lati corti, allungano ancor di più questa sala rettangolare. Andando alla nostra sinistra, nell’ambiente successivo troviamo esposte le copie dei Sette Sacramenti di Nicolas Poussin, ad opera di Andrè de Muynk.
Tra questi L’Eucarestia ci colpisce perché incredibilmente scuro, quasi buio. Riattraversando la sala dei Torlonia e resistendo alla tentazione di rimanere fissi a rimirare la nostra immagine riflessa in uno dei due specchi, approdiamo nella sala successiva, nella quale sono presenti le 12 Lunette raffiguranti le allegorie dei mesi. Ciascuno scelga il proprio mese di nascita o il mese preferito e veda se l’allegoria scelta dell’autore, Filippo Bigioli, è di suo gradimento. Al centro una porta di palco teatrale del Teatro Apollo.