Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Esplorando l’anima del mondo

Italo Bertolasi, viaggiatore, fotografo, scrittore per i più importanti magazine geografici d’Europa, presidente di Clown One Italia Onlus, nel 1970 inizia il suo “pellegrinaggio” nel cuore dell’Oriente. Nel libro “Nell’anima del mondo”, Urra Editore, Bertolasi ci racconta le sue esperienze in luoghi straordinari del Pianeta, con un occhio di riguardo alle tecniche di meditazione nella Natura

Italo Bertolasi
Italo Bertolasi

Anch’io ho sempre sentito grande nostalgia di spazi senza confini e di modi di vivere zingari e sempre in viaggio. E il mio viaggio in Oriente non era solo verso i bei templi del Nepal, verso luoghi precisi, ma piuttosto verso “deserti” d’alta montagna, verso foreste e altre terre selvagge. I miei viaggi mi hanno così portato a conoscere angoli di mondo dove nessuno va mai e dove ho trovato cose meravigliose. Vagabondando a piedi con tanta terra davanti e tanto tempo che mi regalava la libertà assoluta di fare e non fare. E la gioia di cibarmi del fresco inebriante dell’alba, di odorare il profumo del vento. Per la prima volta vedevo animarsi il mondo nei cieli stellati fosforescenti e nei deserti infiniti. Il mio camminare diventava via via una vera meditazione e un’arte che mi restituiva gioia, forza e creatività. Ritrovavo anche con molto piacere quel corpo da cui mi ero allontanato da tempo: antico, delicato e sensuale. Penetravo come un amante nel caldo e accogliente corpo di un altro mondo, dove la morbidezza aveva ragione della durezza, la debolezza della forza, la selvaggità della cultura. Dove splendeva semplicità e naturalezza e uno strano silenzio: “Senza parlare e senza agire, il saggio realizza grandi cose accordandosi al corso naturale della vita“. I miei viaggi più belli li ho compiuti senza guide turistiche in tasca e senza mete precise da raggiungere.

Esplorando l'anima del mondo

Un magnetismo misterioso mi conduceva sempre nella direzione giusta: verso silenzi e grandi vuoti che mi allontanavano dalle città della noia e delle paure. Dopo molti vagabondaggi e molte incertezze, ho scelto la “via” della montagna: ho così visitato i “monti degli dei e degli eroi” e i “monti dei morti” che si scalavano per “diventare invisibili” e per “sparire nella montagna”, dove puoi trovare forze ed energie sovrumane. Dove non si fa alpinismo e non si conquistano vette (sarebbe una profanazione), ma dove invece si sale per ritrovare Dio, l’ebbrezza del vuoto e quelle sensazioni profonde che, fin dall’antichità, hanno spinto l’uomo a divinizzare le montagne. Le mie guide e i miei “eroi del viaggio” li ho incontrati per caso. Non li ho trovati né in monasteri né in accademie, ma tra la polvere delle strade e sui sentieri che mi portavano verso l’Himalaya, il regno delle nevi, e verso altri eden alpestri. Questi “maestri” selvatici non ostentano poteri e virtù speciali. A prima vista sembrano persone qualsiasi e perciò invisibili a chi sale distratto. Lungo la “Via della montagna” non trovi divinità da adorare, né speciali tecniche spirituali da imparare. Se riuscirai nell’impresa più difficile potrai gustare il “bagno di foresta” per tornare a vivere un po’ da selvaggio e riscoprire la tua fratellanza con tutte le creature della natura. Ti potrai fondere con gli elementi: acqua, terra, aria e fuoco. Ma anche con pietre speciali, gli alberi secolari, le nubi nel cielo. Trovando alla fine te stesso.

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Il bagno di cascata, sulle Alpi Giapponesi,un rito per consacrarsi con l’acqua

È una specie di orgasmo che ti educa al piacere di sentirti esplodere, trasformarti, espanderti. Con un corpo in trance, in viaggio, finalmente polimorfo, che avrà il coraggio di amare e di morire. Tutto questo, forse, è il nuovissimo “zen” della strada e del'”antimente”, che privilegia le percezioni intuitive. Dove “coloro che sanno non parlano e coloro che parlano non sanno”. E dove i sani, che sono anche i santi, non sono più i cittadini ben educati o i credenti ortodossi, ma invece i Sufi straccioni, i monaci erranti, gli artisti e tutti quei veri vagabondi che si mettono in viaggio con grande autonomia e grande coraggio verso un mondo interiore e ideale. La fatica e i digiuni scavano e levigano come pietre di fiume il corpo di questi esploratori, che diventano belli e scarni come una terra selvaggia non coltivata. “Espressivi, sensuali, apertamente sessuali, estatici” come degli amanti. Alcuni santi di strada li ho incontrati anche in mezzo al traffico di grandi città: New York, Pechino e Tokyo. Altri nei grandi cuori selvaggi dell’Asia: i deserti dell’Afghanistan, le terre alte dell’Himalaya e i vulcani del Giappone e di Bali. La “quarta circonvallazione” è un nuovo anello stradale che strozza la vecchia Pechino. Settanta chilometri di asfalto circondano la città divina “dove Cielo e Terra sono in accordo, dove si incontrano le quattro stagioni, si riuniscono i venti e le piogge e si armonizzano le forze dello Yin e dello Yang”. È un bloob di cemento che emana una nube tossica di gas di scarico e di rumori assordanti. Ai lati di questo inferno d’asfalto vive una tribù misteriosa di santi barboni che camminano senza fretta e senza una meta apparente. Per loro le strade più trafficate sono una sfida e una terra di missione. E quel camminare in mezzo a un caos di acciai che schizzano da ogni parte è una danza rituale che riarmonizza il mondo. Alcuni di loro praticano, in misere aiuole sotto i cavalcavia, il Qi Gong, un’antica ginnastica salutista taoista. È una preghiera che urla più forte di tutto il fracasso di quelle autostrade. Che puoi captare a livello subliminale e che punta dritta al tuo cuore.

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