Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Afghanistan. Avventure in un paese negato

Così si intitola il volume digitale di Asterisk edizioni dedicato a un Paese dal fascino indiscusso. Il punto di vista è quello dei viaggiatori che hanno potuto visitare l’Afghanistan negli anni in cui le sue frontiere non erano chiuse a causa delle bombe e del terrorismo. Un libro scritto a più mani. Qui vi proponiamo la testimonianza di Carlo Lucidi

Afghanistan. Avventure in un paese negato

«ln questo paese» ci diceva un ragazzo, portiere nel nostro alberghetto e studente all’universita di Kabul «si fumano sigarette americane accese con fiammiferi russi». L’unica strada asfaltata, tra Kabul e Kandahar è stata costruita dagli americani e sembra tanto una pista per B 52 mentre tra Kabul ed il confine russo è opera dei russi e sembra tanto una pista per carri armati. L’esercito è dotato di camionette Gaz russe, la gente però va in giro su scassatissime macchine americane tenute in piedi da fil di ferro e preghiere ad Allah. Fuori Kabul, per ogni 4 mezzi incontrati uno era fermo sul ciglio della pista in riparazione (media statistica). E quando alla fine da Kabul te ne parti, un po’ di rimpianto lo provi: ladroni sì, sporchi sì, ma in fondo onesti, corretti e gentili.

 

Kabul – Salang Pass – Mazar Y Shariff – Pouli Kumri • Doshi – Bamyan – Band-e Amir – Kabul

Finalmente recuperiamo i nostri pullmini dagli amici del Marco Polo 1 e dalle grinfie del meccanico e ci dirigiamo al Nord verso il Salang Pass, 90 km nord di Kabul a 3.500 metri lungo una strada tortuosissima, in molti punti disselciata. ln cima, dentro carrozzoni di legno e ferro, un corpo di soldati che sta di guardia al tunnel di 2 km e nell’attesa che succeda qualcosa, vende trote pescate in giornata e messe in bidoni ancora vive. Guadagnano circa 3.000 lire al mese e vendono una trota per 150 lire. Sul passo, carovane di cammelli che vengono dalla regione di Kunduz e Schebercan ed usufruiscono delle meraviglie della moderna ingegneria stradale. Ne abbiamo incontrata una sotto una galleria buia pesta: uno spettacolo surreale, nel buio, sciabolati dai fari, noi procedendo a 20-30 Km l’ora per la strada dissestata, bambini, uomini barbuti ed inturbantati con fuciloni vetusti dall’aria fiera ed orgogliosa. Una favola sullo schermo del parabrezza. Sotto il passo si apre la vallata di Kinjan che fino a Doshi segue il corso di un fiume dal letto sassoso.

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A Kinjan dormiamo nel giardino dell’albergo locale. Abbastanza pulito ed ospitale. ll proprietario ci invita a fare un bagno in piscina… una buca di cemento piena d’acqua stagnante, marrone per lo sporco e piena di rane.

Afghanistan. Avventure in un paese negato

Dormiamo nel giardino del Mazar Hotel, che dispone di bagni e docce e spazio per le tende. Ci siamo solo noi, come europei, in tutto Mazar, tuttavia la gente non è appiccicosa; sono discreti e cordiali e pieni di curiosità nei riguardi degli occidentali. Dopo Mazar, torniamo indietro con l’intenzione di prendere la pista per Bamyan a Charigar; le informazioni raccolte ci davano questo itinerario come l’unico possibile; la pista di Girdah ce l’avevano descritta assolutamente impraticabile ed eravamo decisi a rifare il Salang Pass fino al bivio Charigar – Bamyan. Ed invece… arriviamo in serata a Kinian ed uno dei mezzi si mette a fumare olio come un disperato, a non tirare, a camminare a tre cilindri. Panne secca.

Scopriamo che l’unico posto dove fare una riparazione definitiva e Poulikumri, circa 50 km verso Mazar, dove esiste un fantomatico servizio di assistenza e che inoltre la strada per Bamyan via Valle dei Re (Girdah) è buona e fattibile. A farla breve torniamo a Poulikumri dove stiamo fermi due giorni ed in due giorni torniamo due volte a Kabul per trovare cilindro pistone e filtro dell’olio, facendo il Salang Pass 4 volte di seguito. Alla fine un meccanico – maestro elementare – ci sistema tutto e possiamo ripartire via Girdah. Un paradiso: 250 km circa che ci prendono tutto il giorno fino a notte inoltrata, attraverso una vallata stupenda, verdissima sullo sfondo di montagne immense, stretta e sottile pochi metri intorno al letto di ruscelli pieni di pesci guizzanti, abbiamo fatto guadi, scavalcato fossi, siamo entrati ed usciti da burroni capaci di contenere il pulmino per intero, sassi, polverone, abbiamo incontrato pochissima gente, il tutto in un ambiente da Shangri-Lah. Alla fine, in nottata Bamyan.

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Afghanistan. Avventure in un paese negato

Compriamo il nan, l’onnipresente focaccia che accompagnerà per tutto il viaggio i nostri scarni pasti. La cassa cucina a pieno regime sforna minestre e spaghetti, mentre parte di noi, veloci come lanzichenecchi, piazza le tende e monta il campo; siamo di un coordinamento spaventoso, vere truppe da sbarco. Il giorno dopo costeggiamo il Doshi per un bel tratto ed in serata raggiungiamo Mazar Y Shariff, a 30 km dal confine delle Repubbliche Centrali dell’Asia Sovietica. Mazar e Ia Moschea Blu, vastissimo edificio a pianta quadrata come al solito tutto piastrellato e maiolicato, datato XII secolo. Contiene le spoglie del Califfo Alì, il IV della dinastia dell’lslam. Noi infedeli siamo ammessi nel cortile, anche questo tutto piastrellato ed animato da ragazzini e ragazzetti. Un pozzo bellissimo nel centro del cortile serve per le abluzioni rituali. Le facciamo anche noi, non rituali, ma suscitano un coro di commenti e risatine dai presenti. L’acqua è freschissima ed è potabilissima. Un ristoro sopraffino. Un posto pieno di pace e di luce. Una madre afghana, coperta dalla testa ai piedi di un nero chadri si intenerisce alla vista, di Sandra bimbetta di cinque anni, mascotte del gruppo, la più piena di energie, e le carezza i capelli. Poi, in cambio, tira fuori da sotto il chadri il suo bimbetto, appena nato, involtolato strettissimo nelle fasce; le svolge parzialmente per estrarne le braccia e lo mette in posa per farcelo fotografare assieme a lei. È dolcissima, cerchiamo di farle capire che le spediremo la fotografia se ci da un recapito, ma non è possibile capirci.

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