Da tempo, più di mezzo secolo, la Spagna ‘me gusta’, anzi, qualcosa di più. E forse forse anch’io (beninteso nel mio piccolo) piaccio alla Spagna. Sennò i miei amici iberici mica mi avrebbero assegnato (non so se ben meritati, ma questa, avrebbe detto Kipling, è un’altra storia) un valido riconoscimento. Una “Medalla al Merito Turistico” e una molto importante “condecoraciòn”: la “Cruz de Oficial de la Orden de Isabel la Catolica”.
Aggiungo inoltre che per quelle vicende a volte misteriose dagli antichi chiamate Fato, mi ritrovo pure tra le fila dei periodistas de turismo spagnoli. Bazzicando alla Fitur di Madrid nello stand della Fepet, gli scribi turistici iberici, conobbi Paco Rivero, lìder maximo dei giornalisti extemeños che ci mise poco a convincermi ad arruolarmi.
Spagna a Milano: 181 anni di presenza
Da quanto sopra si evince facilmente che sulla Spagna non posso che aver scritto parecchio, anzi di più. Da un sommario conteggio scopro di aver scritto più o meno 180 articoli. Tutti, però, dedicati (vabbè, ovvio) alla “Spagna in Spagna”, ma manco uno che tentasse di descrivere la “Spagna a Milano”. “Robb de matt” si direbbe nella città che mi ospita negli intervalli delle mie andate a sud dei Pirenei.
Per la “Spagna a Milano” mi riferisco al periodo che vide l’impero spagnolo Sul quale non tramontava mai il sole, padrone del Milanesado (sarebbe inesatto parlare di Lombardia. La parte bergamasco-bresciana era veneziana. L’attuale Oltrepò ebbe vari padroni tra cui i Savoia; mentre spagnolo era il Piemonte orientale sull’altra sponda del Ticino).
Un periodo storico, la “Spagna a Milano” (importante, perché successivo al Rinascimento e alla Scoperta dell’America) durato 181 anni: dal 1525 al 1706. Dalla vittoria di Carlo V di Absburgo e I di Spagna su Francesco I di Francia, nel 1525 (la conquista poi si formalizzò solo nel 1535, alla morte dell’ultimo Duca di Milano), al 1706 (trattato di Baden alla fine della guerra di Successione spagnola).
Spagna a Milano: la Torre Velasca fronteggia la Via ‘Lunga’
Ma cosa resta “di spagnolo” a Milano? Parecchio e curioso, non meno che vario. Si spazia dall’architettura alle tradizioni, dal linguistica alla letteratura (dal manzoniano Adelante Pedro con Juicio, al nientemeno che Cervantes Lleguè con prospero viaje a Genova, fui desde allì a Milàn, XXXIX Don Chisciotte). E allora ghe pensi mì a far da guida, beninteso disordinatamente e senza parolone, a la buena de dios.
In giro per Milano, comincio col sorprendere la cortese aficiòn lettrice (È del poeta il fin la meraviglia, guarda caso G. B. Marino seicentesco poeta dell’Italia ispanica, in questo caso napoletana) informando che il più emblematico e storico dei grattacieli milanesi deve il nome al periodo Spagnolo. La Torre Velasca così chiamasi in seguito a una brillante idea del governatore Juan Fernandez de Velasco che ordinò l’apertura di una strada tra via Larga (che, appunto, in spagnolo vuol dire lunga, larga si dice ancha) e corso di Porta Romana (al Castello esiste un baluardo Velasco, collegato ai bastioni, di cui restano alcune tracce, nel 1549, governatore Francisco de Avalos).
Spagna a Milano: dal Centro alle Mura
Le mura spagnole viste dal giardino di un centro benesserePiù concretamente, a Porta Romana tante le costruzioni spagnole doc (nel corso stesso, al n° 3, si ammira il Palazzo Acerbi risalente al Milanesado), monumentale l’arco trionfale eretto in occasione del passaggio della principessa Margherita d’Austria, diretta a Madrid a sposare Filippo III e poco distanti le Mura spagnole. Oltre a Velasco, don Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes (l’omonimo forte nel Pian di Spagna, da lui voluto, proteggeva el Camino per le Fiandre) dotò Milano di importanti costruzioni: il palazzo del Capitano di Giustizia oggi sede dei Ghisa e la Darsena (l’attuale Conca fallata, in spagnolo breccia, apertura).
E del pari è spagnolo (ancorché in minima parte, soltanto – ho sentito dire – la finestra in basso a sinistra, l’edificio fu rifatto dal Beltrami a fine ‘800) l’attuale ufficio del sindìc, Palazzo Marino. Un magione un po’ sfigata: come se non bastassero svariati assassinii ivi consumati e il fallimento del banchiere che la commissionò al celebre architetto Galeazzo Alessi, una Marina, Virginia (vedi Promessi Sposi) sposò el capitàn De Leyva e da loro nacque Marianna, la trista Monaca di Monza).
Spagna a Milano: vistose tracce iberiche nel dialetto
Sempre in centro, la Milano “spagnola” è presente nel Palazzo Reale. Appena restaurato da Ferrante Gonzaga, vi dormì Filippo II il governatore che fece costruire come residenza estiva la Villa Simonetta, poco distante dal cimitero Monumentale.
Ma, meno aulicamente, le huella-tracce più simpatiche del Milanesado sono custodite nelle tradizioni. In cucina, per esempio. La milanesissima cassoela alias cazuela-casseruola e il pesce in escabeche-carpione. Né varia la traduzione di pomodori, tomates, in spagnolo e nel dialetto meneghino; mentre i sapidi mondeghini hanno origine catalana.
Se poi un milanese si spaventa prova uno stremizzi (dallo spagnolo estremecer), rognà nel senso di brontolare deriva da rosnar, chi fà marron commette uno sbaglio (marro) e stia almeno attento a non scarligà-scivolare (escarligar). E quanto al chulo (nello spagnolo moderno guappo, spaccone, bellimbusto, aiutante del torero, ma anche carino) il moderno milanese ciula, ciulare designa solo un pirla che se la vuol far bene, comunque non un locch (dallo spagnolo loco-matto).