Domenica 8 Settembre 2024 - Anno XXII

Passaggio a nord-ovest. Sulle tracce di Amundsen

Poeta e scrittore genovese, Maggiari approda a
Gjøa Haven, un insediamento Inuit del Nunavut in Canada, vicino al Circolo Polare Artico. Nel gelo incontrerà Paul Ikuallaq, il nipote di Roald Amundsen, l’intrepido norvegese, esploratore dei poli. Un viaggio avventuroso lungo le rotte dell’Artico scandito da prosa e poesia nel libro “Passaggio a nord ovest”, Alpine Studio editore

Inuit sul pack vicino a Gjoa Haven
Inuit sul pack vicino a Gjoa Haven

Destinazione Nunavut

. Nuovo territorio federale di amministrazione inuit. Partenza alle quattro e mezzo del mattino. Mi ci vorranno otto aerei e oltre venti ore di volo per raggiungere la destinazione artica e ritornare alla base di Charleston dopo dieci giorni. Lassù sulle sponde di una baia a forma di uncino, in un territorio immenso oltre il Canada, si trova Gjoa Haven.

Il solo menzionare quel nome richiama le peripezie di una storia bellissima. Questo villaggio è stato fondato da Roald Engelbregt Amundsen tra il 1903 e il 1906 durante un’epica esplorazione del passaggio a nord ovest che sbalordì il mondo intero. Sorprese tutti l’impresa del vascello Gjøa per la sua partenza lampo, i mezzi limitati a disposizione, la passione negli animi dei sette esploratori, l’influenza benevola della sorte.

E alla fine, lo straordinario annuncio di Amundsen, dopo un’interminabile corsa in slitta lungo il fiume Yukon fino al primo telegrafo in Alaska. Il gruppo di norvegesi passò in quella baia ben due inverni, incontrando nelle vicinanze dei cacciatori inuit e fraternizzando con loro e le loro famiglie. Così, per caso, si formò proprio allora una piccola comunità che ancora oggi vive coi suoi milleduecento residenti una quotidianità fatta di incontri, affettuosità e profonda umanità.

Amundsen imparerà da quella umile gente a vestirsi come un inuit, a cacciare e a pescare in ogni stagione, a usare con astuzia cani e slitte, a costruire l’igloo, a leggere la neve e il ghiaccio, a saper aspettare il momento propizio e a comprendere le rotte iscritte dal vento sui mari di ghiaccio. Proprio lì, nel passaggio a nord-ovest, Roald ritornava alle radici vichinghe per preparare la più grande impresa della sua vita: la conquista del polo sud (1911-13).

Passaggio a nord ovest, Alpine Studio editore, pagine 224,prezzo  15,00 euro
Passaggio a nord ovest, Alpine Studio editore, pagine 224,prezzo 15,00 euro

All’arrivo il piccolo aereo tocca la pista con un tonfo sordo, stiamo scorrendo veloci su di una superficie ghiacciata circondata a trecentosessanta gradi dal biancore artico. A bordo siamo in cinque e in silenzio attendiamo l’attracco. Tutto va liscio. S’apre il portellone. “Welcome! Benvenuti!” Siete arrivati quasi in cima a tutta la terrestrità del mondo. Il sole vola basso sull’orizzonte ed è lì che appartiene a queste latitudini, mentre i profili di oggetti e persone, bersagliati dalla luce intensa, s’accendono di bagliori che vanno subito a evaporare nell’infinito. Mi aspetta Gerard nella gelida sala d’aspetto, un simpatico irlandese dal baffetto vispo, che mi darà uno strappo al rustico alloggio di cui è il gestore.

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Il gelo è feroce. Siamo a -40 e tra una folata e l’altra, il mirino della temperatura a volte scorre molto più in giù. Facendo conversazione, mi racconta del luogo e della gente che abita qui, mentre io rivelo lo scopo preciso della mia visita. Sono a Gjoa Haven per incontrare il nipote di Roald Amundsen, un certo Paul Ikuallaq che sarà anche la mia guida nei dintorni di Uqsuqtuuq (nome inuktitut di Gjoa Haven che significa “abbondanza di grasso”).

Con Paul intendo esplorare i dintorni, incontrare i membri della comunità, parlare dell’antenato e capire da dentro e fuori quello che il norvegese ha imparato da quella gente che riesce a farla franca in quei luoghi così ostili.

Cacciatore Inuit a Gjoa Haven
Cacciatore Inuit a Gjoa Haven

Gerard capisce allora che sono uno degli occasionali pellegrini che compaiono sulle traccia di Amundsen e della sua memoria. Un ricercatore volenteroso, probabilmente curioso di capire di più. Lasciate le mie cose in camera, provo a recarmi al monumento dell’esploratore su di un promontorio di fronte alla baia. Inutile quel frettoloso tentativo. Il freddo e il vento mi costringono a un rientro forfettario. L’equipaggiamento alpino non è sufficiente da queste parti. Devo trovare una soluzione con Paul che senza dubbio potrà aiutarmi. È lui, la mia guida inuit.

Con il suo retaggio e la mia ammirazione per l’avo, non può che esserci un buon feeling sin dall’inizio. L’indomani vado a casa sua e da subito faremo amicizia. Incontrerò la moglie, i nipotini e quasi tutta la famiglia. In un inglese sillabato pazientemente la signora Ikuallaq mi confesserà di essere nata in un igloo e che lì faceva freddo a pensarci bene, ma che stando tutti insieme si sentiva meno quel freddo. Finisce il racconto con una frase lapidaria, pronunciata da chi l’ha vissuta nei contenuti: sì, la natura può essere crudele.

Mi vestiranno con parka e stivali del figlio e poi scivoleremo via oltre la doppia porta di casa verso l’avventura dei ghiacci e di Amundsen. Prima tappa i luoghi dove i norvegesi hanno costruito i rifugi per vivere e per condurre lo studio scientifico del polo nord magnetico. Fotografo le placche commemorative e leggo con attenzione le informazioni che riportano. Alla storia ufficiale si aggiungono le testimonianze di anziani locali.

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Uno di loro è Bob, il fratello di Paul. Penso di essere proprio sulla pista buona. Poco dopo andiamo a fargli una visita nella sua casa di fronte alla baia. Entriamo, siede vicino alla finestra, ci saluta con un sorriso distaccato e prudente. Prende i binocoli e per un attimo guarda lontano parlando tra sé. “Ci sono i cacciatori di foche sulla banchisa, stanno seguendo le tracce della volpe in cerca di una preda…” “Fantastico!” mi dico, sto davvero entrando nell’anima del luogo, nei suoi intimi meandri.

Passaggio a nord ovest Roald Amundsen
Roald Amundsen
Roald Amundsen

Seguirà una lunga conversazione in cui l’uomo, aprendosi, riderà, farà battute, rivisitando con magnanimità la figura del nonno. Sunto dell’incontro: Amundsen si era comportato in modo amichevole con gli inuit, c’era stato scambio reciproco e anche loro avevano imparato dagli esploratori ricevendo oggetti utili.

Alle parole dell’anziano non posso fare a meno di pensare al duca degli Abruzzi, a Cagni, a Vittorio Sella e a tutti quegli italiani che nell’avventura artica avevano dimostrato la nobile dote della solidarietà e dell’apertura mentale verso nuovi mondi. Del resto lo stile di gestione del norvegese e quello del duca erano stati simili. Non solo permettendo a ogni membro della spedizione di avere un certo spazio di libertà personale, ma anche rischiando in prima persona come pure evitando protagonismi inutili o di protocollo.

In cima al Sant’Elia in Alaska, il duca degli Abruzzi era salito davvero insieme a tutti gli altri membri della spedizione. Evitando inchini e onori di rango. Sentendosi onorato tra quei compagni di viaggio, a cui porgeva un comando basato sul carisma e la forza delle braccia.

Riempito lo stomaco con qualche galletta ligure trafugata dal bagaglio personale, eccoci via di nuovo in motoslitta all’inseguimento dei cacciatori sulla banchisa. A una crepacciata ci fermiamo e Paul mi spiega che è lì che le foche affiorano per prendere una boccata d’aria rischiando di essere catturate. Con un arpione delicatamente saggia la consistenza della neve.

Finita l’operazione, prendiamo la rincorsa con lo skidoo e saltiamo al di là dei bordi di gelo mantecato. Andiamo avanti in una distesa che spazia mozzafiato a 360 gradi. Sparisce a distanza il villaggio con le sue ultime casupole. Passata una docile collina, siamo veramente soli, in un mare che vaga tra una folgorante varietà di blu, celeste e bianco.

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Iceberg al largo di Tasiilaq, Groenlandia
Iceberg al largo di Tasiilaq, Groenlandia

Non so dove stia andando, cosa stia inseguendo, tutto sembra uguale e monotono, a tratti accecante. Il freddo mi imbavaglia lo sguardo, le mani si rifugiano dietro le spalle del conducente. Ma quella Vespa artica sembra saettare con un’agilità che alla chiusura degli occhi mi fa sentire in una viuzza di Genova.

Il rumore è talmente familiare che si sta bene al sentirlo. Fa casa. All’improvviso una fermata brusca. Come dal nulla sono sbucati due cacciatori. Uno di loro è un uomo anziano in uno spesso parka fatto di pelle di caribou. Non parla inglese. Viene avanti levandosi un guanto e offrendomi la mano. A quella temperatura è un atto di puro coraggio. Ma il tipetto è a suo agio, ride, parla in inuktitut con Paul.

La caccia è andata buca oggi e ci riproverà domani. L’altro cacciatore è un insegnante di educazione fisica nella scuola locale. Scruta pensoso l’orizzonte. “A dieci o dodici miglia in quella direzione c’è un gruppo di giovani con gli elders che stanno imparando a come sopravvivere sul ghiaccio.” Paul sorride. Sa bene ciò che significa quell’esperienza. Sa anche che impareranno in qualche modo.

Con l’indigena artic patrol ha per anni vagabondato lungo il passaggio a nord-ovest. Assieme a dené, metis, e altri inuit, per giorni e mesi ha fatto spola da Resolute Bay a Cambridge Bay. Saliamo sulla motoslitta, s’avvia il motore. Il Vespino riprende la corsa. Per un attimo guardo la luce che rosea bagna tutto un lastricato di ghiaccio infinito. A causa del freddo, riappendo lo sguardo. E dentro di me capisco che per noi liguri il deserto di ghiaccio era stato da sempre il mare, con il suo richiamo muto e costante. Con maestria, lo skidoo alato dirige verso il tramonto. L’avventura artica continua.

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