Il volume L’Oro di Milano ha messo insieme testi, immagini, documenti che sono stati oggetto della mostra che per cinque mesi è stata esposta al Castello Sforzesco. Milano e l’oro bianco delle sue acque, un grande patrimonio naturale con il quale la città ha sempre dovuto fare i conti. Al centro di un sistema naturale di fiumi, il Ticino e l’Adda, e di una serie di corsi d’acqua minori, il Lambro, la Vettabbia, il Seveso, la Martesana, ecc. Milano ha fruito della enorme estensione planiziale padana. Non è stato semplice convivere nei periodi delle grandi piogge e delle nebbie spesse con questi fiumi che si gonfiavano. Dalla gloriosa parentesi romana, fino al medioevo, quando i monaci fecero buon uso delle acque risorgive e delle polle dove si stabilirono e fondarono comunità religiose intorno alle Abbazie di Chiaravalle e di Viboldone, una rete che prosegue fino a Mirasole e Morimondo. Il sistema delle marcite, grazie alla temperatura mite costante, consentiva di raccogliere più di sette tagli di foraggio l’anno. Lo sviluppo urbanistico e la crescita di Milano determinarono l’esigenza di convogliare ordinatamente le acque di attraversamento che confluiscono a valle nel Lambro, nel Ticino e poi nel Po.
La mostra allestita al Castello Sforzesco di Milano, riprodotta nel catalogo curato da Maria Antonietta Breda, docente di Storia dell’Architettura al Politecnico, da Maurizio Brown, ingegnere e Direttore del Servizio Fognature e Corsi d’acqua del Comune e da Pietro Redondi, professore di Storia della Scienza all’Università Bicocca, illustra questo sviluppo attraverso 128 tra fotografie e carte suddivise in sei sezioni tematiche, con testi e didascalie. Dalle origini (‘Una città nata dalle acque’ nella Sezione I) si ricostruisce l’avvento della depurazione agricola delle acque nere grazie alle marcite, verso sud, convogliate nella Roggia Vettabbia, navigabile fin dall’epoca romana, utilizzata come collettore delle acque di rifiuto della città, sversate per l’irrigazione di ampie porzioni di campagna coltivata a prati marcitori, ingegnosamente utilizzati per accogliere le acque luride in un sistema di depurazione naturale (L’Oro di Milano, Sezione II e Fare tesoro delle acque luride, Sezione III).
Le immagini illustrano il territorio e le opere degli uomini. Lo sviluppo di Milano è inarrestabile, gli abitanti dal 1871 al 1901 passano da 262.000 a 491.500. Sul suolo agricolo sorgono palazzi e capannoni. Il sistema di irrigazione non regge l’inquinamento. Le acque nere vengono immesse nei canali cosicché i fiumi trasportano di tutto fino all’Adriatico. La depurazione viene sollecitata dai cittadini e imposta dall’Europa. Nel 2004 sono realizzati i depuratori di Nosedo, San Rocco e Peschiera Borromeo (La riscoperta dell’uso agricolo delle acque usate, IV). Acque vissute (V Sezione della mostra) per lavare i panni al vicolo dei lavandai, per irrigare i campi, per trasportare le merci, sabbia e materiali da cantiere – il marmo di Candoglia per abbellire il Duomo giungeva alla Darsena di Porta Ticinese -, per le gite o per le feste popolari, per le gare di nuoto, di pesca o di canottaggio fino al 1928, quando il naviglio antico, che correva lungo il tracciato delle mura, venne declassato come via d’acqua e coperto per lasciare posto alla circolazione automobilistica. Restano nella memoria le piscine del Bagno Diana a Porta Venezia e del Bagno Ticino alla Cascina Argelati. Alla fine degli anni venti la grande opera idraulica dell’Idroscalo, il cosiddetto mare di Milano, per l’ammaraggio degli idrovolanti. Un’idea che si accompagnava all’altra del Canale Navigabile da Porto di Mare a Cremona, rimaste dei sogni nel cassetto. Un lago, alimentato dalla falda freatica, che i Milanesi hanno riscoperto e via via utilizzato come attrattiva sportiva e turistica. Acque elemento prezioso per Milano, disconosciute nel tempo ma che hanno trovato riscatto in questa opera di memoria, il catalogo della mostra.