La tentazione di ritornare al Taj Mahal è fortissima ma c’è molto da vedere ad Agra, l’antica capitale cantata nel Mahabharata, un antico poema epico. In questo momento mi trovo sulla riva destra (occidentale) del fiume Yamuna, un affluente del Gange (passa anche per Delhi), che attraverso un sistema di tubature sotterranee porta le sua acque al Taj Mahal. Potrei restare ore ad osservare lo scorrere placido delle acque. Forte, arriva la consapevolezza del motivo per cui proprio in questi luoghi, cinquemila anni prima di Cristo, nacque lo yoga: tutto ciò che appare davanti agli occhi, in qualunque punto si guardi, porta alla meditazione. La radice yuj- significa “unire”, juntos in spagnolo, dal latino iungere e iugum fino al germanico joch: meditazione che pota all'”unione” con la Realtà ultima.
Il Forte rosso, Patrimonio Unesco
Mentre guardo le acque mi arrivano due pensieri: uno, intimo, legato al mio amore segreto, la cui presenza mi avvolge teneramente e riscalda potentemente in ogni luogo e tempo, anche qui. L’altro, posso raccontarlo, mi porta invece ad un pensiero di Matisse: il colore contribuisce a esprimere la luce, non in quanto fenomeno fisico, ma la sola luce che effettivamente esiste, quella del cervello dell’artista.
Ognuno vede quel che ha dentro e qui, in questo luogo mistico, tutto è più potente e preciso.
Devo spostarmi da qui, il viaggio prosegue. Decido cosi di andare ad esplorare il Forte rosso di Agra, fatto costruire dal primo sovrano Mughal come cittadella su una precedente fortificazione dei Lodi. ll forte si trova lungo il fiume Yamuna che scorre nei fossati che circondano le mura.
E’ incredibile il colore dell’arenaria rossa. Il primo impatto è davvero forte, sembra un grande castello rosso che apre interrogativi sulla sua stessa esistenza. Ci vollero 95 anni e quattro generazioni di re Moghul per arrivare a completarlo cosi come lo vediamo oggi (non per niente il Forte rosso è dal 1983 Patrimonio dell’Umanità UNESCO).
Forte rosso, Un po’ di storia
Entro nel Forte rosso dalla Porta di Amar Singh
, al di là del ponte levatoio. Fu fatta costruire da Shah Jahan – ancora lui! – nel 1665, per commemorare l’audacia di Rao Amar Singh, fratello del sovrano Rajput di Jodhpur e nobile di corte. Attraversando i giardini sulla destra arrivo al palazzo, l’Akbar Mahal. E’ facile sentire il luogo. Mi inerpico in una piccola ricerca storica per scoprire che il primo sultano che trasferì la capitale da Delhi ad Agra fu Sikandar Lodi (1487-1517).
La dinastia Lodi non ebbe però lunga vita: finì con suo figlio, Ibrahim, che nel 1526 fu sconfitto da Babur, il primo sovrano Mughal, nella battaglia di Panipat.
Da quel momento, Agra diventò capitale dell’impero Moghul fino al 1658. Il nuovo sultano, Akbar, scelse Agra, sulla riva del fiume Yamuna, come sua capitale e fece cosi costruire la cittadella dove sto camminando ora, circondata da turisti di ogni Paese.
I lavori iniziarono nel 1565 e durarono otto anni: furono realizzati più di cinquecento edifici, come riportato nelle cronache di Abul Fazal, molti punti per caricare e scaricare le merci trasportate attraverso il fiume, passaggi e archi.
La decadenza di Agra, antica capitale
La decadenza dei moghul trascinò quella di Agra che fu saccheggiata due volte, nel 1761 e nel 1770, durante le ribellioni. Nell’Ottocento gli Inglesi imposero il loro dominio coloniale ed Agra andò man mano perdendo la sua importanza amministrativa per poi ritrovare prosperità con l’Indipendenza.
Nella parte di destra si aprono gli appartamenti della Principessa Rajput, a sinistra l’harem, in fondo la biblioteca.
Il figlio di Akbar, Salim (in seguito diventato Jahangir ovvero signore del mondo) salì al trono all’età di 36 anni e fece decorare il palazzo con stucchi e oro, aggiungendo altre stanze. Camminando nel palazzo incontriamo tre padiglioni di marmo bianco: i due laterali erano delle figlie Jahanara e Roshanara, quello centrale, con i cinque archi, è il Khas Mahal, il palazzo privato di Shaha Jahan. I bagni reali avevano due anticamere di specchi per riflettere la luce delle candele. La corte centrale è ad archi e tutto intorno si sviluppano le stanze.
I turisti girano ovunque, circondati da bambini che parlano cinque lingue per vendere souvenir ai ricchi europei (certo, dal loro punto di vista chiunque ha più soldi di loro).
Khas Mahal, il palazzo prigione di Shah Jahan
Facendomi spazio tra le distrazioni di oggi, tra selfie, souvenir e cose varie, ecco che la potenza di queste antiche pareti si fa più chiara in tutta la sua pienezza. Qui fu imprigionato Shah Jahan, dopo aver costruito il Taj Mahal per la sua amata. E pare che qui, nel palazzo, avesse per la prima volta incontrato la sua Mumtaz.
Il palazzo è alfa e omega della sua storia personale: qui conobbe la sua amata e qui lui morì, folle, dopo aver dedicato gli ultimi anni della sua vita a costruire il tempio per lei.
Tra le torri ottagonali c’era il palazzo di Mumtaz, con cortile, bagni, soggiorno e terrazzi (anche qui si rivela il gusto raffinato di Shah Jahan). Al piano superiore, in riva al fiume, la sala delle udienze private, con splendide colonne in pietra dura.
Uscendo dal Forte rosso vengo fermata da diversi bambini che vogliono vendermi piccoli elefantini dipinti a mano.
Hanno occhi svegli e pieni di speranze, sono gentili. Inizio a parlare con uno. Si chiama Aswhin. Ha sette anni e parla sette lingue, compreso l’italiano.
Va a scuola e nel tempo libero vende souvenir ai turisti. Cosa vuoi fare da grande?, gli chiedo. Lavorare per il gli animali del mio Paese, risponde.
E mi parla di un luogo davvero speciale per la conservazione della natura e la protezione degli animali: il Wildlife Sos Sloth Bear Rescue Centre. Si trova a 22 chilometri da Agra. Decido di andarci. (2-continua)
Agra 1: La prima alba al Taj Mahal
Agra 3. Magia dell’India: amore per la natura e gli animali
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