Come entriamo nella successiva sala, alla nostra destra abbiamo il ritratto di Caterina con Giuseppe e Clementina Valadier. Eh già, il bambino che ci guarda con sguardo infantile, somigliantissimo alla sorella, non è altri che il futuro grande architetto, il cui scalone di questo palazzo abbiamo ammirato solo pochi minuti fa mentre salivamo al piano nobile. Nella parete attigua altro genio, questa volta ritratto in età adulta: Giovanni Battista Piranesi.
L’opera è di Pietro Labruzzi e l’incisore è raffigurato mentre tiene in mano il foglio con le rovine del Pantheon, ultima sua opera. Alle sue spalle i rilievi con il candelabro alludono alle varie età dell’uomo. Accanto un altro ritratto, anzi per l’esattezza un autoritratto. Se lo fece fare il grande scultore Canova, quello della statua di Paolina Bonaparte, tanto per intenderci. L’artista veneziano aveva come amico un incisore che ne riproduceva le opere: Pietro Maria Vitali.
Che fece allora il sempre generoso Antonio?
Ritrasse Vitali insieme alla sua famiglia (moglie e due figli piccoli). Il quadro si trova proprio accanto all’autoritratto dello scultore. È impressionante come i due marmocchi Vitali somiglino al padre. Al suono di “La paternità di Vitali fu certa“ passiamo oltre, in un piccolo corridoio tra le sale. Qui, oltre a vestiti romani di qualche secolo fa, è esposta l’opera L’albero della Cuccagna sulla Piazza del Campidoglio. È di Agostino Tassi. Sì, proprio lui, lo stupratore della bella Artemisia Gentileschi. L’usanza, molto in voga tra ‘500 e ‘600, cadeva il primo maggio, giorno nel quale si era soliti piantare “…un arboro carico di diverse cose mangiative, pe’ il cui tronco, che liscio et insaponato era, a gara si sforzavano molti di salire sino alla cima…”.
Ecco, è proprio questa l’immagine che abbiamo davanti. Più a sinistra il ritratto di Nicolò Bielke, conte svedese che nel 1773 divenne addirittura senatore romano. Quali i suoi meriti? Perfetto epigono della regina Cristina di Svezia nell’abiurare il protestantesimo e abbracciare la fede cattolica. Successivamente ci sono tre sale che ci mettono davanti una Roma spa rita, per riprendere il titolo degli acquerelli di Roesler Franz ammirati al Museo di Roma in Trastevere.
Nella prima ci sono quadri che immortalano feste e celebrazioni del XVII e XVIII secolo. Tra tutti, l’attenzione è rapita da Innocenzo XI Odelscalchi che riceve ambasciatori del Siam. Innocenzo XI fu un Papa seicentesco dal carattere molto forte. Si distinse per l’ennesima crociata contro i Turchi, nella quale si ottennero due vittorie storiche. La prima nel 1683 nella battaglia per la difesa di Vienna e la seconda, nel 1686, con la liberazione di Buda ad opera di Carlo di Lorena. Quest’ultimo avvenimento fu salutato a Roma da uno scampanellìo continuo di tutti i campanili per ben un’ora intera. Nella sala successiva spazio ai Luoghi delle Feste. Si veda La Corsa dei Berberi e una Veduta di Piazza Navona con il mercato, datata 1630, opera di Johann Wilhelm Baur. Desta curiosità osservare una Piazza Navona a noi sconosciuta, con la presenza delle due fontane di Gregorio XII e l’assenza, invece, di quelle dei Quattro Fiumi, di Palazzo Pamphjli, della Chiesa di Sant’Agnese in Agone e del Collegio Innocenziano.
Al centro di questa sala, sotto vetro, le seicentesche Vedute Romane di Lievin Cruyl in penna, inchiostro bruno, e acquerello su pergamena. Passatemi la bestemmia artistica, ma a prima vista queste opere di Cruyl sembrano del tutto identiche ai Magnetics che ai giorni nostri si attaccano ai frigoriferi.
Passiamo oltre, e nella nuova sala siamo di nuovo di fronte a una Veduta di Piazza Navona. In questo caso, rispetto al quadro ammirato solo pochi minuti fa, la piazza ha un volto completamente diverso. Il pittore Filippo Gagliardi ha immortalato la visita di Innocenzo X in una Piazza Navona in cui brilla, finalmente, la berniniana Fontana dei Quattro Fiumi.
È di fronte al Museo Barracco. Per raggiungerlo basta attraversare Corso Vittorio Emanuele all’altezza del semaforo di Piazza San Pantaleo. Il museo ha anche un’altra entrata, che dà direttamente su Piazza Navona, e contiene opere che documentano l’evoluzione della città dal medioevo fino ad oggi. Entrati nel cortile del palazzo, ci dirigiamo verso la biglietteria – nello stesso luogo c’è il book shop – e, fatto il biglietto, entriamo nell’altrio dal quale parte lo splendido scalone che il Callori definì “Il più bello e ricco del mondo, che forma l’unico, reale pregio artistico del palazzo“. Merito del Valadier, che usò per le due rampe diciotto colonne di granito rosso dell’ospedale di Santo Spirito, a sua volta molto probabilmente originarie della Villa di Agrippina del I secolo d.c. Giunti al piano nobile, entriamo nella prima sala in cui ammiriamo, tra l’altro, il ritratto di Pio VI Braschi ad opera di Giovanni Domenico Porta.
Fu proprio il Papa di famiglia nel 1790 ad acquistare, insieme a case limitrofe, il vecchio Palazzo Orsini che qui sorgeva. Quindi lo fece demolire per costruire il nuovo palazzo nel quale noi siamo adesso. Lo regalò ai nipoti adottivi Luigi e Romualdo Onesti, a cui impose di assumere il suo cognome per evitare l’estinzione del casato. Una scelta, dunque, di tipo sentimental-utilitaristica. Pio VI fu il Papa che subì l’umiliazione di essere deposto, il 15 febbraio 1798, dal generale Duphot, il quale proclamò così la Repubblica Romana. Morirà esule in Francia a Valence nel 1799, dove era giunto, stremato, in lettiga.
Una Portantina Braschi, i cui interni sono in cuoio rosso detto Rosolaccio o Marocchino Romanesco, è esposta proprio in questa sala. Le diamo un’occhiata attenta prima di entrare nell’ambiente successivo, all’interno del quale sono esposti busti di cardinali. Volendo, si può visitare un piccolo disimpegno ai lati della sala, nel quale sono presenti vari esemplari di numismatica romana. Noi, invece, tiriamo dritti, rimanendo immediatamente colpiti dal ritratto di Girolama Santacroce ad opera di Girolamo (!) Batoni. Ritratto settecentesco, la bella Girolama è molto procace ed ha in mano un monile, questo perché l’autore l’ha voluta ritrarre come Vanitas.
Sempre di Batoni è il ritratto che campeggia nella parete accanto. L’uomo immortalato è John Staples, ricco parlamentare inglese giunto a Roma nel 1772-1773. Staples ha ai suoi piedi un cane che gli getta uno sguardo. Questo quadro rappresenta un esempio perfetto della moda dell’epoca, nella quale si usava immortalare i Grandi Turisti in ambienti classicheggianti, tra note statue e monumenti antichi. Di questo genere di ritrattistica sul finire del ‘700 Batoni fu il numero uno assoluto. Terzo ritratto qui presente, che ammiriamo prima di procedere oltre, è quello di Catherine Bishopp, all’epoca tredicenne, che porta al petto una colomba in segno di innocenza. A dipingerla è stata Joshua Reynolds e il richiamo alla statua della Fanciulla con Colomba, conservata ai Capitolini, è più che evidente.