L’incrocio tra le antiche Via Pia (oggi via del Quirinale-via XX Settembre) e Via Felice (oggi via Sistina-via Quattro Fontane-via A. Depretis) è caratterizzato dalla presenza, ai quattro angoli, di Quattro Fontane, che danno il nome all’incrocio, all’omonima strada, ed alla Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, che Francesco Borromini costruì tra il 1638 e il 1663. Caratteristica unica a Roma, dall’incrocio si possono vedere, in lontananza, gli obelischi di Santa Maria Maggiore (a est), di Trinità dei Monti (a ovest) e del Quirinale (a sud), nonché la michelangiolesca facciata interna di Porta Pia (a nord).
Terminato nel 1587 il restauro ed il ripristino dell’antico Acquedotto alessandrino, chiamato da allora “Acqua Felice” dal nome del papa Sisto V, sotto il cui pontificato venne terminata l’opera, come era stato fatto in precedenza per l’Aqua Virgo, furono iniziati i lavori per una ramificazione sotterranea secondaria del condotto, in modo da assicurare l’approvvigionamento idrico delle zone dei colli Viminale e Quirinale, allora scarsamente serviti, e venne di conseguenza progettata anche l’edificazione di un certo numero di fontane.
Le Fontane nate dal volere di Sisto V
Dopo la Fontana del Mosè e contemporaneamente a quella posta davanti al palazzo del Quirinale, Sisto V volle che l’incrocio tra quelle due importanti arterie avesse un degno ornamento. Inizialmente gli vennero proposte quattro statue sacre, ma il pontefice era talmente entusiasta del “suo” acquedotto che preferì una fontana. Il progetto (il cui autore ci è ignoto) sviluppò invece una fontana per ogni angolo del quadrivio, anche per non intralciare il traffico urbano. Sisto V aveva però speso talmente tanto per la realizzazione dell’acquedotto e per la Fontana del Mosè che per questa nuova opera ricorse ad un espediente che in futuro riscosse un certo favore: affidarsi alla munificenza dei privati, in modo che le fontane fossero “semipubbliche”. Del resto dell’acqua fornita dall’acquedotto sistino non godevano solo i proprietari del Quirinale, ma anche i proprietari dei terreni che insistevano in prossimità del percorso dell’acquedotto.
Sicché Muzio Mattei, che già qualche anno prima aveva insistito ed ottenuto che si costruisse la Fontana delle Tartarughe davanti al suo palazzo di Sant’Angelo, e che possedeva, in corrispondenza dell’incrocio, terreni che la via oggi delle Quattro Fontane aveva ben valorizzato pur tagliandoli in due, offrì il suo finanziamento per la costruzione di due delle quattro fontane. Le altre due vennero finanziate da un monsignor Grimani, e da un Giacomo Gridenzoni (o Gridenzani) cremonese, che avevano proprietà sull’incrocio.
Tevere, Arno, Diana e Giunone
Le quattro opere in travertino (ma in realtà è più corretto parlare di una sola opera suddivisa in quattro parti) furono realizzate tra il 1588 e il 1593, sfruttando delle nicchie rettangolari di diversa dimensione, appositamente ricavate negli angoli dei palazzi. I soggetti, tutti diversi, sono però raggruppati a coppie analoghe: due figure maschili barbute, allegorie del Tevere e dell’Arno, che fronteggiano rispettivamente due femminili, che rappresentano Diana e Giunone. Le prime due simboleggiano Roma e Firenze, mentre quelle di Diana e Giunone sono simbolo rispettivamente di Fedeltà e Fortezza. Tutte le figure sono sdraiate su un fianco, con l’acqua che si riversa in piccole vasche semicircolari. Tevere e Giunone hanno un ricco sfondo decorato (nel primo gruppo è ovviamente presente la lupa), mentre quello dell’Arno è molto più piccolo, con un semplice rilievo di vegetazione da cui spunta un leone, e Diana non ne possiede affatto, ma è fornita di alcuni elementi caratteristici delle insegne di papa Sisto V (la stella e la testa di leone scolpiti sulla vasca e il trimonzio su cui la figura poggia il gomito). Il disegno delle fontane del Tevere, dell’Arno e di Giunone è forse di Domenico Fontana (ma esistono diversi dubbi sull’attribuzione), che aveva progettato la via. La quarta, quella di Diana che volge le spalle a nord, è attribuita a Pietro da Cortona. Le realizzazioni sono state affidate a scultori sconosciuti, ma sicuramente di scarso valore artistico, considerata la mediocrità dei risultati.