Un ragazzo afghano in fuga dal suo paese. Il suo nome è Alem Saidy. I suoi giochi il kalashnikov e gli attrezzi da falegname, comuni a molti ragazzini nati e cresciuti in Afghatistan. Ma Alem rifiuta questa situazione e, a soli dodici anni, fugge dal suo Paese per andare a lavorare prima in Iran e poi a Dubai. Separato dai genitori, profughi in Pakistan, Alem sogna e cerca di vivere una vita vera.
Ma questo suo sogno lo porterà nelle mani dei mercati di uomini ad affrontare un viaggio allucinante dal Medio Oriente verso l’Europa.
Monti desolati, mari in burrasca, sotto cieli immensi, fianco a fianco di persone che hanno perso la capacità di provare pietà per i più piccoli.
Il suo ultimo mezzo di trasporto è un camion frigorifero per il trasporto delle arance che apre le sue porte per scaricarlo a San Donà di Piave. Nel cuore del Nord-Est, contro ogni pregiudizio, Alem trova una comunità capace di accoglierlo e di restituirgli la speranza del futuro.
La storia di Alem Saidy e questo libro dovrebbero entrare a far parte dei programmi didattici nelle scuole perché non è un romanzo educativo, ma una storia che andrebbe conosciuta dai più giovani e letta dagli adulti per farli riflettere meglio.
Ad alcuni dei nostri giovani teenager che grondano infelicità per un punto di acne, o perché non hanno ancora la moto o l’ultimo modello di telefonino, il contenuto di questo libro potrebbe insegnare molto – come scrive Enrico Fovanna nella presentazione. L’intensità di questa storia di vita vissuta, che ha ricevuto l’attenzione di due ministri, apre la mente e insegna ad apprezzare ogni respiro che ci venga concesso, ogni istante di vita, di benessere, di serenità.
Scrive Alem Saidy: “Ho sempre sentito dire, da tanti, che la vita è un’avventura, un viaggio, e allora capisco che il mio viaggio è stato indispensabile per condurmi fino alla vita”.