L’Isola di Wight…
Mi rendo conto che al solo pensare a questo nome la mente si riempie di immagini e suoni, odori di fritto, sfumature e colori.
Tutti ne hanno sentito parlare, è stata il simbolo di una generazione e ci hanno scritto pure una canzone, eppure sono convinto che solo chi ci ha vissuto davvero sa cosa significa la magia di quel luogo e della sua gente di mare.
E quelli che ci sono stati si riconoscono tra loro, come fossero parte di uno strano e sgangherato club, perché sono persone che hanno visto dove comincia l’Oceano, quello vero, e ne hanno gli occhi pieni e l’animo rapito. Inbar è una di queste persone e lo era anche Simone. Io, che non sono coraggioso come un navigatore solitario, quello stesso Oceano l’ho guardato – sì – ma nascosto dietro a una macchina fotografica, perché per affrontarlo a viso aperto ci vuole forza da far spavento.
Eppure, anche nascosto dietro alla mia macchina, l’Oceano ha rapito anche me e, come gli altri, mi ha stregato, spaventato.
Ci arrivai dopo un viaggio infinito fatto di migliaia di chilometri e due traghetti, un furgone pieno di dubbi, paure e interrogativi sul mio futuro. Tornai a casa cambiato, con molti dubbi in meno e qualche certezza in più. Mi sentivo un fotografo di vela.
Quello che vidi in quel viaggio è ancora qui con me, nel mio personale bagaglio di ricordi. Le maree infinite nel Solent che sono come l’umido respiro intermittente di un gigante, vengono e vanno e quando passano sparpagliano qua e là le barche in secca. Cowes, che è un pezzo di mare che si affaccia sulla terra – e non il contrario – dove ogni pietra, ogni persona, ogni ristorante, ogni umida cima, ogni finestra illuminata, ogni risata, ogni angolo visibile o soltanto immaginabile è intriso profondamente e indissolubilmente di vela e respira Oceano al punto da confondersi con esso. E poi, naturalmente, le barche, le regate, gli uomini, le donne e la loro sfida estrema ed eterna, dai limiti sempre troppo stretti. Perché chi è salpato da Cowes molto spesso dentro sé ha un altro Oceano intero da placare.
L’Isola di Wight è il cambiamento.
Come la generazione dei figli dei fiori, che a quel concerto vide morire il suo sogno e il cambiare di un epoca. Come un giovane del Lago di Como, che partì sognatore e del suo sogno ne fece un mestiere. Come la luce, che, nascosta dietro a un cielo nuvoloso per settimane, improvvisa, preannunciata da una raffica di vento, trova la sua strada ed irrompe tra le nubi, regalandoti quell’attimo perfetto. Come Inbar, questa mia buona amica, che ha negli occhi i segni di chi ci è stato davvero e che su quest’isola del destino ha visto cambiare la sua vita più di una volta. Ha iniziato e terminato un viaggio e ha vissuto questo intero libro che tenete tra le mani. (05/11/10)
Questo testo è tratto dalla prefazione al libro “L’isola delle vele” di Inbar Meytsar, Effemme Edizioni.