“Domani ti porto a vedere il moskus”, promette Kjell, nell’ingresso del Dovrefjell Hotell di Dombås. Io lo guardo come si guarda chi promette la luna e faccio spallucce. Ma lui insiste, serio: “Dico davvero: se hai fiato lo vedrai di sicuro, parola di Kjell. Però fuma poco, perché ci sarà da camminare un po’ ”. Io torno a guardarlo, stavolta con aria meno incredula: quando Kjell Hjellødegård – guardaparco norvegese e montanaro tutto d’un pezzo – dà la sua parola, vuol dire che manterrà la promessa. “Ci vediamo domani: partenza alle sette in punto” taglia corto lui. E sparisce.
Mi trovo in Norvegia, circa trecentocinquanta chilometri a nord di Oslo, sulle pendici del Dovrefjell, un gruppo montuoso che le leggende dicono popolato di “troll”, i turbolenti folletti della natura nordica. Dombås è un villaggio sul versante meridionale, già rifugio di allevatori di renne e punto di sosta sulla Kongeveg, la “Strada Reale” che nel Medio Evo collegava il Sud con l’allora capitale Trondheim. Sono a soli ottocento metri d’altezza, ma mi sembra di essere a quota mille e cinque, perché poco sopra il paese gli abeti spariscono e comincia una specie di tundra trapunta di fiori, alternata a boschi di sole betulle.
Un animale dal pelo “super”!
Il “moskus” norvegese in italiano si chiama bue muschiato, perché il suo fittissimo pelo odora di muschio. Secoli fa era diffuso in tutto il Nord del mondo, ma poi la caccia e il riscaldamento del clima l’hanno relegato in pochissime regioni, tra le più fredde e isolate del Pianeta. Così per i naturalisti il moskus è diventato un mito: un simbolo del mondo sub-polare, un “reduce” sopravvissuto all’era glaciale. Se il bue muschiato vive così bene al freddo, lo deve al suo lungo pelo scuro, che è il più efficace termo-isolante mai prodotto dalla natura: basti dire che, quando i primi cosmonauti sbarcarono sulla Luna, i loro scafandri erano imbottiti proprio con pelo di moskus, perché neppure i tecnici della Nasa erano riusciti a trovare di meglio per proteggere dal gelo cosmico Armstrong e soci. Più del freddo, i moskus temono senz’altro i lupi, che in America costituiscono i loro primi nemici naturali, tenuti a bada solo dalle robuste corna e dall’aggressività dei maschi capi-branco, facili a cariche micidiali. Non è facile incontrare uno di questi scontrosi giganti: gli ultimi branchi autoctoni vivono in Groenlandia e nel Labrador; altri esemplari, frutto di ripopolamenti artificiali, si trovano in Siberia, in Alaska e appunto in Norvegia, dove la specie era estinta da tempo. Ma la vita dei “buoi” norvegesi non è facile: un branco, rilasciato anni fa alle Isole Svalbard, scomparve per mancanza di cibo. Un altro, liberato sul Dovrefjell nel 1920, fu decimato da bracconieri in tempo di guerra. Solo il terzo tentativo (nel 1954, ancora sul Dovrefjell) ha avuto successo: oggi i moskus della regione sono più di cento.
Verso i luoghi del Moskus
L’indomani Kjell mi passa a prendere con dieci minuti di anticipo, mettendomi fretta: “Siamo pronti?”. Trangugio l’ultimo pezzo di aringa in agrodolce, equivalente norvegese della nostra brioche mattutina e sono subito in auto. Lasciamo Dombås, cominciamo a salire, superiamo un altro villaggio (Fokstua) poi due laghi; infine, dopo venticinque chilometri, siamo sull’altopiano verde-paglia che precede lo spartiacque, a circa mille metri di altezza. Lassù c’è Hjerkinn, l’ultimo villaggio prima delle cime, dove si trova il più antico rifugio di montagna di tutta la Norvegia: si chiama Gaustaseter: ha mille anni di storia.
Poi ecco il passo che immette sul versante nord, dividendo i bacini di due fiumi: di qua la Glåma, di là la Driva. Intorno il panorama è ampio, arioso: il giallo-paglia dei prati è tutto punteggiato di fiori (ce ne sono centosettanta specie diverse) e interrotto qua e là dal verde tenero delle betulle o da chiazze bianche, ultime tracce del lungo inverno nordico. Sullo sfondo svetta lo Snøhetta (cuffia di neve) la cima più alta del gruppo, che sembra toccare il cielo anche se non arriva neppure a 2.300 metri.
L’aria è fredda e tersissima, il silenzio interrotto solo dal gorgoglìo di un torrente. Del moskus, neppure un’impronta.
“Kjell, sicuro che lo vediamo?”. Lui fa cenno di sì, poi precisa: “L’unico problema sarà non avvicinarlo troppo: a meno di cento metri c’è il pericolo che carichi”.
Poco oltre il passo parcheggiamo l’auto e ci incamminiamo a sinistra: superiamo un ponte, saliamo per un sentiero verso lo Snøhetta, tra radi grovigli di betulle. Mentre cammina, Kjell mi dà qualche notizia. Dice che un moskus vive circa vent’anni; che le femmine partoriscono solo un piccolo all’anno, sempre in aprile-maggio; che i combattimenti fra maschi si svolgono in agosto; che un branco comprende di norma quattordici, quindici esemplari.
“Però qui da noi – precisa – ci sono anche esemplari che vivono isolati”. Tento una battuta: “I buoi muschiati norvegesi sono più scontrosi degli altri?”. E lui serio: “No, il punto è che qui non ci sono lupi. O meglio: ogni tanto ne arriva qualcuno dalla Svezia, ma raramente. Perciò i moskus non hanno bisogno di stare in branco per difendersi e possono allargarsi per avere più cibo a disposizione. Se ci fossero lupi, un moskus da solo, anche se forte, soccomberebbe. In gruppo, invece, i maschi si mettono in circolo, con le corna rivolte all’esterno, e il branco diventa una fortezza inattaccabile”.
Dalle betulle, ecco emergere il bue muschiato
Poi Kjell tace di colpo, annusa l’aria e indica una macchia di betulle. “Cosa c’è?” chiedo. Il moskus… là”. Guardo nella direzione indicata, ma non c’è nulla: “Dove l’hai visto?”. Risposta: “Non lo vedo, sento l’odore”. Annuso anch’io l’aria: niente da fare. Poi un cespuglio si muove e dietro i rami ecco una grande massa scura, da cui spuntano due corna. È proprio lui, il bue muschiato. Che visto dal vivo è irriconoscibile: me lo aspettavo nero, invece è di uno strano colore mimetico, perché il suo pelo è tutto impastato di terra, rametti e foglie secche, un po’ come i rustici troll delle leggende. Eppure quell’enorme cespuglio di pelo, ispido come un rovo e ingombrante come un armadio, ha una sua composta dignità. Il colosso che ho di fronte viene dall’alba dei tempi, quando tutta l’Europa era un ghiacciaio ed è riuscito a restare vivo e identico per millenni, senza compromessi con l’ambiente intorno, che è radicalmene cambiato. Lo guardo per una decina di minuti mentre pascola tranquillo, come si può guardare uno di quei monaci tibetani che continuano a vivere di erbe e frutti selvatici, austeri fuori tempo massimo, incuranti della civiltà dei consumi, di internet e della globalizzazione.
Improvvisamente uno strattone a un braccio mi risveglia dalle mie filosofie. È Kjell che mi fa segno che è ora di levare il disturbo. “Ci ha visto, è nervoso…” mi dice. In effetti il moskus ha smesso di brucare: ora ha alzato il testone da terra e ci scruta con aria incarognita. Ci allontaniamo lentamente e lo perdiamo di vista. “Kjell – chiedo mentre scendiamo a valle – Ma se qui non ci sono lupi, e quindi il moskus non ha nemici, non temete che prima o poi il Dovrefjell sarà pieno di buoi muschiati?”. Il guardaparco mi guarda: “In realtà un nemico c’è, anche se non è il lupo: si chiama treno”.
Il treno? Proprio così: sul Dovrefjell, infatti, passa una ferrovia che collega Oslo a Trondheim. E il moskus non la sopporta: così, soprattutto all’epoca degli amori, quando passa il treno c’è sempre qualche maschio nervoso che lo scambia per un rivale irriverente e quindi lo carica. Risultato: se si arriva allo scontro diretto, a rimetterci le corna non è mai il treno. Non è facile vivere ai nostri tempi, per chi arriva dall’era glaciale e pretende di avere una catena di montagne tranquille a sua disposizione.
Un Parco per proteggerli
I monti dei buoi muschiati sono protetti da un parco: il Dovrefjell-Sunndalsfjella Nasjonalpark, che copre circa mille e settecento chilometri quadrati (più della provincia di Milano). Oltre al moskus, la fauna comprende anche altri mammiferi interessanti: alci, renne selvatiche, volpi artiche, lemming (piccoli roditori che ogni quattro anni conoscono spettacolari boom demografici) e un temutissimo carnivoro chiamato “ghiottone”, parente stretto della faina ma con le dimensioni di un grosso cane. Numerosi anche gli uccelli: fra stanziali e di passo, il Dovrefjell conta il 60% delle specie presenti in Norvegia. Straordinaria la flora, in gran parte formata da “relitti” dell’era glaciale.
Come raggiungere Dovrefjell
Dall’aeroporto di Oslo-Gardemoen si prende la strada E6 e la si segue fino a Dovre (288 km) e Dombås (301 km) i due villaggi dove conviene alloggiare.
Hjerkinn, il centro abitato più vicino alle cime, è trentun chilometri più avanti. Tutti e tre i villaggi sono raggiungibili anche in treno.
Informazioni utili
Per informazioni sul Dovrefjell-Sunndalsfjella Nasjonalparkhttp://english.dirnat.no/Le escursioni
La Moskus Safari Dovrefjell (telefono 0047-99-703766, www.moskus-safari.no) di Dombås, organizza trekking guidati in montagna: cinque ore di camminata costano 300 corone (=38 euro) a persona.
Informazioni turistiche
Reale ambasciata di Norvegia, Ufficio commerciale e del turismo, via Puccini 5, Milano. Tel 02 85451450 – www.visitnorway.com
Notizie sul bue muschiato
http://it.wikipedia.org/wiki/Ovibos_moschatus
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