Lunedì 25 Novembre 2024 - Anno XXII

Galizia, l’altra Spagna

Santiago de Compostela

La Galizia è profondamente diversa dal resto della penisola iberica. E’ terra di contrasti: fisici, umani, linguistici e spirituali. Per questi e altri motivi ancora è così amata e visitata

Suggestiva immagine della costa galiziana
Suggestiva immagine della costa galiziana

Ha scritto Sant’Agostino nelle sue “Confessioni”: “…e gli uomini vanno a mirare le altezze de’ monti e i grossi flutti del mare e le larghe correnti de’ fiumi e la distesa dell’oceano e i giri delle stelle: e abbandonano sé stessi”.
E’ indicativo il fatto che il più grande dei Padri della Chiesa, autore di somme opere filosofiche e teologiche, abbia riflettuto sull’abbandono dell’uomo al cospetto delle bellezze naturali del creato e ne abbia scritto con sintesi efficace nel suo libro più conosciuto. Le altezze dei monti, le correnti dei fiumi, i flutti del mare che provengono dalla distesa dell’oceano e, nelle notti serene, anche i giri delle stelle. Ecco tracciato un perfetto identikit di quella superba regione spagnola che risponde al nome di Galizia. Una terra dall’orografia tormentata fatta di catene che si accavallano e si disputano ogni piccolo spazio utile: eppure dolce nell’insieme, col verde che ricopre ogni cosa.
Una costa che pare sia stata brutalmente seghettata da un falegname inesperto, eppure armoniosa nel va e vieni delle penisole, dei golfi, delle colline che precipitano a mare, delle baie e piccole cale che raccolgono, discrete, gli ultimi respiri di un pelago brontolone ma alla fine appagato, perché giunto alla meta.

Bianche spiagge in mezzo al mare
Bianche spiagge in mezzo al mare

Un oceano senza fine, talvolta bello e accattivante quando le acque calme riflettono, simili a un immenso specchio, i raggi del sole, talaltra  possente, iroso, quando è in tempesta e scarica sulla costa ben più dei “grossi flutti” ricordati da Agostino.
I cavalli d’acqua impazziti dalla criniera bianca di spruzzi che flagellano le rive, ben si addicono al più conosciuto dei promontori galiziani: quel Cabo Fisterra la cui matrice latina (finis terrae) denunciava l’estremo confine, l’umana impossibilità a procedere oltre. Lì finiva il mondo.
Oggi sappiamo che il mondo continua, ben oltre l’Atlantico; ma la Galizia ha rappresentato, per secoli, il lembo estremo oltrepassato il quale l’uomo avrebbe trovato l’ignoto, ancor più che oltrepassando le mitiche colonne d’Ercole.
Anche parlando delle correnti dei fiumi Agostino ha dipinto la Galizia. Fiumi tortuosi e impetuosi fra i monti e quieti e scorrevoli al piano, che sfociano all’improvviso nelle rias.
Rientranze e invadenze del mare, certo, ma anche fiumi più larghi, consapevoli del fatto che le loro acque dolci finiranno per essere  irrimediabilmente alterate da quelle salmastre che incontrano.

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Una lingua antica

regioni spagna

Galizia terra di parole diverse. E di nobilissima matrice. Il gallego ha avuto origine, nell’antica Lusitania, dal latino volgare quando più a sud, oltre il Douro, si parlava un’altra lingua, grandemente influenzata dalla pacifica dominazione araba.
Questo idioma, detto romanço-moçarábico, è stato impiegato per un periodo di tempo sufficientemente lungo, vale a dire dall’VIII al XIII secolo. Ma a seguito delle vittorie militari del re Dom Alfonso Henriques, dopo la metà del XII secolo, il portoghese del settentrione ha trovato sbocco e si è potuto propagare verso le regioni meridionali.
Quando nell’anno 1147 viene occupata Lisbona, elevata successivamente al rango di capitale, la lingua che vi si parla finisce per essere assorbita, modificata, dal portoghese-gallego del settentrione. Solo i successivi avvenimenti politici hanno dato origine a una differenza sostanziale: il gallego-portoghese è divenuto una lingua romanza ufficiale, mentre il gallego, senza indipendenza politica, è rimasto un dialetto spagnolo. Ciò a dispetto di una tradizione letteraria consolidata, per mezzo dei trovatori galiziani che recitavano i loro poemi alla corte dei reali portoghesi in un linguaggio da tutti compreso. Non a caso i “Cantigas de Santa Maria”, composti nella seconda metà del XIII secolo, sono in gallego.

Sacralità del pellegrino

Chiesa immersa nel verde
Chiesa immersa nel verde

Alla fine del XII secolo, nel “Ritmo su S. Alessio” si parla del “pelegrinu” come di un viandante, specie di colui che viaggia per visitare luoghi santi o celebri. Anche per Brunetto Latini (anno 1294) “pellegrino” è colui che viaggia mentre Francesco Petrarca (anno 1374) dà alla parola il significato di “forestiero”, proprio come il termine latino “peregrinu(m)” indicava. Il verbo tardo latino “peregrinare” arriva in seguito a significare “viaggiare all’estero”, formato com’è dalla preposizione “per” (al di là) e “ager” “campo”.
“Andar per campi”, dunque, è espressione più che mai appropriata, considerata la penuria di strade praticabili di un tempo!
La Galizia, al pari della Terrasanta e di Roma, senza voler considerare altre mete europee celebri (Chartres, Loreto, Mont-Saint-Michel, Montserrat, Czestochowa, Bobbio, il Gargano ecc.) vanta una plurisecolare tradizione d’accoglienza nei confronti dei pellegrini. Agli inizi era gratuita e si differenziava non poco in funzione del censo di chi veniva ospitato: ovvio che sovrani, nobili e potenti ricevessero maggiori “attenzioni” rispetto a mercanti, cavalieri, chierici vagantes e semplici penitenti. Poi, dall’ospitalità gratuita senza vitto, si è passati all’ospitalità a pagamento ed è stato un tumultuoso fiorire di taverne e locande adatte allo scopo.

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Monastero
Monastero

Nella tratta spagnola che dai Pirenei conduceva a Santiago de Compostela, fino all’XI secolo, l’ospitalità gravava quasi per intero sui pochi monasteri benedettini, i quali disponevano di appositi “ospizi” dislocati lungo l’itinerario principale. Dalla metà dell’XI secolo in poi, accanto agli ospedali dei monaci ne vengono creati altri, grazie ai lasciti di re, vescovi, nobili, ricchi, ordini religioso-cavallereschi e confraternite. La loro gestione era affidata ai membri di queste ultime o ai canonici agostiniani. Tra i più noti di tali ospedali, quelli di Somport e di Roncisvalle, fondati rispettivamente attorno al 1100 e al 1132.
Nel XII secolo, a fronte di una massa sempre crescente di devoti che si recano a visitare la tomba di San Giacomo, sorgono in Galizia appositi centri di accoglienza in prossimità dei centri abitati, come quelli di Puente de la Reina ed Estella. Gli ospizi, complessivamente, erano presenti in gran numero: da 100 a 300 circa. Fra l’incalcolabile numero di pellegrini che si sono avvicendati nel tempo lungo le strade europee e spagnole, lasciando testimonianza della loro avventura materiale e spirituale, troviamo le note, trascritte sotto forma di puntiglioso diario di viaggio, di un anonimo viaggiatore fiorentino che visita Santiago nel 1477. Così descrive il suo arrivo nella città del santo: “…la Sancta Mongioia (Monte del Gozo) sono quattro colonne di prieta. E qui si vede la ciptà di Champo stella (Compostela), una ciptà picchola et drento porcinosa, e qui è il perdono di chi va a Sancto Jacopo…”. Rimane colpito dalla grandiosità dell’edificio sacro, per poi concludere, con spirito tutto toscano “…in sagrestia ène (vi sono) molte belle reliquie; e lla chiesa è ufficiata da preti; bella chericheria, molti chalonachi”.
Oggi il pellegrino moderno arriva a Santiago de Compostela in mille modi: aereo, auto, treno, nave, moto, bici e, per fortuna, ancora e sempre a piedi, come avveniva normalmente nei primi anni della devozione.
E vengono alla mente, a differenza del giudizio espresso dall’anonimo visitatore fiorentino, le parole della “Guida del pellegrino” che recita: “…chi dovesse salire la basilica con l’animo triste – mentre avanza lungo la navata – diventa lieto e gioiosamente eccitato alla vista di questa casa di Dio eccezionalmente bella”.

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