Sono le quattro del mattino quando Isabel si alza per andare al lavoro. Abita alla Lisa, un quartiere dell’Avana spostato a ovest, e lei è funzionaria di banca in Calle Obispo, nel cuore dell’Avana vecchia. E’ lontanissima, e il suo è un vero e proprio viaggio.
Il risveglio di Isabel
Come ogni mattina, appena alzata, prepara il latte per i bambini e ne offre un po’ al suo santo, insieme al caffè caldo. Apre la scatoletta del caffè: vuota!
Per fortuna la vicina ha i suoi stessi orari, così Isabel passa alla porta a fianco: quattro chiacchiere sulla “guagua che sta malissima” (l’autobus che è conciato) e sulla fatica per andare a lavorare, accompagnano il prestito di caffè. Xioana, la vicina, le chiede “un poco de platanos verdes” (un tipo di banane) e la invita per la sera a guardare insieme la ‘novela’ alla tivù. Xioana non perde l’occasione per raccontare un paio di pettegolezzi sulle corna che il vicino di sotto mette alla moglie – lei così brava – e le dice anche del difficile intervento subito dal bambino di Francisco, quello che sta nella casa di fronte: certo nell’ospedale mancavano alcune attrezzature:”tu sabes, las dificultades….” (tu sai, le difficoltà, cioè il Bloqueo americano), ma i medici e le infermiere lo hanno curato alla perfezione e anche adesso che è a casa in convalescenza, il medico viene ogni giorno a visitarlo e gli ha prescritto una dieta per farlo ingrassare un po’. Le chiacchiere filano leggere, Miguel e altri vicini si uniscono, così il tempo vola. Isabel è in ritardo, perderà sicuramente la guagua. Ma a tutto c’è rimedio; Miguel ha un motorino e deve andare verso il quartiere Vedado con la moglie e, se ci si sta in due, ci si può stare anche in tre, quindi il problema per oggi è risolto.
Trabajar (lavorare) sereni
Isabel mi racconta la sua giornata ridendo, quando la incontro nel primo pomeriggio in Calle Obispo. Siamo sedute alla “Lluvia de oro” mentre un trio sta cantando.
Io e Grazia siamo appena arrivate al Plaza, un albergo che mi piace molto per il suo sapore antico e la sua posizione centrale. Facile uscire da lì e immergersi nelle stradine della Habana Vieja, tra commenti e fischi che lasciano me, veterana, indifferente, ma sbalordiscono quella novellina di Grazia: “ehi bionda, vieni qui, ho bisogno di una matrigna per mio figlio!” è uno dei tanti “piropo” (un complimento). Incrociamo Isabel. Non sapevo avesse cambiato lavoro, prima era guida turistica. Ovviamente stasera si perderà la novela: andremo a cena e poi l’accompagneremo a casa in taxi. Per una che si è alzata all’alba, Isabel appare fresca come una rosa: dopo tanti anni devo capire questo mistero cubano. “Non c’è nessun mistero. Faccio fatica, ma sono a casa mia; non ho il vostro stress da lavoro, perché qui basta fare le cose bene e non ci sono problemi. Se non torno a casa, come questa sera, ci sono i vicini per curarmi i bambini che, comunque, sono a scuola e al Circulo Infantil tutto il giorno, per cui posso rilassarmi. Certo se mi avessi vista il giorno in cui si è rotta la guagua sotto un violentissimo temporale avresti pensato che sono controrivoluzionaria. Ma noi cubani siamo così: ci lamentiamo al momento e poi tutto passa. Adesso è dura, i trasporti vanno male e a volte si fatica a trovare quello che serve per cucinare. Quando c’erano i russi era un’altra cosa: avevamo birra, ron e torte per ogni festa e andavamo in vacanza in posti bellissimi. Per fortuna arrivate voi turisti a portarci un po’ di soldi!”.
Racconta tutto sorridendo e indicando i soliti perdigiorno che riempiono la Calle Obispo e molestano i turisti. Grazia si ferma per ascoltare le richieste di una donna che vuole latte in polvere per i bambini e Isabel, senza troppi complimenti, la allontana tirandola per un braccio: “Non ci parlare con quelli. Sono vagabondi e opportunisti. Non è vero che manca il latte; tutti i bambini ce l’hanno. Quella vuole solo fare negocios, affari; ti usa, ti spreme e se può ti ruba anche delle cose. Quelli sono i cubani che vedete voi, ma gli altri, la maggioranza, studiano e lavorano, non perdono tempo per strada”. Grazia non è convinta della lezioncina; la verificherà da sola nei prossimi giorni, così come ho fatto anch’io nel passato.
Avana, avventure… “motorizzate”
Roberto è un imprenditore italiano che vive a l’Avana. Quando lo abbiamo incontrato a un Cupet (distributore di benzina) non sapeva se ridere o piangere per la sua disperata ricerca di una batteria nuova. Il primo Cupet infatti era chiuso; “ma sino a che ora?”, ha chiesto; “Sino a quando non arriva l’ordine di aprire”. Ovvio, perché in zona si sta tenendo una Tribuna Abierta, come tutti i sabati, dalle 8,30 alle 10,30 con circa duecentomila persone e tutto è bloccato. Di corsa Roberto corre a un altro Cupet e riesce a strappare l’informazione agli impiegati che, imperterriti, parlano tra loro (ma quanto chiacchierano, questi cubani!): “la batteria c’è, ma non sappiamo se possiamo riservarla sino all’apertura…”. Aspetta con pazienza che termini la conversazione e, appena possibile, dice all’impiegata che lui è il “vecino de enfrente” (vicino di fronte) e che, quando vuole, può passare a casa per un caffè. Lei lancia uno sguardo, prende la batteria, la posa con un tonfo (aiuto!) per terra, e :”se la voy a reservar” (la tengo da parte)”. Ma la batteria non e’ pronta e bisogna “serviciarla”, cioè metterci un acido per caricarla e aspettare qualche ora prima di installarla. Dove si fa il “serviciaje”? Forse da un altro benzinaio. Roberto ne gira tre o quattro, ma niente da fare: batterie e acidi sembrano spariti. Alle 11,30 torna al Cupet: la batteria è sul bancone, ma mancano i tappi in dotazione, che non si trovano, neanche in magazzino. L’impiegata promette di chiedere a un collega che verrà più tardi e che dovrebbe sapere. Roberto riparte con il suo giro, da un Cupet all’altro. Trova prima la batteria senza acido e poi noi tre. Ormai anche noi siamo parte della disavventura e partecipiamo al coro dei lamenti, allargato ad alcuni cubani che ne approfittano per dire delle uova o di altri alimenti che scarseggiano: “qui non si trova più niente…non è possibile che le cose siano così conciate…ma l’organizzazione dove è finita”. E via di questo passo.
Ci facciamo un giro di birra e il malumore se ne va. Solidali accompagniamo Roberto a cercare l’acido per la batteria. Giriamo, giriamo e ancora una volta: “non c’è acido fino alla settimana prossima”. Siccome è sabato, chiediamo cosa significhi: lunedì, mercoledì, quando? Non lo sanno, non dipende da loro. Che fare? Andiamo al mare per un bagno e poi da Roberto per un caffè italiano. Mare meraviglioso, sole fantastico e i problemi scappano via con la brezza, insieme alle urla di una scolaresca che gioca con l’acqua. A casa di Roberto (sorpresa!) c’è Jorge, meccanico e vicino di casa che ha saputo del problema. Lui ha dell’acido, così la batteria è serviciada e la macchina a posto.
“A Cuba pensi che tutto vada allo sfascio e, improvvisamente, arrivano le soluzioni. Siamo come l’araba fenice”, commenta Isabel ridendo. Alle cinque, per festeggiare, tutti all’Amedeo Roldan, il teatro, per sentire la Prima e la Sesta di Beethoven, dirette da Ivan del Prado con la Sinfonica Nacional al gran completo. Prezzo: 10 Pesos a testa, pari a circa mezzo Euro.
Notte di riunioni
La sera arriviamo nel mezzo di una “rendicion de cuentas” (resa dei conti) del Poder Popular: l’assemblea che si tiene per strada ogni sei mesi e dove il delegado (eletto alle elezioni e che svolge questa attività non retribuita, oltre il suo lavoro) si informa sulla situazione del quartiere. Una cinquantina di persone di ogni età e colore, in ciabatte, calzoncini e camicetta, in un ambiente familiare, dandosi del tu, usando i nomignoli da vicinato, espongono i problemi: chi ne ha con la spazzatura, chi con i topi, chi con l’illuminazione. Le strade sono uno sfascio ma, “guarda che strano, hanno riasfaltato il parcheggio della paladar dell’ angolo, sicuramente c’è stato di mezzo del verde”, cioè dollari. Un attempato signore in pantaloncini è contento che il mercato privato sia stato chiuso e sostituito da uno statale, perché i prezzi sono meno alti, ma, “attenzione companeros – avverte- noi facciamo troppo spesso le cose in modo che si ribaltino contro la rivoluzione: questo mercato è costantemente vuoto, non si trova niente, mentre in quello privato c’era di tutto; insomma, quando impareremo a fare bene le cose?” Il delegado, prende appunti e, quando parla, si capisce che è al corrente di tutto: ” nell’assemblea di sei mesi fa…” , ma non riesce a finire la frase. Una cinquantenne in piena forma e membra del partito – ci tiene a sottolinearlo – lo interrompe con decisione: “bisogna imparare a risolvere i problemi, perché non si può ogni sei mesi ritrovare le cose al punto di prima…”. Parlano tutti, l’assemblea termina con un applauso e cominciano le pacche sulle spalle al delegato. Poi le chiacchiere, la birra e il ron (rum).
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