Giovedì 28 Marzo 2024 - Anno XXII

Cucina brasiliana: ricca, varia, saporita e “calda” come il Paese che la
genera. Carne, pesce, verdure, condimenti, miscelati con fantasia e bravura dalle donne di Bahia e del Nordeste

Brasile  Venditrice di piatti tipici della cucina brasiliana
Venditrice di piatti tipici della cucina brasiliana

Il rapporto del Brasile con l’alimentazione parte per il “primo mondo” con l’antropofagia. E’ ben visibile la scritta “canibali”, accanto ad un boschetto di gambe tagliate, sulla mappa “Isola Brasile” della “Cosmographia” di Tolomeo pubblicata a Roma nel 1540 (Roma Biblioteca Nazionale Emanuele II).
Nell’ampia iconografia e letteratura dell’epoca, i miti di viaggi leggendari e la paura dell’ignoto, facevano incontrare nei paesi “scoperti” ciò che già era presente nelle aspettative degli “scopritori”, come successe anche a Colombo, che, come testimonia nel “Diario”, vedeva per la prima volta le orche marine e le scambiava per le sirene che avrebbe voluto incontrare. In maniera elegante ed anche un po’ snob, alcuni intellettuali brasiliani appartenenti alle avanguardie letterarie della fine degli anni venti, rielaborarono il mito con ironia, trasformando il cannibalismo degli avi in “antropofagia culturale” per la “deglutizione”, culturale s’intende, dell’Europa.  Sta di fatto che l’assimilazione delle diversità, la “incorporazione” degli elementi culturali diversi diventa una chiave di lettura efficace per tutta la realtà brasiliana, compresa l’alimentazione.

Cibi locali e condimenti africani

Brasile  Interno del ristorante Beijupirá
Interno del ristorante Beijupirá

La culinaria portoghese, nella quale spiccavano i piatti a base di pesce, trovava in “Terra Brasilis” una eccezionale esuberanza di esotiche materie prime e l’introduzione dell’elemento africano coniugò felicemente gli altri due, condendoli con peperoncino e olio di “dendê” della costa della Guinea. “Gli africani diventarono ben presto i padroni della nuova terra: dominarono la cucina”, scriveva un Gilberto Freyre, senz’altro compiaciuto di poter ritrovare nel piatto di casa il risultato gustativo di tanti suoi studi. Si può averne un’idea alla “oficina do sabor” di Olinda (rua do Amparo, 353 circa 20 dollari a persona), dove i frutti di mare sposano la fresca frutta tropicale e la farina di manioca, per arrivare fino alle avanguardie stilistiche, libere da ogni freno inibitore, del ristorante Beijupirá (Porto de Galinhas, estrada de Maracaìpe, telefono 5521271, 40 dollari circa senza vini). Qui si può vivere un’esperienza totale, simile nel valore a quella narrata dal film “Il pranzo di Babette”, sebbene la nostra sia smisuratamente più solare: ogni sapore, scelto con istintiva erudizione, risveglia uno stato d’animo e porta la sensazione papillare verso ignote risonanze emotive. L’originalità, mai casuale e un po’ “selvaggia” del luogo, va dalla forma delle posate all’illuminazione, senza compiacimento, ma guidata, come l’accostamento dei sapori, dall’amore per la vita del maestro Tadeu Lubamba. Già affermatissimo fotografo, dopo un reportage tra gli Yanomami, l’inviato di “Manchete”, si licenziava e restava con gli indios un periodo lunghissimo, per decidere, al suo ritorno, di comunicare emozioni in maniera più “antica” e diretta, attraverso il cibo.

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Influssi culinari dalle tribù Indie del nord

Brasile  Baiane con il loro
Baiane con il loro “tabuleiro” (banchetto) di cibi cotti

E’ alimentare anche la prima comunicazione avvenuta a Bahia tra il mondo del “candomblé” e la società estranea, e spesso ostile al culto degli dei africani, che lo circondava. Furono “as baianas de acarajé”, venditrici di cibi cotti della tradizione yoruba, a portar fuori dal recinto sacro gli alimenti offerti agli dei “orixás”, allargando all’intera città la pratica, in uso nel culto, dell’estensione del cibo sacro ai mortali. Sui loro “tabuleiros” (banchetti ornati come altari con pizzi, collane rituali, fiori e amuleti) le baiane, offrono al passante occasionale una ricca varietà di alimenti secondo i gusti degli dei. “Iansã”, che è per loro è una sorta di protettrice di categoria, ad esempio, predilige l’ “acarajé” (polpettina di farina di fagioli fritta in olio di “dendê” e poi farcita con pomodori, cipolla, gamberi secchi e polentina di “vatapá”) ed è questo il loro piatto forte.  I migliori si mangiano al quartiere Rio Vermelho dalle diciotto in poi. La cucina “de santo”, quella specifica per gli “orixás”, prevede anche piatti ben più elaborati che si possono gustare, non solo durante le feste rituali, ma anche nei migliori ristoranti di Salvador, come la Casa da Gamboa (rua João de Deus 31, Pelourinho, 30 dollari circa), il SENAC (della scuola alberghiera locale, in piazza del Pelourinho), o il “Tempero da Dadá” che consigliamo nella nuova sede di fronte al mare a Pituaçú (rua Teixeira Mendes 55, 30 dollari circa).

Per finire, la celeberrima “feijoada”

Brasile La "feijoada"
La “feijoada”

Dal menù tradizionale peschiamo la “moqueca” di gamberi, pesce o granchio, come la cucinava Dona Flor (con latte di cocco, manioca india e olio arancione di palma africana), che nel romanzo di Amado aveva aperto una scuola di culinaria, sapore e arte proprio al Pelourinho. E il sabato “feijoada” completa in tutto il Brasile, una mazzata sotto il gran caldo, ma una esperienza per il palato. Carni di tutti i tipi, spuntature di maiale, alloro, salsicce e soprattutto “feijão”, meglio se “mulatinhos”: mulatti anche i fagioli.

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