Per ovviare alle consuete domeniche a piedi o alle passeggiate milanesi lungo Corso Vittorio Emanuele, puntate la sveglia alle otto e imponetevi di uscire entro le nove. Percorrete l’autostrada Milano-Torino in direzione della capitale Sabauda e cominciate ad assecondare il molle paesaggio della pianura. Seguite i suoi contorni pastello fino alle risaie che in primavera, durante la fase dell’allagamento, regaleranno riflessi dorati, specie al tramonto, quando il sole viene a morire nell’acqua.
Alla vostra sinistra il cupolone di San Gaudenzio vi annuncerà Novara. Non indugiate e procedete ancora fino a quando le colline si sostituiranno alle risaie. Uscite a Santhià e preparatevi. Sta per iniziare un viaggio nel tempo tra i castelli del Biellese.
Roppolo, un castello in riva al lago
“Le donne, i cavalier, l’arme, gli amor, le audaci imprese io canto”
Scomodare l’Ariosto per introdurre Roppolo potrebbe apparire, a prima vista, un po’ pretenzioso. Eppure basta lasciare alle spalle il lago di Viverone (a pochi chilometri dalla nostra uscita di Santhià) e varcare il ciottolato che separa la statale dal castello per rendersi conto che non è così.
Fosse anche solo per l’Enoteca annessa al maniero, coeva del componimento ariostèo, o per la tipica struttura a torri merlate propria dell’austero tempo in cui lotte tra potere spirituale e temporale regnavano sovrane.
Etimo incerto quello di Roppolo. Una corrente di pensiero popolare lo fa derivare da Ara Apollinaris, altare di Apollo, mentre una seconda vede Roppolo come abbreviazione di Rodopopulum, monte sacro, termine coniato dai Bessi che abitavano le zone limitrofe al colle. La terza ipotesi, quella probabilmente più corretta, identifica il nome del paese con quello personale gallico di Roppus. Inoltre (opinabilità delle etimologie!) nel dialetto piemontese la parola “ròpol” figura quale variante di “ròcol” (piccolo luogo elevato ove si tendono reti agli uccelli).
Etimo o meno, la prima notizia del castello è il Diploma di Ottone III. Correva, infatti, l’anno 936 quando Roppolo fu definito corte, cioè paese economicamente autonomo.
Di quegli anni restano le mura, mentre del 1500 è il fantasma le cui grida, come da copione, risuonano nei meandri del ricetto. Risale al 1470, infatti, l’oscura vicenda di Bernardo di Mazzè nei confronti del quale Ludovico Valperga nutriva un astio profondo. Tratto con l’inganno nel castello Bernardo scomparve. Forse, secondo una leggenda, murato vivo.
L’enoteca di un fantasma
Se strutture perimetrali e corte centrale risalgono all’XI secolo, del XVI sono invece la cantine, con volte di mattoni a vista e muri di pietra. Scaffalature ad archetti degli antichi “infernotti” custodiscono un’esposizione permanente di centosessantacinque tipi di vini, grappe e spumanti di oltre cento aziende produttrici, mentre circa ventimila bottiglie contrassegnate dai marchi DOCG o DOC offrono la massima garanzia ai consumatori.
Fondata nel 1981, l’Enoteca della Serra prende il nome dalla cresta morenica delle colline della Serra, che si snodano tra Ivrea e Biella. Luogo di selezione per i produttori diventa un crocevia d’incontro aperto ai consumatori. Numerosi test portano alla scrematura dei vini selezionati da una Commissione di degustazione composta dai membri dell’ONAV che ne garantiscono l’eccellenza e la costanza nell’alta qualità.
Una sezione dedicata ai lavori tradizionali, ospita una raccolta di antichi attrezzi utilizzati per l’arte della viticoltura e della vinificazione, mentre un archivio storico d’annata, le cui perle sono bottiglie di grande valore, completa la visita di quest’enoteca pienamente medievale.
Degustazioni, convegni legati a temi enogastronomici e la festa dell’uva che a cavallo tra Agosto e Settembre con la faticosa corsa della botti sigla l’arrivo dell’autunno, completano il calendario del castello biellese sopravvissuto ai signorotti e alle cortigiane che lo abitarono.
Gaglianico e un ricetto davvero speciale
A questo punto, dopo un aperitivo a base di Erbaluce di Caluso, risalite in macchina con direzione Biella. Facendo attenzione ai vorticosi tornanti, resi più ostici col crescere del tasso etilico, raggiungerete la prossima tappa: Gaglianico.
Pur non potendo visitare l’interno, il colpo d’occhio che il castello di Gaglianico regala dalla statale è notevole. Come nel caso di Roppolo, lo stesso editto di Ottone III conferma la cessione del territorio di Gaglianico a Manfredo, figlio del conte di Vercelli, Aimone.
Passato di casato in casato attraverso alterne vicende, diventò proprietà della famiglia Ferrero-Fieschi, come attesta un documento del 1577 con il quale il Duca di Savoia costituì Candelo in contea, donandolo ai Ferrero ormai unici signori di Gaglianico.
Questa la storia. A livello architettonico le cose stanno differentemente. Sembra che vi siano state due fasi costruttive. Dalla prima sarebbe nata la torre interna, oggi di spigolo ad un torrione angolare la cui funzione era certamente difensiva. Un secondo momento vide l’aggiunta di quattro torri angolari sporgenti dalle cortine e una torre sull’ingresso voluta dai Challant, signori di Gaglianico per oltre un secolo.
Ulteriore e definitiva ricostruzione fu quella firmata da Charles D’Amboise e voluta da Sebastiano Ferrero, dai caratteri transalpini dettati nella costruzione del cortile interno.
Ricetto di Candelo: un piccolo mondo antico
In taberna quando sumus / non curamus, quid sit humus / sed ad ludum properamus / cui semper insudamus.
A pochi chilometri da Gaglianico, il Ricetto di Candelo sembra uscito dai “Carmina Burana” con i suoi borghi di ciottolato millenario e gli scorci vibranti di storia. Dal latino receptum, rifugio, indica un complesso fortificato costruito come deposito per le derrate alimentari ma predisposto per diventare, all’occorrenza, una poderosa cittadella difensiva.
Se il Biellese si distingue per la frequenza di numerosi ricetti quello di Candelo costituisce un unicum per due motivi che ne hanno segnato nascita e storia. Voluto per decreto popolare è oggi il meglio conservato tanto da ottenere nel 2002, la certificazione dell’ANCI come uno tra i cinquanta borghi più belli d’Italia.
Costruito prima del 1374, fu edificato su un terreno proprietà dei Vialardi, signorotti locali che cedettero la proprietà per ventuno ducati. La fortuna del ricetto di Candelo sta nella sua estrazione popolare.
L’estrema parcellizzazione della sua proprietà e il continuo utilizzo, lo hanno preservato dagli attacchi dei secoli. Ulteriore eccezionalità insita nel ricetto di Candelo sta nella sua forma mista, perché da un lato il terreno scivola verso il torrente, mentre dall’altra è pianeggiante.
In tempo di pace, il caneva o pianterreno delle case era adibito a cantine a differenza del piano superiore, il solarium, che fungeva da essiccatoio per i prodotti agricoli. In guerra, il ricetto si trovava ad ospitare tutta la popolazione offrendo un luogo di rifugio temporaneo. Questo il passato di una solare pagina di medioevo.
E oggi? Oggi il ricetto continua ad essere un borgo medievale splendidamente conservato. Qui ha sede l’Ecomuseo della Vitivinicoltura e in Maggio le sue stradine ciottolate si vestono dei profumati colori del “Candelo in fiore”. Una breve sosta per degustare taglieri di salumi e formaggi presso l’antica Taverna del Ricetto dalle leggendarie volte a botte, ed è già ora di ripartire. Destinazione: una rocca in cima a una collina. Il castello di Zumaglia.
Zumaglia e Valdengo: un fantasma e una co-proprietà
Etimo incerto anche per Zumaglia. La fonte più accreditata fa derivare la sua radice da cima. Cosa poi non così difficile da immaginare se si pensa che il luogo su cui si erge il castello è uno dei punti più alti del Biellese. Dal toponimo emerge l’esistenza di un sistema viario che, attraverso il castello di Zumaglia, collegava pianura ed entroterra montuoso. La costruzione del “brich”, per dirla in piemontese, viene fatta risalire al vescovo Lombardo della Torre ed è datata 1329.
Come ogni fiaba che si rispetti, anche le segrete di Zumaglia risuonano delle grida del loro fantasma. Attorno alla morte del violento Filiberto Ferrero Fieschi che nel 1500 spaventò gli abitanti del luogo, s’intesse infatti una diabolica leggenda. Nelle notti di plenilunio può accadere al viandante che si attarda sulla strada, di scorgere una capra che saltabecca tra ruderi e rovi. E c’è chi dice che questa sia l’anima del feroce marchese che si aggira infelice tra i tormenti dell’inferno.
Positivo è, invece, il messaggio del castello di Valdengo, che chiude questa kermesse domenicale a spasso per le colline del Biellese. Fosse solo per il fatto che le ristrutturazioni avvenute nel corso degli anni hanno riportato alla luce uno dei più begli esempi di architettura tardo medievale della zona, che è stata in seguito lottizzata in appartamenti finemente ricercati.
Castelli del biellese, popolati da fantasmi, enoteche ricavate all’interno di borghi medievali, ricetti per sopravvivere ad una guerra e taverne vestite di gusti forti e sapori antichi.
Questo è il Biellese. Una piccola valle racchiusa tra monti e cielo.