Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Sensazioni “rosa” nella corsa della “rosea”

Attraverso una folla osannante e scomposta, prima in auto e quindi in elicottero, ecco la “giornata particolare” della nostra collaboratrice, lungo i tornanti della 19.ma tappa del recente Giro d’Italia

Petacchi applaude alla quinta vittoria di tappa
Petacchi applaude alla quinta vittoria di tappa

L’unica bicicletta che posso dire essere stata davvero mia era una Graziella sellino blu, su cui mia madre aveva prontamente sistemato un coprisella rosa, “più da bambina” come diceva lei. Io arrancavo in qualche modo su quest’aggeggio, fifona già allora.
Qualche anno più tardi mi tenevo aggrappata alla Graziella, ma lodavo la Saltafoss: mi piaceva un ragazzino che la cavalcava impavido; in mancanza di meglio, cercavo di condividerne l’entusiasmo per la bici.
Finita non so dove la bianca compagna di non troppe cadute (andavo peggio di una lumaca), qualche anno fa ho ereditato una mountain bike, della quale mi lamento spesso perché raccatta polvere e mi ingombra il garage.
Con queste premesse dovrei avere reso abbastanza bene l’idea del mio rapporto con quell’oggetto, per me vagamente inquietante, che è la bicicletta.

Curiosità è femmina

Damiano Cunego in testa alla sedicesima tappa
Damiano Cunego in testa alla sedicesima tappa

Da dove sia nata, dunque, l’idea di seguire una tappa del Giro d’Italia proprio non saprei, ma tant’è. Il 28 maggio lascio Milano e mi accingo a raggiungere Bormio. Lì il Giro è arrivato nel pomeriggio, a 2000 metri c’è scappato anche qualche fiocco di neve, mentre si consumava il “tradimento” di un gregario verso il proprio capitano, ma ancora non so nulla di tutto questo. Sono armata di acqua, cracker e il Manuale delle Giovani Marmotte: praticamente invincibile. La mattina dopo scopro che l’albergo in cui ho dormito ospita veri e propri appassionati di ciclismo, gente che raggiunge le tappe più spettacolari da ogni parte d’Italia e che spesso, qualche giorno prima, con altri cicloamatori, ne percorre faticosamente alcune.

Suiveur e tifosi: pettegolezzi a piene mani

Tensioni tra Daminano Cunego (22 anni) e Giliberto Simoni (32 anni)
Tensioni tra Daminano Cunego (22 anni) e Giliberto Simoni (32 anni)

La “rosea” (Gazzetta dello Sport) aperta tra una fetta di torta fatta in casa e un caffè, discutono animatamente dei due protagonisti che oggi riempiono le pagine dedicate all’87° Giro: Gilberto Simoni e Damiano Cunego. Capitano il primo, dato per favorito alla vigilia della gara, oramai diciotto tappe fa. Un gregario il secondo, giovanissimo, che ha stracciato il proprio capitano in volata arrampicandosi sui passi del Tonale e del Gavia il giorno precedente.
Si racconta della rabbia del primo, che voleva vincere e non c’è riuscito e del candido egoismo del secondo, che ha visto il traguardo e non ha resistito. Si sprecano i commenti, i paragoni, i ricordi.
Sono in mezzo a persone che, probabilmente, saprebbero snocciolarmi i nomi di tutti i vincitori delle passate edizioni (ottantasei!); non è il mio caso, dato che mi illumino solo quando mi parlano di Coppi e Bartali: gli unici registrati nella memoria.

A zonzo fra bici, sponsor e regalini

Il villaggio-partenza a Bormio
Il villaggio-partenza a Bormio

La giornata è splendida, e decido di godermi il sole che sembra volersi far perdonare la latitanza del giorno prima. Il ritrovo al villaggio di partenza, del resto, è previsto per mezzogiorno, per cui posso prendermi tutto il tempo che voglio. Naso all’aria come mio solito, giro per le stradine di Bormio, letteralmente invasa dal popoloso mondo che gravita intorno al Giro d’Italia: sponsor, organizzatori, giornalisti, e poi semplici curiosi e appassionati.
Chi è qui per lavoro si riconosce subito: porta al collo un pass che ne identifica il ruolo. Qualcuno, con vezzo un po’ affettato, si assicura che sia sempre bene in vista. Girano in piccoli gruppi, siedono ai tavolini all’aperto, formano capannelli in cui si discute, ancora e sempre, di ciò che è accaduto meno di dodici ore fa.
Arrivo al villaggio-partenza, il clima è ancora rilassato e sereno. Esibisco orgogliosa il mio pass all’entrata e mi guardo intorno incuriosita. In una struttura circolare composta da numerosi stand in vetro e acciaio, che mi dicono venire smontata e rimontata ogni giorno con tempismo e precisione, gli sponsor offrono regalucci vari, piccole sciocchezze a volte inutili, a volte divertenti. E se fa sorridere vedere la compatta macchia rosa dei ragazzini con addosso la maglietta della “Gazzetta dello Sport”, indaffarati ad arraffare golosi quanti più tesori è possibile, assistere all’assalto di locuste bene in carne e di un’età che dell’infanzia ha solo il ricordo è un tantino sconcertante. Lo so che è una domanda inutile, ma mi chiedo: cosa ne faranno mai della manona di gommapiuma che reclamizza non so più quale azienda del gas? Mistero.
Quando poi vedo l’ennesima coppia di attempati signori in piena andropausa cerebrale, chiedere una fotografia alle rassegnate hostess degli stand – capelli troppo lunghi e gonne troppo corte, meno di cinquant’anni in due – lo sconcerto diventa smarrimento.

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Pronti, via!

Cunego saluta i fotografi
Cunego saluta i fotografi

Arrivano i primi ciclisti, inizia il rito della firma, il pubblico si assiepa alla partenza. Improvvisamente la tensione sale, della sonnolenza un po’ sorniona di qualche attimo fa non resta più nulla.
Ci si mette tutti in macchina; il Giro va preceduto altrimenti si resta bloccati e ci si deve rassegnare a seguirlo, perdendo così l’arrivo.
Oramai è chiaro anche a me che questa tappa sarà durissima e decisiva: tremila metri di dislivello e i famigerati passi del Mortirolo, del Vivione e della Presolana dichiareranno chi sarà il vincitore tra Simoni e Cunego.
Grazie alla gentilezza di un amico e alla disponibilità delle numerose persone che incontro in questa stranissima giornata, vengo inserita nel cosiddetto “Giro Vip”.
Programma della gita: si arriva in automobile fino al passo del Mortirolo anticipando i ciclisti, si assiste al loro passaggio e si riparte per raggiungere l’arrivo al passo della Presolana, ma questa volta in elicottero.

Il Schumacher delle salite (e discese)

La Carovana del Giro
La Carovana del Giro

Salgo accanto al posto del guidatore, De Lillo, che avrò modo di ammirare in più di una circostanza: per la pazienza con cui mi spiegherà i meccanismi della gara, per la sicurezza con cui guiderà anche in situazioni difficili, per la calma olimpica che gli permette di fare questo lavoro.
Mi parla, regolamento alla mano, di come si compone la carovana di macchine cui apparteniamo: ammiraglie di squadra, soccorsi, polizia, radio di servizio. Incominciamo a muoverci con una certa calma, siamo poco avanti al gruppo ancora compatto; ogni variazione ci giunge chiara attraverso la radio di servizio alla quale siamo, per l’appunto, collegati.
All’improvviso il perentorio ordine di avanzare rapidi, ci sono i primi stacchi dal gruppo. Ho a malapena il tempo di capire che De Lillo mi sta domandando, con tono vagamente preoccupato, se soffro la macchina.
Sfortunatamente non ho il tempo per rispondergli. Sono egualmente impegnata a, nell’ordine: restare aggrappata alla portiera con la mano sinistra, i piedi puntati bene in avanti; usare in qualche modo la destra per scarabocchiare sul taccuino sgorbi poi incomprensibili; frugare – a tratti – nella borsa per raccattare un’altra gomma da masticare, nonché dimenare furiosamente le mandibole nella speranza di impressionare il mio stomaco, che al momento si sente molto salmone e vorrebbe risalire verso l’alto.

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Tra la folla delle vette

L'incoraggiamento degli spettatori
L’incoraggiamento degli spettatori

Voliamo sparati su strade ampie ma non certo diritte, ai lati gruppi di persone ci salutano, tanti i bambini che saltellano eccitati.
Io sono troppo occupata a ripetermi “non devi vomitare” per alzare anche solo un mignolo. Figuriamoci un’intera mano. E mentre tento di addomesticare lo stomaco, mi viene da chiedere al mio compagno di viaggio se non abbia paura di investire qualcuno, a questa velocità.
Lui sorride, calmo (io preferirei di gran lunga che continuasse a guardare la strada) e risponde enigmatico: “aspetta di essere sul Mortirolo”.
Quando ci arriviamo, gli occhi pieni del verde incantato di queste montagne, capisco esattamente cosa voleva dire: ci sono centinaia di persone, che si schiacciano a stringere d’assedio una strada già stretta di suo; si avvicinano pericolosamente, sembrano volerti toccare, fermare. L’auto rallenta, ma non si ferma mai: non ripartirebbe.
Ci sono giovani, anziani, bambini. Plaid sui prati, cesti da picnic. Gente che saluta e sorride, ma anche molti – troppi – che urlano sconcezze di vario genere.
Molti hanno una bandana stile Pantani e sventolano striscioni che ricordano il ciclista scomparso. E’ uno spettacolo di colori e schiamazzi che è come un pugno nello stomaco, mentre nella testa si fa strada un pensiero: non passeremo mai.
Invece, in qualche modo, passiamo, e siamo al Mortirolo.
Quando scendo ho le gambe che tremano, un po’ per la fame e molto per la tensione.
Finalmente passano loro, i ciclisti, ed è un attimo; una folata di fatica e colore. Riconosco la maglia rosa, Cunego, e l’unico pensiero coerente è che sembra un ragazzino di quindici anni. In effetti, non ne ha poi molti di più.

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Da adesso, carovana vista dall’alto

Tornanti visti dall'alto
Tornanti visti dall’alto

Pochi minuti, il grosso del gruppo, i ritardatari. Si riparte, e il “coso” è lì che mi aspetta.
Ora, io non vado neppure sulle giostre; il vuoto mi terrorizza, mi manca l’aria e mi viene da urlare: avete idea di cosa significhi passare quarantacinque minuti su un elicottero, senza neppure uno straccio di maniglia cui aggrapparsi? Solo una profonda e rigorosa educazione mi ha trattenuta dall’incollarmi freneticamente al pilota in posizione fetale.
Panico a parte, lo spettacolo è straordinario: le vette innevate sono braccia che ci accolgono, ai nostri piedi un tappeto di alberi; poco più in là il serpente grigio della strada che si inerpica minaccioso.
A nulla valgono le scritte, le dediche, i cuori disegnati dai tifosi; non distraggono da una considerazione di fondo che lascia increduli: di lì stanno passando i ciclisti, uomini che con tutta la loro fragilità percorrono una strada di montagna armati solo di gambe, e respiro, e cuore.
Tutto il resto è poi un unico ricordo un po’ indistinto: l’arrivo alla Presolana in un cielo freddo e pesante, la gente a centinaia anche qui, la tensione che sale.

Al Giro, vincono anche gli sconfitti

Stefano Garzelli, 30 anni, prima vittoria al Giro 2004
Stefano Garzelli, 30 anni, prima vittoria al Giro 2004

Si stacca, nitida, un’immagine: Stefano Garzelli che taglia per primo il traguardo; il volto è una maschera di fatica che trova a malapena lo spazio per un sorriso stentato. Dietro di lui Simoni, sconfitto: sul viso una delusione che mi stringe il cuore; via via gli altri, ma la gara è finita. Cunego arriva dopo un minuto o poco più ed è oramai certo: ha vinto il Giro d’Italia. La gente incomincia a muoversi, frenetica, le premiazioni non aspettano tutti gli arrivi.
Vedo un ragazzo che arriva nella confusione, le braccia alzate in segno di vittoria. Lo accoglie un uomo della sua squadra, e lo abbraccia forte baciandolo su una guancia: per quel ragazzo l’arrivo è già di per sé una vittoria. Chissà se arriverà mai su un podio.
Sento intorno a me le chiacchiere svagate, non sempre generose, degli addetti ai lavori e da profana mi stupisco per la crudeltà di chi celebra sempre e solo i vincitori.
Questa tappa è stata intitolata a Marco Pantani.
Che tristezza pensare che, per i più, di tanta fatica, sudore e lacrime, non rimane che il ricordo: delle sconfitte e dei miti distrutti.

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