Nel regno del finto
A cominciare dalle case. Le più “pregevoli”, indicate dalle guide, datano ai primi del Novecento. Sono palazzotti con bifore da Canal Grande che si alternano, senza pudore, a castelletti con rivestimenti in simil bugnato rustico fiorentino. Le decorazioni a piastrella tipo azulejos portoghesi si incrociano con quelle di ceramica genere Vietri o Positano. Nulla si nega però alle fonti di ispirazione: le stradine si chiamano Piazza Torlonia o Via Paris (scritte proprio così) mentre il piccolo gioielliere sceglie come insegna la scritta “Verdura”.
Anche i cani hanno l’aria imbalsamata e finta. Tutti esemplari di razza, vengono portati al guinzaglio a gruppi almeno di tre. Solo alani o irish wolfhound da un metro al garrese sono tollerati uno alla volta. Per i cani c’è anche un bar. È una vasca con mattonelle di maiolica, sempre piena d’acqua, accanto all’entrata di una galleria d’arte. È la brillante idea del gallerista cinofilo, il cui raffinato negozio è citato in cataloghi e guide come “Philips Galleries dog-bar”.
Persino i mezzi di trasporto sono surreali. Le auto hanno solo dimensioni gigantesche: o sono da corsa adatte a un circuito, o fuoristrada per attraversare il deserto, o limousine allungate per ospitare comodamente dieci persone.
Gli autobus, invece, non esistono e i taxi essendo solo due, chiamandoli al telefono, si può arrivare ad aspettarli anche un’ora. Nessun problema invece per il noleggio di una limousine con autista.
Verde sull’oceano
Reale, anche se nel solito palazzotto stile eclettico con “penchant” al Rinascimento italiano, la “Preservation Foundation of Palm Beach” nella parallela Peruvian Avenue.
Da vedere non tanto per le foto, i dipinti, gli oggetti sulla storia della città, quanto per il giardino dove sono state recuperate e coltivate piante tropicali in via di estinzione. È anche l’unica oasi di vegetazione del centro.
Per trovare il verde e gli alberi bisogna percorrere Ocean Boulevard, che costeggia l’Oceano, dove si affacciano le ville dei pensionati di lusso.
Tutte in uno stile anonimo, senza ricerca architettonica, sono caratterizzate da prati all’inglese splendidamente tenuti, piscine di dimensioni olimpioniche, vetrate che lasciano intravedere arredi principeschi.
È qui, al numero 1100 dell’Ocean Boulevard che si trova il “Mar-a-Lago Club”, comparso di recente sulle riviste di gossip di tutto il mondo per aver ospitato il terzo, fastosissimo matrimonio di Donald Trump con la trentatreenne modella Melania Knauss.
In stile moresco, con contaminazioni neo-gotiche e strizzate d’occhio al Settecento francese, la villa fu fatta costruire in quattro anni da Marjorie Post, ricca vedova che la abitò dal 1927 fino agli anni Sessanta, solo da metà gennaio a fine febbraio.
Dal 1985 appartiene a Donald Trump che l’ha usata come residenza privata fino al 1995. Quandi decise di trasformarla in un club superesclusivo, dotandola di qualche accessorio: dai campi da tennis al campo da golf, dal campo da cricket al Beach Club con enorme piscina, fino a un padiglione con “ball-room” con venti giganteschi lampadari a gocce di Boemia da far impallidire Versailles, Schönbrun e l’Hermitage messi assieme. Immutato in tutta la sua opulenza “kitsch”, invece, è rimasto l’arredo della villa, con solo qualche aggiunta di “pezzi” del Quattrocento italiano per “alleggerire”.