Una macchina da cucire a pedale Singer, uno scialle di pizzo rosa posato su una poltrona e la tavola apparecchiata per il pranzo. È il salotto dei Gumpertz nel 1878. Nell’appartamento di Adolfo Baldizzi, invece, veniamo catapultati nel 1935: un rosario è appeso a uno specchio e, sulla parete, una foto del Presidente Franklin Delano Roosvelt.
Ma non è né il 1878 né il 1935. Siamo invece al giorno d’oggi, anche se sembra difficile crederlo, visitando i cinque appartamenti che costituiscono il Lower East Side Tenement Museum di New York. Situato al numero 97 di Orchard Street, il museo del “tenement”, ovvero delle tipiche case popolari abitate da tre quarti della popolazione newyorkese tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi trent’anni del Novecento. È un viaggio commovente nel tempo, nella memoria e nella storia di tutti quelli che accorsero in America alla ricerca di un lavoro e per costruirsi una vita migliore.
Circa dodici milioni di persone, il cui viaggio di lacrime e speranza è rappresentato nel Museo di Ellis Island, l’isola prossima alla Statua della Libertà, dove venivano censiti e controllati gli immigranti che arrivavano quotidianamente dall’Europa e non solo. In questo contesto il Tenement Museum è il proseguimento ideale del Museo di Ellis Island, poiché mostra che tipo di esistenza questi nuovi cittadini americani conducevano una volta sbarcati nella “terra della libertà”.
Da una casa abbandonata è nato un museo
“Per una nazione di immigrati, qual è l’America, non c’è luogo più rappresentativo e denso di significati del tenement”, spiega Ruth J. Abram, fondatrice e presidente del museo, che è anche un’associazione no-profit con l’obiettivo di promuovere il dibattito sulla democrazia, i diritti civili e l’identità nazionale.
Aperto nel 1988, il museo nasce dalla “scoperta” di questo caseggiato abbandonato negli anni Trenta e rimasto sfitto per mezzo secolo.
Esternamente, il tenement di Orchard Street non è diverso da tutti gli altri caseggiati popolari di quel periodo. Un edificio di quattro piani di mattoni rossicci, con piccole finestre sulla facciata esterna. Ma a differenza degli altri tenement – che nel corso del Novecento sono stati rasi al suolo o ristrutturati – la palazzina di Orchard Street è stata ritrovata così com’era quando fu lasciata nel 1935 dagli ultimi inquilini, i Baldizzi.
Pur in uno stato di quasi completo abbandono, tra le mura degli appartamenti si celava un vero tesoro: vestiti, stoviglie, fotografie, calendari e perfino un rotolo di carta igienica d’antan, appartenuti alle numerose famiglie che vi vissero.
New York: Tenement Museum
Oggi è possibile visitare cinque degli otto appartamenti dell’edificio. Oltre a quello dei tedeschi Gumpertz e degli italiani Baldizzi, quello dei polacchi Levine, del 1918, dei lituani Rogarshevsky, del 1901, e dei turchi Confino, del 1916. Parallelamente all’allestimento del museo, un meticoloso lavoro di ricerca attraverso l’analisi di dati censuari e registri, ha permesso di svelare notizie sulla vita e sul lavoro dei diversi inquilini.
Nel 1989 accade poi un fatto singolare. Josephine Baldizzi Esposito scopre che la casa in cui ha abitato da bambina (dal 1928 al 1935) è diventata nientemeno che un museo. Entrata in contatto con gli organizzatori, Josephine si è dimostrata una fonte diretta di preziose informazioni sulla vita quotidiana nel tenement dei primi del Novecento. I suoi ricordi, vivi e dettagliati e gli aneddoti, a volte tristi ma anche divertenti, sono stati registrati e si possono ascoltare visitando l’appartamento dei Baldizzi.
Quando un bagno caldo era un lusso
Al 97 di Orchard Street, dal 1863 al 1935 hanno vissuto quasi settemila persone di oltre venti nazionalità. La loro è una storia multietnica di tedeschi, italiani, irlandesi, uomini dell’est europeo, africani, cinesi, sudamericani, che hanno convissuto e condiviso speranze, gioie, dolori. La loro è anche la storia di una singolare convivenza di famiglie che, pur con religioni, linguaggi e abitudini diverse, si sono aiutate l’un l’altra nei momenti di difficoltà.
Nel 1863, l’anno in cui fu costruito, l’edificio che costituisce il museo era privo di riscaldamento, di elettricità e di acqua corrente. Per rifornirsi d’acqua bisognava andare nel cortile posto sul retro, dove, oltre ai bagni esterni (uno ogni venti abitanti, stabiliva la legge), c’erano una pompa (manuale) e dei lavatoi che fungevano anche da “vasche da bagno”.
Per farsi un vero bagno caldo bisognava riempire più e più secchi con l’acqua della pompa, portarli su e giù per la scale, mettere a scaldare l’acqua e riempire una tinozza; un’impresa sfiancante, soprattutto dopo una dura giornata di lavoro.
Gli appartamenti, che ospitavano fino a nove persone, erano ridotti all’osso: una cucina, una stanza da letto e un “salotto” che di notte diventava un’ulteriore camera da letto, per un totale di nemmeno quaranta metri quadrati!
Mancanza di spazio e anche di illuminazione, poiché l’unica stanza che aveva delle finestre (peraltro piccole) era quella che dava sulla facciata esterna; ma considerato che i tenement erano addossati l’uno contro l’altro, la luce naturale era davvero scarsa.
Entrando nel tenement ci si ritrovava in un piccolo androne buio, umido e per nulla areato, che oltre a essere insalubre e tetro, poteva anche risultare pericoloso. Nel corso degli anni vennero apportate alcune migliorie, come la luce elettrica (nel 1920) e costruiti i bagni interni (due per ogni piano), ma niente di più.
New York: un quartiere tra passato e presente
Kleindeutschland, The East Village, Loisaida, Little Italy, Chinatown, The Bowery, Alphabet City, The Jewish Quarter. Il quartiere del Lower East Side di New York, a ridosso dell’East River, è stato chiamato in molti modi diversi a seconda dell’epoca e del relativo flusso di immigrati.
Nel 1800 il Lower East Side ospitava i più famosi “slums” della città, situato com’era vicino ai cantieri navali, ai mattatoi e alle fabbriche d’abbigliamento.
Di fronte alla grande ondata migratoria di cui New York è stata protagonista, i tenement erano la “soluzione” più economica per ospitare le migliaia di lavoratori che accorrevano da ogni parte del mondo.
Nel 1903, nell’isolato dove si trova l’attuale museo, risiedevano duemila persone, delle quali centodieci solo nel tenement di Orchard Street che era infatti il più affollato, in uno dei quartieri più popolati del mondo intero.
Nel 1870 i suoi abitanti erano in prevalenza irlandesi, austriaci e tedeschi; nel 1890 si insediarono molti russi oltre a ebrei polacchi e romeni (la lingua più parlata era l’Yiddish) mentre nel 1920 la maggior parte degli immigrati era costituita da italiani, greci, turchi, spagnoli, e ancora russi e austriaci. Se il tenement fosse ancora abitato, oggi sarebbe occupato, con tutta probabilità, da asiatici e ispanici.
Ai nostri giorni la vita dei nuovi immigrati, come quella dei loro predecessori, non è certo semplice: duro lavoro, stipendi bassi e pochi diritti sociali.
Per questa ragione il Tenement Museum si dimostra un’istituzione più che mai viva e attiva che, come dice Ruth J. Abram, “stimola a trovare nuove risposte a vecchie domande, quali: – che cosa vuol dire essere cittadino americano? – che responsabilità abbiamo verso chi arriva in stato di bisogno? – È il futuro dei nuovi immigrati che dà al passato (il passato che questo museo studia e celebra) una tale risonanza”.
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