Lunedì 2 Dicembre 2024 - Anno XXII

Guide per viaggiare. Il “fenomeno” Clup

guide di viaggio

Strano il mondo. E difficile da descrivere. Non solo per l’ovvio assunto che ogni Paese è diverso ma, soprattutto, perché non c’è “lente” che riesca a osservare un luogo e definirlo. Ce ne parla un esperto: Gianni Morelli

guida turistica, Zaino in spalla
Zaino in spalla

La guida, quando è fatta bene, può aspirare ad essere come una fotografia o, meglio, come un’istantanea, secondo il più preciso lessico di un tempo.
Una foto che rappresenta non la realtà oggettiva, ma la scelta dell’autore, del fotografo. La guida, quando è fatta bene, è un tentativo fallito di descrivere uno spazio in un determinato tempo, un “misero” sguardo sul “giardino degli altri”.
Oggi, in tempi in cui la tecnologia ci suggerisce l’onnipotenza dello “sguardo”, quel ritrovarsi le piramidi e la giungla amazzonica, la vita intima degli aracnidi e il processo di formazione del ghiaccio vivisezionati sullo schermo di casa, che cosa può essere scrivere, pubblicare, acquistare, leggere una guida?
Insomma, in tempi di “Discovery Channel”, di “National Geographic”, di last minute su internet, c’è ancora spazio per la “buona parola” scritta?
Guide per viaggiare. Il “fenomeno” ClupLa domanda si pone in molti campi, ma la risposta è difficile.
Conosciamo le guide pratiche, che so? Le ricette, i bugiardini, le istruzioni per l’uso. Conosciamo i manuali e le procedure, comprese quelle informatiche e on line.
Tutte cose utili-inutili, di cui capiamo quasi sempre il senso.
Ma una guida di viaggio? Chi va in giro leggendo, seguendo, o addirittura costruendo il suo spostamento sui suggerimenti di un libro? Pochi, bisogna ammetterlo.
La guida è elitaria, nel senso moderno delle élite, cioè vasti strati di popolazione, più o meno colta. Chi è ancora così affascinato dal prodotto libro da viverne le pagine, da regalargli autorevolezza? Pochi.
E allora, la guida è un prodotto ante-moderno o post-moderno? Questioni di “lana caprina”, dirà qualcuno. Forse.

La grande tradizione delle Guide Clup

Guide per viaggiare. Il “fenomeno” Clup

Eppure le guide Clup sono nate da un desiderio e da un disagio profondo.
Quelli della generazione del Sessantotto e acquisiti (in termini di epoca, s’intende), che avevano voglia di viaggiare e di capire, che volevano conoscere se c’erano altri paradisi, che volevano “abbandonare i propri vestiti”, in un altro luogo, in un altro continente. E non avevano strumenti, sul mercato.
Le guide, al tempo, erano “tuttoauto, o “tuttoarte”, o saggi di studiosi noiosissimi. Mancava il brio, la felicità della scoperta, unita alla curiosità per la rete di fattori che definiscono un paese in un determinato tempo. Senza le facilonerie dei “routard” alla francese o dei “globetrotter” all’americana.
Forse dipendeva anche dal fatto che gli italiani non erano viaggiatori, e nemmeno turisti. Il viaggio di massa comincia solo a fine Settanta, ed è di “prima generazione”. I ragazzi che viaggiano senza che il padre, il nonno (o la madre, o la nonna) possano raccontare loro qualcosa, sono disarmati e curiosi allo stesso tempo. E hanno bisogno di strumenti.

Guide per viaggiare. Il “fenomeno” ClupLe Clup riempiono un vuoto, e lo fanno nel modo confuso, disordinato, tipico di quegli anni e di quelle generazioni. Ma anche in modo originale, tentando di trasformare un viaggio in un Paese in un’occasione di conoscenza, di riflessione.
E, nel loro “snobismo”, trasformano una mancanza, quella di soldi e quindi di foto e carte con cui corredare il libro, in una scelta controcorrente. La mancanza cronica di illustrazioni viene rivoltata in “plus”, in valore aggiunto dato alla parola, alla descrizione con la parola.
In un mondo che va verso l’immagine o addirittura il linguaggio iconografico per comunicare, è una bella inversione di rotta. Che taglia alla prima occhiata tutto il popolo di viaggiatori frettolosi degli Ottanta-Novanta.
Ed è proprio questa scelta (obbligata?) che ne limita le possibilità. Insieme ad una certa disomogeneità, dovuta al carattere “sperimentale” della collana.
Insomma, una buona idea, non supportata, però, da risorse adeguate.

 

Gianni Morelli
Gianni Morelli

Tanto buona, l’idea, che la De Agostini la riprende. E aggiunge tutto quello che serve. Ma di questo ne parliamo con Gianni Morelli, fondatore e curatore delle Guide Clup, ora consulente De Agostini per la collana.
Morelli, le Clup riappaiono nelle capaci mani del colosso De Agostini dopo essere state quasi clandestine per qualche anno. Che augurio si sente di fare per  questa rinascita?
Ci vediamo tra cinque anni, alla Fiera del Libro di Francoforte, per parlare delle edizioni in francese, tedesco, inglese, spagnolo, russo, cinese, arabo…
“Clup” è acronimo un po’ misterioso, tanto che molti, spaesati o equivocando sull’analogia con “club”, le chiamano”’clap o clapgaid”. Qual è,  invece, l’origine dell’acronimo?
“Clup” sta per “Cooperativa Libraria Universitaria del Politecnico”. Il Politecnico era quello di Milano, la Clup era una delle numerose cooperative studentesche nate negli anni Settanta all’interno delle università italiane. Dunque la “U” di università, non di “umbrella”.
Ci racconti brevemente come sono nate le Clup e soprattutto perché sono nate, con quali propositi?
La prima Clup, nata nel 1979, ha per soggetto l’Irlanda. Della Clup fa parte una piccola agenzia di viaggi, e le guide nascono per affiancare il suo lavoro. Il volume funziona, così si decide di trasformare l’episodio in collana. Nel 1980 escono Perù e Algeria. Sarà “l’uovo di Colombo”, ma l’idea è quella di fare delle guide che vadano al di là dei triti stereotipi turistici, con un orientamento dichiaratamente progressista.
Le Clup diventano subito uno spazio di ricerca, e un punto di riferimento, sia per gli autori sia per i lettori. A metà dei Novanta il marchio conta più di ottanta titoli e viene rilevato dalla UTET di Torino, per poi passare, nel 2004, alla De Agostini. Le Clup vengono inserite nella produzione turistica del nuovo editore, che ha una forte esperienza nel settore e manifesta la decisa volontà di rilanciarle.

Lei ha scritto diverse guide, soprattutto di area centroamericana. Come può un autore fare anche il direttore di collana?
Il doppio ruolo consente una migliore conoscenza di tutte le problematiche, sia dal punto di vista autorale sia editoriale.
Che significato hanno avuto le Clup  nel panorama guidistico nazionale e nell’italia dei settanta-novanta?
Nel loro piccolo rivoluzionano il panorama nazionale delle guide turistiche, perché presentano una formula nuova che non si limita alle informazioni pratiche ma spazia nella storia, nella cultura, nel costume, tanto da chiamarsi “libri di viaggio”.
Sono libri scritti da autori italiani per viaggiatori italiani, non sono montati in redazione ma pensati e scritti da autori che conoscono profondamente il Paese o la città descritti.
Chi erano gli autori Clup, e qual era il loro rapporto con il viaggio?
Architetti, giornalisti, storici, geografi, intellettuali. Semplici viaggiatori, purché capaci di una scrittura non banale, sia nello stile sia nelle idee, capaci di offrire spunti, tagli, approcci meno convenzionali di quelli dell’editoria turistica standard. Vale la pena di ricordare che le Clup hanno dato un significativo contributo alla creazione della cultura del viaggio in Italia e un contributo decisivo alla formazione professionale di molti scrittori di guide.

Guide per viaggiare. Il “fenomeno” Clup

Nelle vecchie Clup si passava da una guida”’professionale” ad un’altra “amatoriale” con forte accento ideologico. Com’era possibile far convivere le due cose?
Le Clup di prima generazione erano legate, nella scrittura e nei contenuti, alle scelte dell’autore. Si trattava spesso di sperimentazione, con l’obiettivo di raggiungere il massimo risultato.
Con il passare del tempo, l’equilibrio tra libro e guida è stato perfezionato. L’autore, tuttavia, ha continuato e continua a scegliere autonomamente il registro, il linguaggio, il punto di vista.
Ora le Clup stanno evolvendo. Come sono cambiate?
Le nuove Clup” proseguono il cammino. Si caratterizzano per una struttura editoriale più sistematica e riconoscibile, per l’investimento negli apparati cartografici e illustrativi, per una grafica completamente nuova, per la cura nelle sezioni “pratiche” e, in prospettiva, per il costante aggiornamento.
C’è possibilità che le nuove Clup diventino importanti non soltanto sul mercato nazionale ma in quello internazionale, che non ha poi così tanti protagonisti?
La risposta è nell’augurio con cui abbiamo aperto questa conversazione. Sul mercato internazionale il modello Clup rappresenterebbe una novità, ed è auspicabile che la forza commerciale di un grande gruppo come De Agostini faccia fare alla collana il grande salto.
Posiamo chiudere dicendo che ora una nuova generazione di “Clup” è in libreria. Chissà se qualcuno avrà voglia di sfogliarle, di leggerle, nello spirito originario: una foto accurata di un luogo, secondo l’angolo visuale di un appassionato.

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