Le valanghe sono infatti imprevedibili. Un terribile boato ed ecco che tutto viene travolto: alberi, massi, esseri umani. E quella che era una splendida passeggiata si trasforma in una tragedia di fronte alla quale l’uomo da solo può limitarsi ad osservare attonito quel manto di neve da cui non giungono grida d’aiuto.
La salvezza spesso ha quattro zampe, un pelo morbido, un muso umido, due occhi dolci, un naso, così detto ”tartufo” dove si nascondono milioni di cellule olfattive che consentono di sentire tracce, percepire odori e avvertire gli umori lasciati dall’adrenalina, per noi umani irraggiungibili. Appena scatta l’allarme entrano infatti in azione le unità cinofile del soccorso alpino i cui cani, con i loro padroni, hanno alle spalle anni di esercitazioni.
Naso nella neve, sin da cuccioli
L’addestramento ha inizio quando gli amici dell’uomo sono cuccioli con appena quarantacinque giorni di vita e viene condotto come un gioco a nascondino sulla neve. Il padrone, cosiddetto conduttore, si nasconde in una buca prima scoperta e poi coperta, profonda cinquanta centimetri; il divertimento consiste nel ritrovarlo scavando festosamente finché il volto amico non riappare.
Poi le esercitazioni si fanno via via più difficili, vengono simulate situazioni di emergenza sempre più complesse, inserendo variabili che rispecchiano quanto più possibile situazioni reali.
I “campi”, che inizialmente avevano solo una o due “buche”, si fanno più impegnativi. Al posto del padrone nella neve, in fondo a un cunicolo, c’è un figurante. E poi bisogna imparare a salire in seggiovia, sul gatto delle nevi, addirittura a calarsi con l’imbracatura dall’elicottero. Il che non è un problema se il padrone ha imparato a proporsi come capo branco, se sa essere coerente e rassicurare il suo compagno che con lui è disposto ad affrontare qualsiasi prova.
I programmi di addestramento prevedono per i cuccioli in “formazione”, ovvero dagli otto ai sedici mesi, due corsi intensivi di dieci giorni all’anno, con campi più o meno facili. In particolare il primo anno è dedicato alla formazione del cane, il secondo all’affinamento della preparazione del conduttore.
Tutti poi, indistintamente, si sottopongono a prove di verifica ogni quindici giorni da quando inizia a nevicare fino a maggio.
Uomo e cane, un’unica entità
Anche il conduttore all’inizio deve seguire corsi specifici di sondaggio e sulle nuove apparecchiature di ricerca, nonché di “nivologia”, ovvero sulla trasformazione della neve, e di rianimazione. Chiunque può partecipare purché abbia esperienze di montagna e di sci d’alpinismo e appartenga da almeno due anni al Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (C.N.S.A.S.) o alle forze armate, oppure a organizzazioni straniere di soccorso alpino.
Appare quindi evidente che il cane non viene più considerato solo un “mezzo”, come avveniva in passato, ma soggetto attivo, parte integrante dell’unità cinofila stessa.
I cani prediletti in genere sono i Pastori Tedeschi perché animali morfologicamente adatti, ben addestrabili e di tale equilibrio da consentire al padrone di commettere i normali errori derivanti dall’inesperienza, senza per questo rimanerne confusi.
Ma anche i Labrador non sono da sottovalutare. Anzi, sono tutti cani che, grazie alla loro taglia e al loro peso, non si affaticano troppo sulla neve e hanno sempre messo in evidenza rapidità, costanza e tenacia sul “lavoro” .