Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Deserto Sahariano. Non solo “sabbia”

Il deserto è un’esperienza unica, entusiasmante. E’ un mondo che affascina, sia di giorno che di notte. Quando il sole picchia feroce, zone d’ombra se ne trovano poche e il riverbero della luce gioca scherzi incredibili

Algeria, dune (Foto:Euzenat, Vintenat)
Algeria, dune (Foto:Euzenat, Vintenat)

Le distanze perdono profondità. Guardando all’orizzonte un rilievo o una catena di monti, sembra di doverci arrivare in breve tempo con il fuoristrada che sgomma veloce sul letto del “wadi” (fiume asciutto). Invece non si arriva mai; il fiume senz’acqua è come una valle larghissima.
Lontano, ai piedi del punto di riferimento scelto, strisce orizzontati azzurre si allungano nel terreno; dapprima tremolanti, quindi sempre più nette.
E’ un miraggio che si materializza sotto gli occhi sino a formare un vastissimo lago sulle cui acque inesistenti si riflettono, capovolte, le cime seghettate delle montagne a disegnare le guglie di una cattedrale.
Anche di notte il deserto è bello, a tratti inquietante. Malgrado il buio (merito del cielo stellato e della luna, quando c’è) è possibile distinguere le “ombre” delle rocce, delle dune e i pallidi chiarori delle tende dell’accampamento, che si muovono appena con la brezza.
Al mattino, le tracce della vita. Le impronte nette lasciate dalle creature del deserto sulla sabbia ancora fredda, sono tantissime. Coleotteri, varani grigi, lucertole, topini saltatori, fennec (le piccole volpi del deserto); qualche sciacallo, cammelli e dromedari in libertà e la gazzella dorcas, vera regina delle grandi distese.
Al momento della colazione, a pretendere la sua con simpatica sfacciataggine, ecco il diffusissimo mula-mula, un uccellino nero dalla testa bianca, amico e portafortuna di ogni viaggiatore sahariano.

Nella terra degli uomini blu

Tamanrasset
Tamanrasset

A poco più di due ore di volo da Algeri, nell’estremo sud del Paese e a ridosso del confine con il Niger, ecco Tamanrasset, che i francesi chiamavano la “douce”, per il clima secco e temperato anche in piena estate, grazie ai suoi mille e quattrocento metri d’altitudine.
Tam, affettuoso abbreviativo usato da locali e forestieri, è situata ai piedi del massiccio montuoso dell’Atakor e deve il suo sviluppo al fatto di essere sempre stata centro di incontro e di scambio per le tribù che vivevano sulle montagne, oltreché crocevia delle varie carovane che trasportavano sale, spezie, sete, armi e per lunghi periodi anche schiavi, diretti questi verso la penisola arabica o verso i porti dell’Atlantico.
Sono circa cinquantamila gli abitanti di Tamanrasset, città sede di “wilaya” (prefettura). Accanto alle costruzioni più moderne, ai vasti viali alberati di tamerici, vi sono interi quartieri caratterizzati dalle tipiche case di colore rossastro, a piano unico su pianta rettangolare.
Sono costruite con mattoni d’argilla cotti al sole e cementati con il fango; molte di queste costruzioni appaiono piacevolmente decorate e non di rado dispongono di piccolissimi spazi verdi con fiori e ortaggi.
Il mercato è il naturale luogo di ritrovo per tutti. Vi si trovano numerosi e bellissimi oggetti d’artigianato (ferro e argento) frutta e verdure coltivate negli appezzamenti di terreno attorno alla città e grandi quantità di datteri, che i locali sostengono essere i migliori in assoluto.

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I “Signori” del Sahara

Tuareg con
Tuareg con “cheche”, il turbante bianco

I Tuareg sono berberi per lingua, caratteri fisici (provengono dalle regioni mediterranee) e abitano stabilmente il Sahara da secoli.
La perfetta conoscenza del territorio, unitamente al controllo dei pozzi d’acqua e la straordinaria mobilità dovuta ai loro “mehari”, i famosi dromedari da corsa, ne hanno fatto per secoli i veri signori e padroni del deserto.
La tradizionale organizzazione sociale dei Tuareg è piuttosto complessa e si articola in gerarchie di tipo feudale, distinguibili anche dal punto di vista etnico.
Al vertice della scala gerarchica si trova l’ “amenokal”, capo delle terre, attorniato dai nobili (imohar) di origine berbera e dai vassalli (imrad). Poi vi sono gli “inaden” (fabbri), gli “iklan” (discendenti dagli antichi schiavi di provenienza sudanese) e gli “haratini”, anch’essi di origine sudanese, ma uomini liberi e coltivatori.
Ciò che affascina nell’incontrare i Tuareg è la bellezza fisica sia degli uomini che delle donne, il portamento e l’abbigliamento elegante e talvolta persino sontuoso. Questo parte dal famoso “cheche”, una sorta di ampio turbante generalmente bianco – ma ne esistono di molti colori: turchese, malva, beige – che avvolge il capo e lascia liberi solo gli occhi; quindi il “taghelmust”, anch’esso turbante, ma impregnato d’indaco naturale che trasmette alla pelle di chi lo indossa il caratteristico colore blu; poi i “sarruel”, ampi pantaloni a sbuffo; la “gandura”, una lunga camicia ricamata e aperta sui fianchi; i “nail”, sandali colorati originari del Niger.

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