Domenica 23 Febbraio 2025 - Anno XXIII

Nubia, l’altra metà del Sudan

La regione a nord di Karthoum è ben diversa dal devastato Darfur. Lungo il Nilo vive un popolo che un tempo ha conquistato l’Egitto dei Faraoni e ha respinto Assiri e Arabi. La costruzione di tre dighe ne minaccia oggi l’orgogliosa autonomia

Case con decorazioni
Case con decorazioni

Che “salam alekum” voglia dire “pace a voi”, lo sanno tutti. Che gli arabi ripetano l’augurio ogni due per tre, è altrettanto noto: tanto che di fatto “salam alekum” è diventato un saluto generico, come da noi “buongiorno”. Ma stupisce sentirselo dire a Nawri da una donna sorridente, davanti a una porta dipinta a fiori, mentre sullo sfondo passa uno stormo di bianchi aironi guardabuoi. Motivo dello stupore: Nawri è un villaggio dell’Alta Nubia, la regione più a nord del Sudan, un Paese che di “salam”, nell’ultimo mezzo secolo, ne ha avuta poca. L’ultima guerra è in atto nel Darfur, regione dell’Ovest. Le immagini in arrivo da laggiù sono atroci: milizie scatenate, paesi bruciati, civili in fuga. Tutto ciò è drammaticamente vero, ma anche la pacifica Nubia è una realtà. Perché stupirsi del contrasto? Il Sudan è vasto nove volte l’Italia: tra Geneina, epicentro della tragedia del Darfur, e Wadi Halfa, porto nubiano sul Nilo, corrono milletrecentocinquanta chilometri in linea d’aria: come tra l’Adriatico e i Paesi Baschi. Nessuno, quando a Bilbao scoppiavano le bombe, si stupiva di vedere tranquilli pescatori a Caorle.

Tra deserto e fiume

Nubiani sulle rive del Nilo da wikimedia commons
Nubiani sulle rive del Nilo da wikimedia commons

Un viaggio alla scoperta dell’altra metà del Sudan, quella dove “salam” non è solo un augurio, parte per forza da Khartoum, arruffata capitale che si affaccia sulla confluenza tra i due bracci principali del Nilo: l’Azzurro, che scende dagli altipiani etiopici e il Bianco, in arrivo dal Lago Vittoria, nel cuore dell’Africa Nera.
Ma presto la città scompare e il fiume anche. A nord di Khartoum, infatti, il Nilo divaga con un percorso a “S” che è ozioso seguire: l’itinerario per la Nubia corre su una strada asfaltata che taglia un deserto piatto e rossastro. Va avanti per mezza giornata, la sabbia rossa: a interromperla ci sono solo i miraggi, che nelle ore più calde dilagano. Poi d’improvviso riappare all’orizzonte una striscia verde: è il corridoio di campi e palmeti che corre lungo il Nilo. Ritroviamo il fiume a El Ghaba, un quieto paesone agricolo dove approda una chiatta che collega le due sponde trasportando di tutto: auto, camion, uomini, asini e cammelli.  La chiamano “ponton”, perché fa le veci di un ponte. Sbarchiamo sull’altra riva quando è già buio e ci accampiamo sotto una duna. Solo il mattino dopo la Nubia si rivela in tutto il suo sobrio ma potente fascino. Poco oltre la nostra duna il Nilo scorre pigramente tra i palmeti; qua e là spuntano villaggi candidi e intorno al nostro campo si stendono le rovine di un’antica città, Old Dongola: un monastero, due chiese, fondamenta di case e soprattutto varie “kubba”, tombe ogivali dove sono sepolti personaggi in odore di santità. Oggi Old Dongola non ha più un abitante, ma i suoi resti narrano una storia gloriosa e poco nota, che a tratti sembra una favola. Eccola.

La Nubia dei re neri
Lungo il Nilo
Lungo il Nilo

C’era una volta, cioè da quindici a sette secoli fa, il Regno di Makuria, un grande Stato cristiano lontano dal resto del mondo, che si spartiva l’Alto Nilo con altri due regni gemelli: Nobatia e Alodia. I suoi abitanti producevano orzo, datteri, oro e tessuti. I suoi re avevano la pelle nera ma portavano nomi ebraici o greci: Zakharias e Moises, Georgios e Basileios. I suoi soldati erano ottimi arcieri, i suoi pittori dipingevano discreti affreschi e i suoi architetti costruivano chiese coperte da maxi-cupole ogivali, simili alle “kubba” che sono giunte fino a noi.  La capitale della Makuria era appunto Old Dongola. Fu lì che nell’anno 652 un re nero, che forse si chiamava Merkurios, ricevette una notizia allarmante: da nord risalivano il Nilo truppe arabe, decise a convertire la Nubia all’Islam “manu militari”, così come già avevano fatto con l’Egitto. Il re invocò l’arcangelo Gabriele, partì coi suoi arcieri e ricacciò gli invasori, impresa che fino ad allora non era mai riuscita a nessuno. Così gli arabi vennero a miti consigli, diventando buoni vicini. E Makuria restò indipendente e cristiana per altri seicentocinquantanni.
Un miracolo? Forse sì; ma a compierlo, più che l’arcangelo Gabriele, fu quella orgogliosa tenacia con cui i Nubiani hanno sempre difeso la loro identità autonoma, fino ai nostri giorni. Certo, oggi intorno a Old Dongola tutti sono musulmani; ma la conversione all’Islam è stata tardiva e non forzata. E ancor oggi quello della Nubia è un Islam dolce, accogliente, che non vieta alle donne di sorridere a uno straniero, né di farsi fotografare sulla porta di casa, né di ricevere i passanti assetati per offrire loro una tazza di carcadè.

“Indizi” rivelatori
La vita nelle strade della Nubia foto Myousry6666 da wikipedia
La vita nelle strade della Nubia foto Myousry6666 da wikipedia

Che la Nubia resti un mondo a sé, anche in tempi di globalizzazione selvaggia, lo si vede da molti indizi. Il primo è appunto l’“Islam dolce” di cui si diceva. Il secondo indizio è la mancanza totale di negozi di souvenir: anche nelle località più frequentate è impossibile trovare persino una cartolina. Il terzo è nei tratti somatici delle donne, scure di pelle ma dai lineamenti fini come principesse francesi. Il quarto è che, mentre in tutto il mondo arabo l’esterno delle case è sobrio e monocolore, qui è spesso variopinto, con decorazioni a fiori. Il quinto indizio ci riguarda da vicino; quando qualcuno ti individua come italiano, non ti abborda subito con le solite facili equivalenze, tipo “Italia-Totti” o “Italia-Buffon”. Caso mai capita (a noi è successo al mercato di Selim) che un venditore di arance ti saluti dicendo: “Italia-Romanoprodi”, con nome e cognome fusi rigorosamente in uno. Lì per lì ci siamo guardati in faccia, chiedendoci se il nostro interlocutore alludesse a un nuovo centravanti; invece si trattava solo di un premier, che col calcio non ha nulla in comune, neanche la presidenza del Milan.
Il sesto indizio è che le case sono costruite come secoli fa, cioè cinte da mura come fortini, nonostante l’ambiente sia pacifico.

Nubia, l’altra metà del Sudan
Villaggio Nubiano foto di Memphis TourQuelle

Le mura non servono a difendersi da (inesistenti) nemici, ma dalla sabbia, che tende a coprire tutto. Fermarla è impossibile, al massimo si può frenarla; così, con gli anni, piccole dune si accumulano contro le mura, poi le superano e invadono i cortili e le costruzioni interne. Quando il ciclo arriva all’epilogo, cioè nel giro di tre-quattro generazioni, la vecchia casa viene abbandonata e se ne costruisce un’altra.

Sotto la sabbia, la “storia”
l sito archeologico di Meroe
l sito archeologico di Meroe

È la condanna della Nubia, la sabbia. Ma è anche il suo archivio, perché quella soffice coperta conserva tutto: basta scavare per trovare città di millenni fa sepolte, che provano come l’autonoma identità nubiana abbia radici ben più antiche dello stesso Regno di Makuria. Tre siti archeologici meritano senz’altro una visita: Kerma, Napata e Meroe. Kerma fino a tremila e cinquecento anni fa era una città così fiorente da suscitare l’invidia dei faraoni egizi. Tanto che proprio un faraone (Tutmosis III, il “Napoleone d’Africa”) la attaccò e la distrusse. Napata invece è il simbolo della rivincita: da lì, sette secoli dopo, i re nubiani partirono alla conquista dell’Egitto e dilagarono fino al Delta, dando vita a una dinastia di faraoni dalla pelle scura (la XX

Nubia I Faraoni neri di Nubian
I Faraoni neri di Nubian

V). Le rovine dell’antica capitale sono sparse sulle due rive del Nilo, intorno all’attuale città di Karima, in vista di un’altura scoscesa detta Jebel Barkal (Montagna Pura) che i “faraoni neri” consideravano sacra: ai suoi piedi ci sono piramidi e vari templi, uno dei quali rivaleggia per dimensioni e imponenza con quello egiziano di Karnak. Meroe, infine, è una sorta di Stalingrado, cioè una città della resistenza a oltranza. Quando, duemila e cinquecento anni fa, gli Assiri invasero l’Egitto e risalirono il Nilo, i Nubiani arretrarono in questa città ben protetta, dove continuarono a vivere da padroni di sé stessi, costruendo altre piramidi e adorando oltre ai vecchi dei egizi un dio-leone tutto loro, Apedemak. Poi Meroe passò la mano a Makuria e Apedemak fu sostituito da Gesù Cristo. Ma in fondo i due culti avevano valenze simili: entrambi erano simboli di autonomia rispetto alle culture circostanti.

Dal Nilo, un “mosaico” di laghi

Nubia Ragazzi nei pressi di Khartoum
Ragazzi nei pressi di Khartoum

Chi vuol vedere la Nubia com’è, deve affrettarsi; presto questo mondo intrigante non sarà più lo stesso. A minacciarlo non è la guerra del Darfur, realtà lontana, ma una serie di dighe che cambieranno la geografia. La prima sarà inaugurata entro l’anno sulla quarta cateratta del Nilo, a monte di Karima. Il suo invaso non sommergerà siti archeologici importanti, ma ha già provocato lo sgombero di decine di villaggi. E il Nilo, con quello sbarramento, non potrà più portare a valle il fertile limo che alimenta l’agricoltura della regione. Non è tutto, perché ad aprile sono iniziati i lavori per un altro sbarramento sulla terza cateratta, verso il confine egiziano e già si parla di un’opera simile a valle di Meroe. Quando il progetto sarà finito, la terra dei faraoni neri diventerà un mosaico di laghi artificiali e i suoi abitanti saranno in gran parte dispersi altrove.  Ne vale la pena? I piani di sviluppo del Sudan, che richiedono molta energia elettrica, dicono di sì. Ma il dio-leone Apedemak e l’arcangelo Gabriele, protettori di questa terra, dissentono. E molti contadini anche.

Darfur, una guerra “conto terzi”
Nubia, l’altra metà del Sudan

Ufficialmente la guerra del Darfur (costata finora forse quattrocentomila morti, un milione di sfollati e duecentomila rifugiati all’estero) iniziò nel 2003 con un paio di attacchi di ribelli autonomisti contro posizioni dell’esercito di Karthoum.  Ma il conflitto ha radici più antiche; da sempre infatti la regione è teatro di rivalità fra etnìe diverse, tutte musulmane: da un lato ci sono contadini di pelle nera (Fur) dall’altro nomadi di sangue arabo (Baggara) che si contendono l’uso del territorio. Insomma, una riedizione dell’eterno scontro fra Caino e Abele, cioè fra agricoltori e allevatori. Ma di recente su queste rivalità locali si sono inseriti altri interessi: i ribelli Fur sono aiutati dal Ciad (filo-americano) i Baggara dal governo sudanese (filo-cinese). In palio ci sono le ricchezze minerarie della zona (petrolio e uranio).
Il conflitto ha assunto connotati più feroci dal 2004, quando sono entrati in scena i Janjaweed (Diavoli a cavallo) miliziani reclutati tra i Baggara, che hanno infierito sui Fur. Un accordo siglato nell’estate 2006 fra il governo e il maggiore gruppo autonomista (SLA) è rimasto sulla carta. Inutile anche l’intervento di settemila  soldati dell’Unione Africana, che l’Onu vorrebbe sostituire con ventimila caschi blu, contro il parere di Khartoum, che considera il Darfur un problema interno.

La Nubia in pratica

Come Arrivare

–  Tra l’Italia e il Sudan non ci sono voli diretti, ma si può andare a Karthoum via Francoforte con Lufthansa (via Larga 3, Milano, telefono 02 58372319, www.lufthansa.it) sia da Roma che da Milano.

Dove Dormire – Il miglior albergo di Khartoum è il Grand Holiday Villa (Nile Avenue, P.O. box 316, telefono 00249 183 774039, www.holidayvillakhartoum.com;) in stile coloniale anglosassone sul Nilo Azzurro. In Nubia gli hotel affidabili sono scarsi: uno dei pochi è la Nubian Rest-House di Karima (telefono 00249 231 820368, www.italtoursudan.com). A Meroe (località Bagarwiya) c’è poi un campo tendato fisso; per il resto bisogna portare tende proprie.

Viaggi organizzati – Leader del turismo italiano in Nubia è l’operatore “I Viaggi di Maurizio Levi” (via Londonio 4, Milano, telefono 02 34934528, www.deserti-viaggilevi.it)

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