“Benvenuto, Sior Goldoni, come state?” – “Un gran bene. E voi, Isabella?” –
“Tiro avanti con queste cianfrusaglie, che la gente chiede sempre meno. Finirò per doverlo chiudere, questo negozio.” – “Non dite così, Isabella. Come potrei fare senza le belle cose che vendete?” Avrebbe dovuto dire “senza di te”, ma Isabella non era una delle signore innamorate – così si dice, chiamando con il nome sbagliato un diverso istinto – del celebre commediografo. Quello che aveva per lei non era un trasporto momentaneo, del genere andante o volgare. Isabella era una passione.
L’antiquaria dal fascino sottile
Il negozio era dietro San Marco e Goldoni per arrivarci doveva fare una deviazione tra casa sua e il teatro. Ogni mattina diceva a sé stesso che avrebbe tirato dritto e quasi sempre le gambe lo portavano contro la sua volontà in Calle degli Specchieri. “Che grosso stupido sono io, che diverto tutta Venezia e non sono nemmeno capace di cambiare strada.” Isabella era ancora giovane, ed era vedova. Aveva un figlio di quasi vent’anni, partorito a quindici, e nessun desiderio rimasto, a parte quello di vedere Carlo. Le rare volte che incrociava il suo sguardo sentiva la sua vita assottigliarsi, rimpicciolita dall’impressione di essere indegna dei suoi occhi. Si sentiva sfiorita, come se l’appannamento interiore cui si era abbandonata negli ultimi anni si vedesse anche da fuori. Non poteva competere con le baronesse curate e giovani, le pallide nobildonne che perdevano ogni giorno la testa per il gentile scrittore, che tanto bello forse non era ma lo sembrava, il talento essendo una virtù capace di modificare i tratti del volto e di patinarne i difetti. Carlo non la vedeva spenta. Si era innamorato un giorno in cui lei indossava un magnifico vestito di broccato rosso con il corpetto piuttosto sliso. Era rimasto incantato da quella donna, che vedeva come l’immagine stessa di Venezia, prorompente nella sua aria consunta, irresistibile nella compita decadenza.
I “richiami” di un piatto d’argento
Carlo comprava da Isabella cose che gli servivano in scena e oggetti per la sua casa. Isabella ogni mattina modificava la posizione di qualche oggetto che giudicava potesse interessare il suo Carlo e lo posizionava sul piatto d’argento in vetrina, dove lui stazionava assorto almeno per cinque minuti prima di entrare, così lei lo poteva osservare in pace senza incrociare il suo sguardo. Lei sapeva che lui era attratto da quel piatto. Senza motivo, perché era un oggetto dozzinale, ma lei lo lustrava con foga ogni giorno e ci appoggiava dentro qualcosa che le pareva bello, non per venderlo, ma perché lui si fermasse. Si arrabbiava quando lui era in ritardo e lei trovava un acquirente per la sua mercanzia prima del suo arrivo, poiché temeva che lui davanti al piatto vuoto avrebbe tirato dritto. A Goldoni piaceva spiare dalla vetrina la sua Isabella, che nell’incavo del piatto d’argento gli appariva morbida e sorridente, come se volesse donarsi a lui, mentre quando lui entrava si mostrava distante, scostante. Anche Venezia era una città scostante, per la quale egli nutriva una bruciante passione, il cui senso coglieva meglio in un pacato riflesso come quello degli edifici sui canali piuttosto che nella visione diretta della loro bellezza. “Mi sono invaghito di ciò che osservo da un vetro in uno specchio infedele. Si può essere più stupidi?”
Le inutili attese di Isabella
Un giorno Goldoni, che stava finendo una commedia della quale era molto soddisfatto – cosa che lo rendeva forte e incline a disamorarsi – prese la grande decisione di non passare da Calle degli Specchieri. A cinquanta metri dal teatro si pentì e tornò sui suoi passi, poi si pentì di nuovo e infine si arrese e andò di corsa da lei, ma a pochi metri dalla meta ebbe un ripensamento e scappò via.
Isabella passò la giornata a cambiare il contenuto del piatto d’argento, come se trovare l’oggetto giusto avesse il potere di portare Carlo da lei. Quel giorno accadde che, ogni volta che metteva un nuovo oggetto, entrava un cliente e lo acquistava. Isabella era indispettita, perché quel giorno pareva in tutto e per tutto volerle significare che quello era il suo posto, e che, riguardo allo scrittore delle sue fantasie, doveva dimenticarselo. Non era ancora metà pomeriggio. Isabella aveva guadagnato abbastanza e perso ogni speranza e così si preparò a tornare a casa. Stava per chiudere, quando le sembrò che il piatto vuoto la chiamasse e allora le venne in mente all’improvviso e per nessuna ragione, un antico – anche se non molto – vetro rosso a forma di cuore che le aveva regalato suo padre, l’antiquario, quando aveva tredici anni. L’anno dopo lui era morto gettandola nella cupezza, lei aveva ereditato l’attività e nascosto quel dono in fondo alla cassaforte del negozio, avvolto in un panno nero. Poi aveva sposato un uomo che non amava e quel cuore di vetro – che infine era il suo – se l’era dimenticato. Fino a quell’istante. Isabella lo andò a prendere nel retro, lo scoprì, lo lustrò per bene, lo posizionò sul piatto e se ne andò, ferita.
Goldoni, un cuore di vetro spezzato
L’ultimo giorno di prove – la sera della prima doveva giungere dopo un giorno di riposo assoluto – era sempre concitato e Goldoni per qualche ora riuscì a distrarsi, ma poi guardò fuori, vide le case riflesse nel canale e il pensiero tornò all’immagine della donna riflessa nel piatto.
Perché ogni angolo di Venezia gli strozzava la gola? Perché il pensiero di Isabella gli strozzava la gola? Perché non era passato al negozio? Le prove generali per lui erano finite e il giorno lo vide seduto in platea a sentir recitare le sue parole, mentre la sua mente guardava il riflesso di Venezia – e di Isabella – nell’acqua del canale. Pensò a un invito e per ore si studiò la frase con la quale accompagnarlo. “Domani c’è la prima del mio nuovo lavoro. Volete venire a vedere la mia commedia? Vi ho tenuto due posti in prima fila, così potete portare chi volete.” Non poteva invitare lei sola, perché era una mossa sconveniente anche a Venezia. Se voleva venire sola, lo doveva decidere lei. Alle cinque Goldoni salutò tutti e uscì, perché lo spettacolo era perfetto e il suo spirito impaziente. C’era il temporale e lui correva al negozio, sentendosi addosso tutta la brillantezza degli edifici e delle strade d’acqua sotto la pioggia. All’inizio della via si impose una sosta. Fradicio com’era non poteva ricomporsi, ma almeno non voleva presentarsi con il fiatone. Più si avvicinava più si incupiva, finché la sua destinazione fu una vetrina spenta. Nel piatto d’argento c’era un cuore di vetro rosso spezzato a metà. Isabella aveva spento le luci, e Venezia piangeva.
In attesa del giorno seguente
Carlo si trascinò fino a casa, dove arrivò zuppo con il suo invito in gola. Si lavò, si cambiò e uscì per andare alla solita trattoria vicino all’Arsenale, ma con la scusa che era presto tornò dall’antiquaria a guardare meglio quel cuore infranto, che era il suo. Sperava che Isabella fosse per qualche sortilegio tornata, ma non c’era. Mangiò poco, raccontandosi che era ansia da debutto e poi uscì a camminare e per ore visitò Venezia, passando e ripassando per vie traverse sempre davanti allo stesso vetro e allo stesso cuore. La situazione non era tragica e certo Isabella la mattina dopo sarebbe stata al solito posto. Ma un amore infelice si plasma entro le forme della tragedia nel momento esatto in cui l’infelicità per sbaglio, o per presa coscienza, lo contamina. Quando uno si dispera, non è che riesce a essere ragionevole e quando si convince che non c’è più tempo, ha come un impedimento a pensare che permanga ancora un solo minuto. Quell’oggetto suggeriva all’istinto di Carlo che quella era la fine, che lei non lo aspettava più. “Ma se lei mi dice che ho spezzato il suo cuore, mi sta anche dicendo che mi ama.” Pensò a un certo punto, cogliendo un’importante ovvietà. Eccolo lì, uno scrittore del suo talento, la notte prima della prima, a speculare sul nulla davanti a un oggetto d’antiquariato nemmeno troppo antico.
L’incontro
Dormì e non dormì, continuando a pensare alla mattina seguente, quando sarebbe andato al negozio. Isabella immaginò tutta la notte complicazioni oscure quanto improbabili, che ingrigivano man mano che passavano le ore. Si alzò distrutta e si preparò senza la solita cura per andare al lavoro. Carlo uscì risoluto e di corsa, perché aveva preso una decisione. Si incrociarono su un ponticello, scarmigliati e in disordine e lui, mentre ancora si avvicinava, le confessò che la amava e lei, prima che lui avesse finito la frase, fece di sì con la testa e si gettò tra le sue braccia (cosa che a Venezia suonava sconveniente, ma non come in altri luoghi). Questa scena Carlo il genio non avrebbe mai considerato di inserirla in una sua opera, ma non si è ogni giorno pari a se stessi.
Un amore a Venezia
Mentre andavano insieme al negozio, si tolsero alcuni dubbi. “Perché ieri non sei passato?” chiese Isabella. “Perché ero stanco di vederti sorridente dentro il piatto d’argento e seria di fronte a me.” “Non volevo perdermi dietro a un genio, perché non so come sono i geni. E poi tutta Venezia sa che stai per andare via.” “Ma io non sono un genio.” disse lui non troppo convinto. “E non lascerò mai Venezia, se tu verrai con me. Perché per me Venezia sei tu.” La spinse contro il muro di un edificio e la baciò con passione, baciando attraverso le labbra di Isabella le fondamenta della città stessa, poiché non esiste uomo che non sia perdutamente innamorato di un luogo. Non li guardava nessuno, sebbene la via fosse affollata, perché un profondo amore a Venezia non appare mai sconcio. “Ho capito tutto quando ieri sera ho visto in vetrina il cuore spezzato.” confessò Carlo. “Il cuore c’è, ma è intero.” disse Isabella. “Rotto a metà, vorrai dire. Guarda.” erano arrivati e lei lo avrebbe visto da sé, lo stato dell’oggetto. “Vedi?” disse lei. “Il cuore è intatto.” Era intatto. “Giuro che non era così.” Forse era stato il riverbero del buio, o quello della sua disperazione, a fargli vedere il cuore diviso a metà. “L’amore ha il potere di creare distorsioni della realtà, la cosa è nota.” disse Goldoni, chiudendo per sempre la questione.
Carlo e Isabella
La prima fu un successo. Quando Carlo Goldoni si trasferì a Parigi, supplicò Isabella di andare con lui, perché non poteva partire senza Venezia. Lei rispose che non se la sentiva, perché Venezia ti ama per sempre, ma ha bisogno che la tua anima resti con lei. Però poi un giorno le arrivò da Parigi una lettera che conteneva due sole frasi: “Senza te ho perso Venezia, e senza Venezia non c’è più ispirazione. Ti aspetto.”
Isabella tenne in mano per ore e ore il cuore di vetro perché la aiutasse a scegliere il suo destino e poi decise di raggiungere Carlo. Raggiante, ripose l’oggetto nel piatto sperando che un po’ della sua anima veneziana si fissasse dentro di esso. Affidò l’attività a suo figlio Marco e gli raccomandò di lasciare il cuore dove si trovava. Lui, che era di spirito romantico, lo lasciò al proprio posto. Ogni volta che spolverava l’oggetto, sospirava.
Jonathan e Isabella
Jonathan era appena uscito da San Marco con gli occhi riempiti dai riflessi dei soffitti d’oro. Metallo a cui credeva di essere abituato, lui che faceva l’ingegnere in una miniera appunto d’oro, ma non c’era niente del genere, nel deserto australiano dove lavorava. Era a Venezia da tre giorni, le aveva scattato centinaia di foto – la fotografia era la sua passione – e già ne era innamorato oltre misura. Fatto incredibile per uno nato e cresciuto a Perth. Prima di partire per l’Europa, si era procurato un attrezzo in grado di depurare l’acqua delle pozzanghere al fine di renderla potabile. Pioveva e, mentre le case gli sembravano innaffiarsi di luce, si sentiva un totale babbeo al pensiero dell’aggeggio puliscipozzanghere che teneva in valigia. La pioggia aumentò e lui si rifugiò in un negozietto, attratto da un piatto d’argento con un cuore di vetro che stava in vetrina.
“Good morning, sir.” disse lei sorridendo. Jonathan guardò la donna vestita di rosso e ne fu trafitto. Rimase per ore a parlare con lei, si dimenticò di mangiare e si convinse che Isabella era la perfetta incarnazione di Venezia. Prese ad andare tutti i giorni nel negozio di anticaglie e, per amore di Venezia e di Isabella, saltò in blocco tutte le altre mete del suo viaggio. Di notte pensava che non voleva partire, ma la sua natura non era quella di un uomo che domina la propria vita e per questi uomini è la vita a decidere. Non potendo trasformare l’eccezione in regola, la vacanza volse al termine.
L’ultimo giorno Isabella, che sapeva che lui sarebbe partito, lo portò in laguna a pescare e gli disse che in quel modo, guardando la città da lontano, avrebbe iniziato a elaborare l’imminente distacco. All’alba lui le disse addio senza svegliarla, scese in strada – lei abitava sopra il negozio – e scattò decine di foto per ricordare le sue ultime ore a Venezia. Lei era sveglia e pianse, lui non tornò più. Appeso di fianco al letto Jonathan, per tutta la vita, tenne un poster che ritraeva la vetrina di un negozio con un cuore di vetro su un piatto d’argento. La luce era quella dell’alba. Il cuore era spezzato.