Due fronti di mare si incontrano a Chesil Beach, nel sud dell\’Inghilterra, senza mai mescolarsi, divisi da una lingua di spiaggia lunga decine di chilometri: da una parte le acque agitate della Manica, dall\’altra le lisce sponde della Fleet Lagoon. Non è un caso che Ian McEwan, lo scrittore inglese autore di “Cortesie per gli ospiti” ed “Espiazione”, per citare solo due dei suoi romanzi più noti, abbia ambientato proprio lì il suo nuovo romanzo “Chesil Beach“, pubblicato in Italia da Einaudi. Quella regione del Dorset, romantica meta tradizionale dei villeggianti inglesi, oggi denominata tra l\’altro “Jurassic Coast” per le sue particolarità geologiche, diventa lo sfondo ideale per la storia di Florence ed Edward, due sposi novelli dei “giurassici” primi anni Sessanta che si accingono a trascorrere in un pittoresco albergo di stile georgiano la loro prima, ma inaspettatamente travagliata, notte di nozze.
C\’è infatti un ostacolo tra loro, che pure sono belli, giovani, pieni di speranze e di amore: e quell\’ostacolo è proprio il sesso. Un terreno che li divide, inesplorato, duro, misterioso: un istmo che risulterà via via sempre più insormontabile alle mareggiate appassionate di Edward e alla passiva-allarmata verginità di Florence, proprio come quello, sassoso, di Chesil Beach.
Peccato che lo sfondo simbolico della spiaggia con i suoi rimandi sottili e segreti rimanga per quasi l\’intero libro fuori dalla camera di Florence ed Edward, che resta il vero teatro del silenzioso e discretissimo scontro: soltanto nel finale, sarà proprio sulla spiaggia di sassi grigi che Edward si fermerà a ricordare, e a comprendere, l\’episodio ormai lontano di quella notte.
Una notte che, da subito, non promette niente di buono per gli sposi, ma aggancia il lettore con progressivi scarti di prospettiva e complicazioni sottili, quasi dei “preliminari” – in senso strettamente sessuale – alla scena clou del rapporto fisico tanto temuto e atteso.
Imprigionati nei vestiti nuziali, costretti a una cena turistico-solenne con triste melone e triste ciliegina infilzata, e con la prospettiva del talamo fatidico infilzata, anche quella, in un angolo sempre più ingombrante della loro visuale, i due sposi si affrontano, finalmente soli dopo la cerimonia, in un duello non meno cerimoniale e quasi completamente muto. Ciò che pensano, però, cioè il fronteggiarsi mareale dei loro diversi, opposti modi di sentire riguardo al corpo e al sesso, riempie il romanzo. Quella di McEwan in questo libro è una narrazione duale, quasi la fotografia, la cartolina, o addirittura la webcam, di una doppia spiaggia di corpi alle prese con il sesso, in un\’epoca “giurassica” in cui la rivoluzione sessuale non è ancora arrivata e il corpo è soggetto, insieme a tutta la vita della coppia, a convenzioni e obblighi formali. E così la vicenda – apparentemente esilissima, certo; eppure l\’amore non è mai esile, per nessuno di noi, e tantomeno per McEwan – è quasi sempre ritratta dall\’esterno, come osservata, riprodotta nei suoi faticosissimi e formalissimi sviluppi, ma all\’improvviso e impercettibilmente inseguita con zoom e ingrandimenti davvero vertiginosi nella mente ora dell\’uno ora dell\’altro protagonista. Un volo continuo dall\’asettica cortesia del sorriso stereotipo che gli sposi non fanno che scambiarsi, fin giù nelle fessure e nei fluidi più impastati e viscidi del corpo maschile e femminile. Un volo in qualche modo incompleto – volutamente, allusivamente e drammaticamente incompleto, come il salire e il ritrarsi della marea – che registra il disgusto crescente della “laguna-Florence” per tutto quello che riguarda mani, sguardi, baci dello sposo, e via via saliva, lingua, nudità, secrezioni corporee, organi sessuali, vagine e peni, carezze, sfregamenti, umidità e penetrazioni, e il parallelo montante eccitamento disperato e schiumante della “mareggiata-Edward” per le stesse, congruenti, corrispondenti, opposte, e alla fine inarrivabili, intimità.