Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Patagonia “rap”

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Utopia, geografia, metafora di “estremo limite”. Nome da “favola” e terra di conquista, di sterminio, di economia che distrugge l’ambiente. La Patagonia non ha nulla di normale ma è vivace e incalzante come un “rap”

Patagonia Il Parco Nazionale dei Ghiacciai
Il Parco Nazionale dei Ghiacciai

La Patagonia non ha nulla di normale ma è vivace e incalzante come un “rap”. Utopia, geografia, metafora di “estremo limite”. Nome da “favola” e terra di conquista, di sterminio, di economia che distrugge l’ambiente.  A partire dal nome che, pare, le è stato dato da Ferdinando Magellano (portoghese, ma al servizio del re di Spagna) nella sua circumnavigazione del globo, nel 1520. Come racconta Antonio Pigafetta, vicentino: “…un dì a l’improvviso vedessemo uno homo, de statura de gigante, che stava nudo ne la riva del porto, balando, cantando e butandose polvere sovra la testa; il capitano generale nominò questi populi Paragoni”. Perché Patagoni? Bisogna sapere che un romanzo spagnolo del 1512, il “Primaleon”, racconta di un gigante, mezzo uomo e mezzo cane, detto “Patagon”. E che i “Tehuelche”, indios di queste terre, indossavano maschere a testa di cane. Per questo Magellano, che forse aveva a bordo il libro appena pubblicato, si fece suggestionare dall’aspetto del tehuelche visto sulla spiaggia.

Patagonia, terra dai molti “cantori”

Patagonia

Può una terra che ha ricevuto un battesimo “letterario” non “restituire letteratura”? No, non può. E infatti la Patagonia è un florilegio di pagine colte. Volete un saggio? Ecco. Charles Darwin (nel suo viaggio con il Beagle, 1835): “Perché queste terre che tutti dicono povere e inutili, perché questi aridi deserti si sono impossessati della mia mente? Le pianure della Patagonia sono illimitate, appena accessibili e perciò sconosciute, danno la sensazione di essere state così per secoli e che lo saranno nel futuro”. Oppure il padre De Agostini: “Foreste sempre vergini di faggi, mirti, cipressi e magnolie di un verde intenso e perenne, fanno stupenda cornice a ghiacciai eterni, che discendono dall’alta montagna in immani pareti di seracchi bianco-azzurri, fino a lambire e precipitare nelle acque”.

Patagonia Gaucho
Gaucho

Fino ai miti recenti, quasi surreali, come Paul Theroux: “Associo la parola Sud alla libertà e non avendo niente da fare, decisi di andare in Patagonia”, e Chatwin: “Se domani il resto del mondo saltasse in aria, in Patagonia sopravviverebbe un sorprendente campionario di nazionalità, tutte andate alla deriva”. E ancora: Neruda e Borges, Antoine de Saint Éxupéry (“Volo di Notte”), Luis Sépulveda (Patagonia Express), Francisco Coloane (“Una vita alla fine del mondo”). Letteratura e mito. Mito duro, come quello delle “estancias” immense, delle pecore importate che sradicano le piante e desertificano il terreno, dei “gauchos” e della ribellione repressa nel sangue. Storie e film, come quello che potrebbe raccontare la storia dei “banditi del nord”, Butch Cassidy, Etta Place e Sundance Kid., che aprono un emporio nella steppa e tutti li considerano pacifici cittadini; poi assaltano il Banco de Londres a Rio Gallegos, che ancora oggi porta come una medaglia la targa: “rapinati da Butch Cassidy”. Che fa venire in mente l’acido aforisma di Bertold Brecht: “Che cos’è una rapina di fronte all’apertura di una banca?”.

Anche la presidente ama El Calafate

Patagonia Lago Argentino
Lago Argentino

Si arriva al El Calafate, aeroporto di una vastissima area. Il volo da Buenos Aires dura circa tre ore e offre un’anteprima della steppa patagonica, con il terreno ondulato, le valli scavate dall’acqua e dal ghiaccio e lo sfondo delle Ande. La cittadina ha un che di frontiera, stemperato però dal recente sviluppo, determinato dal turismo. Sembra, infatti, una stazione montana alpina, come clima shopping-affaristico. Certo, basta svoltare l’angolo – e non in senso metaforico – per ritrovarsi a tu per tu con una natura possente, come nel caso della riserva Laguna Nimez (ci sono sentieri, mirador, guide). Tra cespugli di calafate e vinagrilla (Myriophyllum sp.) stagni ricoperti di canne; ci sono gli uccelli dei luoghi umidi, come beccaccine (Gallinago sp.) piovanello (Calidris fuscicollis) pavoncello (Vanellus chilensis). È insomma, il classico posto “in sviluppo”, dato che l’aeroporto e la politica ne hanno fatto il centro patagonico, come Ushuaia lo è per la Terra del Fuoco. Non per nulla il “past president” e la “presidenta” attuale, Cristina Kirchner, hanno casa qui.

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Case in lamiera “chic”

Patagonia L'Hotel Los Sauces
Hotel Los Sauces

In un posto che strizza l’occhio al turismo ricco ma ha ancora addosso le “paure” del centro di frontiera, definire uno stile è forse un lusso eccessivo. Allora si brancola un po’, cercando di istituzionalizzare la “casa patagonica”, quella della “chapa canalizada”, che sarebbe poi la tolla, la lamiera ondulata che anche da noi si usava per tetti o pareti di fortuna (ma è ancora diffusa, per esempio sulle Alpi francesi o, come ripiego, negli orti urbani del nord). Ne viene fuori uno stile “finto povero” o “povero-povero”, ma con il tocco del colore, che un po’ snatura il “provvisorio” della lamiera. Fino a diventare, nel caso di Los Sauces, un hotel-resort di lusso, che combina legno e lamiera per farne uno stile sobrio ed elegante. Questo è anche il migliore degli hotel locali, con la cucina raffinata di Ramiro Rodriguez Pardo, una serie di attività interessanti e, soprattutto, un’accoglienza amichevole e impeccabile.

La terra dei condor

Patagonia Balcon de el Calafate
Balcon de el Calafate

El Calafate. Curioso il nome e curiosa la storia. Il posto si chiama così per i numerosi cespugli di crespino (Berberis buxifolia) che hanno fiori gialli e bacche dolci, da cui si ricava una marmellata. Si dice che chi mangia le bacche di calafate tornerà in Patagonia. Ma il nome “calafate” ha una sua storia. Fu infatti Magellano a impiegare l’arbusto per calafatare le navi, vale a dire renderle impermeabili con stoppa catramata tra un asse e l’altro. Dall’uso, deriva il nome. Peraltro, gli indios usavano lo stesso arbusto per fare le corde per le “bolas” con cui cacciavano il guanaco (Lama guanicoe). Ma non ci sono solo calafate a El Calafate. La steppa patagonica è stata ornata di pioppi (àlamo) salici (sauce) pini (pino) che si sono ben adattati al clima secco e ai venti gelidi andini.
C’è il Lago Argentino (mille e seicento chilometri quadrati, lungo sessanta chilometri) che condiziona con il suo turchese “invadente”, che poi è il latte glaciale, la polvere in sospensione, frutto dell’erosione dei ghiacciai.
Ci sono le montagne parallele al lago: la Pampa Alta, la Sierra Cuncuna, con il Cerro Redondo e il Cerro Moyano. L’escursione in 4×4 della Mil Outdoor è qualcosa da fare assolutamente. Si sale sulla sierra, tra formazioni rocciose del cretaceo (ottantacinque milioni di anni fa) spettacolari, tra valli e torrenti, tra voli di condor e il lago sempre presente. Si visitano i Balcon, la linea di cresta che dà a strapiombo sul Calafate, il Labirinto de Piedras, la Piedra Los Sombreros, vallette nivali in cui la steppa assume un intenso colore bruciato, si scollina lungo pietraie. Un percorso di tre-quattro ore meraviglioso, per i panorami e le sensazioni che sa dare e che mostra la maestria degli autisti-guide, in condizioni di terreno davvero impervio. Va da sé che la sosta con grigliata è un momento centrale.

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“Estancias”, dalle pecore al turismo nella “natura”

Patagonia Pecore
Pecore

Un’altra cosa da non mancare è la visita a una estancia. È una tenuta della Patagonia di grandi dimensioni, un vero latifondo, introdotto dagli inglesi per aumentare i terreni per produrre lana, nel 1884; un modello poi seguito da altri europei, data la disponibilità enorme di terre e la redditività della lana. I risultati sono però stati catastrofici: le pecore, a lungo andare, hanno desertificato la steppa, e la “via della lana” è passata per altri indirizzi. Oggi si può vedere quel che rimane (la produzione è ancora attiva) e, soprattutto, uno spaccato di vita d’altri tempi, che il Canale di Panama e le fibre artificiali hanno portato via. L’Estancia Anita (sessantamila ettari) è una delle più grandi e offre la possibilità di vedere come si lavorava e lavora con le pecore; dal lavoro dei cani e dei gauchos a cavallo al lavoro di tosatura. La casa offre alcune camere, un ristorante (provare l’asado) e alcuni servizi, birdwatching, osservazione di fiori e piante, percorsi in mountain bike e, soprattutto, splendide passeggiate a cavallo. Quest’ultima, se appena ve la sentite, è un’esperienza da fare. La dimensione sterminata del paesaggio, intatto, la bellezza struggente delle valli con le Ande innevate come sfondo, la sensazione di libertà del cavallo, sono tutte cose indimenticabili.

Perito Moreno, il re dei ghiacciai

Il grande ghiacciaio Perito Moreno
Il grande ghiacciaio Perito Moreno

Una storia ci introduce al ghiaccio. Francisco Moreno (1852-1919) ha avuto una vita avventurosa. Da Buenos Aires parte per esplorare il sud, scopre laghi e fiumi, percorre le Ande, fino a quando viene catturato dai Tehuelche e destinato all’esecuzione. Riesce a fuggire su una zattera e continua le sue esplorazioni, fino a El Chalten, la magnifica montagna di fianco al Cerro Torre, che ribattezza Fitz Roy, come il capitano del Beagle di Darwin. Cerca anche di arrivare al ghiacciaio che oggi porta il suo nome, camminando lungo il lago che lui ha chiamato “Argentino”, ma non ci riesce.
Tornato nella capitale, diventa il negoziatore con il Cile per definire i confini andini dei due stati. Lo nominano “perito”, titolo che sta per “esperto”. E con questo nome, Perito Moreno, viene chiamato il grande ghiacciaio, quello che lui non ha mai visto. Ma voi potete vederlo, eccome. E una delle icone della Patagonia a settantotto chilometri dal Calafate; un’enorme cascata di ghiaccio che si getta nel turchese del Lago Argentino. Detta così, però, non rende l’idea. Diciamo allora che si tratta di una massa alta cinquanta-settanta metri (più centotrentasette metri sott’acqua, al massimo) e larga quattro chilometri. Ed è solo il fronte. Il ghiacciaio è lungo trenta chilometri, con una superficie di duecentocinquantasette chilometri, alimentato dal Hielo Continental (bisogna pronunciarlo all’argentina, con un’enfasi che fa venire brividi di freddo) terza calotta glaciale della Terra e quindi terza riserva d’acqua dolce del pianeta. Un ghiacciaio che avanza, alla velocità di un metro e settanta centimetri al giorno sulla linea centrale, maggiormente in primavera e nel pomeriggio.

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Lame di ghiaccio nel lago Argentino

 Lingua di ghiaccio del Perito Moreno
Lingua di ghiaccio del Perito Moreno

E’ un ghiacciaio con il botto, visto che, oltre al “normale’ distacco di piccoli-medi iceberg dal fronte e nel lago, c’è un fenomeno particolare. Basta andare al Mirador, riserva naturale Peninsula de Magallanes, sul promontorio che divide il Canal de los Tempanos e il Brazo Rico del Lago Argentino, per rendersene conto. La roccia del promontorio costringe il ghiaccio che avanza ad accumularsi, facendo da diga tra i due bracci del lago. In questo modo, il Brazo Rico, privo di sbocchi, vede crescere il livello dell’acqua fino a trenta metri. A un certo punto, però, la pressione dell’acqua è tale che la diga di ghiaccio si rompe con grande fragore, fino all’avanzamento successivo del fronte glaciale. Questo ciclo diga-rottura non è regolare, può succedere due volte in un anno o una volta ogni dieci anni. Ma si può dire ancora meglio. Basta imbarcarsi alla Baia de los Sombres su un comodo battello per il “safari” nautico al ghiacciaio. Si scivola lungo un fiordo verdissimo, per arrivare lentamente alla barriera di ghiaccio. I sessanta-settanta metri di pinnacoli sono impressionanti, visti da sotto e regalano continue filiazioni, blocchi più o meno grandi che discretamente scivolano in acqua immergendosi per qualche secondo e riaffiorando, oppure vere e proprie costole ghiacciate, che cadono nel turchese con rumore. Uno spettacolo impressionante, di una bellezza unica.

Il Parco Nazionale del freddo

 Fronte del ghiacciaio Perito Moreno nel Lago Argentino
Fronte del ghiacciaio Perito Moreno nel Lago Argentino

Ma anche il trek sul ghiacciaio offre spunti niente male. Si può scegliere la durata del percorso, ma  lo spettacolo è assicurato. Si parte dal bosco “magallanico”, che sarebbe l’associazione vegetale tipica delle zone magellaniche (le terre di Magellano, Magallanes in spagnolo) e che ha come alberi principali la “lenga” (Nothofagus pumilio) e la “leña dura” (Maytenus magellanica) con il loro verde intenso. Accostare alberi vivi e ghiaccio è come parlare di vita e di morte e quindi impressiona. Poi si mettono i ramponi e si sale sul ghiaccio, che si dimostra mutevole, in forma, tessuto, colore. Pozze d’acqua cristallina, fenditure a coltello che sprofondano nel blu cobalto, crepacci, dossi, pareti verticali, pinnacoli, avallamenti. Un modo per scoprire cosa c’è nel “congelatore”. E ce ne sono tanti altri di ghiacciai, inseriti nel Parco Nazionale dei Ghiacciai (1927, trecentocinquantasei ghiacciai, seicentomila ettari, Patrimonio dell’Umanità Unesco). Come l’Uppsala, il più grande del Sudamerica, novecento chilometri quadrati, con un fronte lungo dieci chilometri e con pinnacoli di ottanta metri. O il Viedma, il Marconi, l’Onelli, lo Spegazzini. Ma, forse, il Moreno rappresenta il “classico”. Lo spettacolo perfetto della forza “congelata” della natura. Come dice Borges: “osservarlo, è vederlo sempre per la prima volta…”.

Notizie utili

Patagonia Argentina: www.patagonia-argentina.com

Mil Outdoor, Avenida Libertador 1029, El Calafate – www.miloutdoor.com

Hielo y Aventura, Avenida Libertador 395, El Calafate. Safari nautico alle 10 e alle 16, trek sul ghiacciaio da una a sette ore – www.hieloyaventura.com

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