In questo libro l’autore, Marco Pastonesi, giornalista sportivo, racconta di una corsa pazza: 1270 km e mezzo di ciclismo equatoriale in Burkina Faso. Un cronista che ha scelto di fare l’inviato per una corsa che di inviati ne ha pochissimi.
A Pastonesi è riuscita una operazione difficile. Ha fatto come raccomandavano i capi cronisti nei giornali di un tempo. Per raccontare e descrivere le cose bisogna esserci. Bisogna consumare le suole delle scarpe. Poi basta avere occhi, testa, un blocchetto per gli appunti, e non escludere il cuore.
La corsa più pazza del mondo sono pagine di diario. Colori, volti e storie di un ciclismo vero, lontano dal doping e ricco di umanità.
Centotto corridori di diciotto squadre, di quindici Paesi e di tre continenti. Unidi tappe in dodici giorni, milleduecentosettanta chilometri e mezzo, di cui sessantacinque su piste rosse di terra battuta. È il Tour du Faso, il Giro del Burkina Faso.
Partenza alle otto del mattino per dribblare il muro dei 35 gradi di giorno e gli eserciti di zanzare di sera. Tattiche zero. Ma è un grande spettacolo.
Ciclismo, ciclismo equatoriale, ma non solo ciclismo. Soprattutto storie di vita. Come quella di Djibril Hassane, diciannove anni, nigeriano, studente, che corre da due anni. Prima del Tour du Faso ha rotto la bici, allora ha ricevuto in prestito quella del suo allenatore, che però è più alto di una spanna, ma il problema è quando tornerà a casa: “Chi mi darà una bici per allenarmi?”.
Quella di Jérémie Ouedraogo Rabaki, nono di dieci figli, un’ottantina di vittorie, è considerato il Fausto Coppi del Burkina Faso: ha due bici una daq corsa e una da allenamento. Quando si rompono se le aggiusta da solo, anche in gara.
O come quella di Herman Beysens, cinquantasei anni, direttore sportivo di una squadra belga: un giorno un amico gli chiese se volesse andare al Tour du Faso, lui pensò alle malattie e ai serpenti, “hai cinque minuti per decidere” gli intimò l\’amico, lui rispose sì e appena messo piede in Africa, capì che era casa sua e adesso, ogni anno, da dieci anni, fa costruire sei pozzi d\’acqua.
In Africa c’è il ciclismo “altro” che non è l’altro ciclismo, come scrive Gianni Mura nella prefazione. “Il ciclismo altro per noi è quello delle foto in bianco e nero, quello che non abbiamo visto e vissuto…”. In Africa è qualcosa di eroico. Divise improvvisate, penuria di tubolari, mangiare e dormire dove capita, strade sterrate… Queste sono le storie e i sentimenti che Marco Pastonesi trasmette raccontando della corsa nel paese Burkina Faso che significa “terra delle persone integre”.