La verità dei fatti e le verità sepolte nel fondo dell\’anima sono la nuova indagine condotta da Bacci Pagano il detective creato da Bruno Morchio per i suoi romanzi. Un personaggio assolutamente riconoscibile per la sua umanità semplice e al tempo stesso complicato e pieno di ironia.
In Le cose che non ti ho detto il detective Bacci Pagano è un uomo che detesta le ipocrisie del potere ma anche il ricatto dei buoni sentimenti. Non sa dire di no alla richiesta di Mara Sabelli psicologa e psicoterapeuta infantile, una delle donne della sua vita, ma deve tenere a bada le inquietudini del dottor Nicolò Ingroia, detto il Gigante, lo psicoanalista che vive sulle alture che sovrastano Genova Nervi.
Bacci avrebbe avuto più di un motivo per rifiutare l’incarico: non è il suo mestiere occuparsi di un alcolizzato che ha tentato il suicidio; e poi il Gigante l’aveva già incontrato vent’anni prima, quando indagava sulla morte di un suo giovane paziente, Andrea Garbi, misteriosamente ucciso in Thailandia.
Così Bacci si trova quasi prigioniero in quella villa fatiscente. Intrappolato dalle ossessioni del dottor Ingroia e dalle brusche attenzioni di sua moglie Carolina, e tormentato dal ricordo di un’indagine che non è riuscito a concludere.
Tra memoria e presente, dall’Estremo Oriente ai carruggi della città vecchia, Bacci Pagano deve mettere alla prova tutta la sua tenacia, in una vicenda in cui all’odio e alla disperazione si oppongono l’intelligenza e la ragione, alla ricerca di una verità elusa e sepolta.
Le cose che non ti ho detto è un romanzo raffinato e avvincente, dove il thriller è sostenuto da una acutissima tensione psicologica. Nei serrati duelli verbali tra Bacci e il Gigante, l’investigatore «analfabeta dei sentimenti» e lo psicanalista allo sbando, spesso uno sguardo e un silenzio – o magari una citazione di Proust – contano più delle parole.
Bruno Morchio conferma il suo talento di narratore in grado di dare voce a una città irripetibile, dove si sfiorano e s’intrecciano di continuo mondi diversi: dall’alta borghesia chiusa nel suo orgoglio alla casbah di immigrati e prostitute, passando per la memoria di una metropoli industriale che non c’è più.
(Pi. Ricc.)