L’ultimo romanzo di Paola Mastrocola, Più lontano della luna è avvincente come i precedenti. Il racconto è ambientato negli anni Settanta, a Stupinigi, dintorni di Torino. Siamo in piena contestazione studentesca. C\’è grande fermento tra i giovani il mondo della scuola e del lavoro. Lidia, una ragazza di quindici anni, ha un padre operaio alla Fiat, orgoglioso del suo lavoro, e una madre che vende frutta e verdura. I suoi genitori pensano solo a vederla sposata e lei sembra non accorgersi di ciò che la circonda. Smette di andare a scuola per aiutare la madre al banco di frutta e verdura al mercato. Un giorno, mentre la sua vita si dipana sempre uguale, appare nel tinello di casa sua un elegante venditore di enciclopedie… la sua vita improvvisamente cambia. Lidia si mette in testa di diventare un trovatore, di fare come quegli antichi poeti provenzali che amavano donne lontane, mai viste, forse mai esistite. Abbagliata da quell’idea, che accende e innalza la sua vita di ragazza solitaria e ingenuamente diversa, scappa di casa, ma non per fare politica come tutti quelli che ha intorno, ma per cercare l’amore da lontano. Per il suo bizzarro amore della lontananza, Lidia attraverserà mezza Italia (quasi come un antico cavaliere…), commetterà errori sentimentali piccoli e grandi, si infilerà in vicende a volte mediocri, a volte sublimi. Fino a che, alle soglie della maturità, incontrerà il sogno che, forse, non sapeva di avere.
“Mi coprii il viso con le mani e scappai di là… Ero furente. Quando tornai in tinello, avevo addosso il cappotto di lana spessa, la sciarpa, gli stivali:
«Addio, vado a fare il trovatore!» dissi.
Mi uscì così, di colpo. Una semplice frase. Ma la parola trovatore era pesante, cadde con un tonfo sordo nell’aria opaca del tinello. Opaca perché in cucina cuoceva un minestrone, emanando nuvole stagnanti di vapore. Fu come un masso che si stacca all’improvviso dalla cima. Nessuno capì.
A ripensarci adesso, era improbabile che capissero. Cosa ne sapevano della parola trovatore una verduraia, un operaio Fiat con cavallo e un’impiegata delle Assicurazioni in pensione? Era una parola che suonava straniera e fuori tempo. Sembrava venire da una cantina sottoterra, o da una prigione di millenni fa con le catene e gli scheletri attaccati. Sapeva di marcio e di muffa. Trovatore… Se in quegli anni un giovane se ne andava di casa, era per fare l’hippy o darsi alla politica, combattere la società borghese e cambiare il mondo. Non per andare a fare il trovatore.”