«Milano era una volta una città dura, ma anche affettuosa, ironica, partecipe. L’imperatrice Maria Teresa aveva lasciato il segno di una buona amministrazione che fu recepita nei secoli; il socialismo umanitario primonovecentesco, nutrito da una borghesia avanzata, aveva dato vita a modelli comunitari d’avanguardia, si era preoccupato del futuro dei giovani aprendo scuole d’arti e mestieri, aveva capito l’importanza di costruire case popolari nel centro della città, aveva caldeggiato la nascita di villaggi operai e fondato associazioni di mutuo soccorso. Memorie stridenti in un tempo di degrado civile e di restaurazione politica. Milano, ora, è una città incattivita, priva di umani abbandoni, che ha cancellato anche il suo linguaggio e ha nascosto chissà dove il suo antico spirito solidale.»
La città degli untori che ha come sottotitolo “Alla ricerca dell’anima e del cuore di una metropoli”, è un intenso saggio su Milano.
L’autore, Corrado Stajano, dà voce al protagonista che in forma di narrazione si aggira sgomento per le strade della sua città che vorrebbe amare, che nella sua storia è stata anche amabile, ma che nell’oggi sembra solo respingere. In questo peregrinare più da fuggiasco che da flâneur la realtà contemporanea dischiude il suo passato e Milano diventa il centro concreto e insieme emblematico di un cupo trascorrer di tempi.
La città lucente di acque magnificata da Bonvesin de la Riva si trasforma nella «città degli untori» e dalla peste rimane contagiata per sempre: dalle stanze di tortura per Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza alle stanze di Villa Triste, dove i fascisti infierivano sui loro prigionieri, facendone spettacolo per la coppia Valenti-Ferida, un susseguirsi ininterrotto di oscene violenze connota la storia di Milano fino a Piazza Fontana e agli anni del terrorismo e dei servizi segreti infedeli.
Alla violenza si accompagnano poi la decadenza della borghesia, parallela alla drammatica e quasi repentina fine della classe operaia, il tramonto del cattolicesimo democratico, che pure a Milano aveva radici profonde fin dagli anni del modernismo, e – nuova peste – la corruzione. Qui nasce il fascismo, qui gli ideali storici del socialismo si barattano per cupidigia, qui trovano terreno grasso il prevaricante populismo berlusconiano e l’assordante grettezza leghista.
Allora la peste, nella sua realtà storica (quella raccontata dal Manzoni nei Promessi sposi) e nella sua valenza simbolica di morbo morale, che avvelena la vita delle persone e delle cose, diventa la chiave di lettura che attraverso stratificazioni storiche e metamorfosi di costume può cogliere una lunga durata di vergogna e sofferenza.