Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Bogotà. Oro e Conquistadores

Stiamo per entrare nel mitico mondo dell’Eldorado. Una storia fatta di ardimento e sofferenze, che dal XVI secolo ha coinvolto generazioni di amerindi, di soldatacci conquistadores, arrivati da una Spagna da poco unificata sulla quale “non tramontava mai il sole”

Bogotà, quartiere della Candelaria (Foto: Samara Croci)
Bogotà, quartiere della Candelaria (Foto: Samara Croci)

Eldorado o El Dorado, più completamente “El principe Dorado”, la leggenda dell’Uomo d’Oro scatenante quella esecranda fame del prezioso metallo che diede inizio alla “Leyenda Negra”, l’incubo di tanti sovrani spagnoli, da Filippo II in poi. E per Eldorado si faceva riferimento al “Cacique” (capo) principe delle tribù “Indigenas”, che periodicamente – in occasione di semine e raccolti – cosparsosi il corpo di miele vi spargeva polvere d’oro, dopodiché, giunto su una “balsa” (zattera) al centro di una laguna e gettativi oggetti d’oro e smeraldi a mo’ di offerta, si immergeva affinché la preziosa polvere andasse a depositarsi sul fondo.

Bacatà e Guatavita, lagune d’oro

Guatavita (Foto: Samara Croci)
Guatavita (Foto: Samara Croci)

Ma dove mai trovare questo Eldorado? Le voci, i si dice, si riferivano a una zona quanto mai vasta e vaga, spaziante dal Perù (tuttora esiste il detto italiano “vale un Perù”) alla Colombia, nella parte settentrionale del sud America che i Conquistadores raggiungevano dal Caribe (i Caraibi) sbarcando a Cartagena o nell’istmo di Panamà. Fin quando, con ovvia approssimazione, una delle tante, possibili mete di questa frenetica caccia al tesoro fu localizzata in una laguna non distante da Bacatà, un villaggio degli indigeni Muisca (chiamati anche Chibcha, dal nome della loro lingua). E datosi che dietro a ogni mito o leggenda si nasconde sempre un filino, un minimo di realtà, i si dice corrispondevano al vero. Una laguna del tesoro esisteva davvero ed era quella di Guatavita (le cui ricchezze contenute, non risultarono però così enormi, come attestarono le ricerche già iniziate con scavi e canalizzazioni nel XVI secolo e culminate nel prosciugamento avvenuto nel 1911).

Capitale d’altura

Una veduta della città colombiana
Una veduta della città colombiana

Adagiata su una verde, fertile pianura (la Sabana, in spagnolo “lenzuolo”) incastonata a 2.600 metri di altitudine tra le Ande centrali e quelle orientali (costituenti un punto di orientamento per chi visita la città) Bogotà non crea grossi problemi di ambientamento a chi proviene dalla “piatta” Europa (più di ottomila chilometri di distanza, quasi dieci ore di volo da Madrid). D’altro canto, come in tutte le zone tropicali in cui gli europei decisero di trasferirsi, la vita risulterebbe difficile a quote superiori (da queste parti culminanti con il vulcano Nevado del Ruiz, 5.380 metri, a poco più di cento chilometri da Bogotà) per problemi di temperatura e di respirazione e ancor più ardua a quote inferiori per il caldo umido e le conseguenti malattie.

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E parimenti ad altre metropoli del centrosud America, Bogotà incuriosisce chi la sorvola durante l’atterraggio: la quasi totale prevalenza di case basse circondanti il centro cittadino denso di grattacieli, crea infatti una zona abitata talmente vasta da far pensare che là sotto convivano ben più dei pur tanti otto milioni dichiarati da guide e stampati turistici.

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