Martedì 19 Marzo 2024 - Anno XXII

Islanda, miracolo di acqua e di fuoco

Islanda

Un giornalista, ingegnere, amante della buona tavola esplora l’Islanda, terra densa di contraddizioni dove fredde lagune di ghiaccio convivono con le ceneri di vulcani più vitali che mai

Islanda, miracolo di acqua e di fuoco

Gianni Brugo, nato a Gattinara (Vercelli) nel 1954 ed lì residente, si è laureato in Ingegneria elettrotecnica al politecnico di Torino nel 1978. Dopo anni di attività in varie industrie, ha iniziato la libera professione che attualmente lo vede impegnato nella ABC Engineering s.r.l. della quale è amministratore.
Brugo alterna il lavoro di ingegnere con due hobby: la cucina e il giornalismo. Ha conseguito la qualifica di cuoco alla scuola alberghiera di Gattinara nel 2007 e scrive come corrispondente sul giornale “La Sesia”.

Una terra in mezzo all’oceano

Scogliere nella penisola dello Snaefell
Scogliere nella penisola dello Snaefell

Verde smeraldo dei prati, nero delle grandi spiagge di basalto al di sotto di imponenti scogliere, bianco dei ghiacciai che scendono a valle fino a entrare nel mare; giallo e rosso delle montagne brulle ricoperte da sali di zolfo e ferro che escono dal cuore della terra assieme a imponenti getti di vapore.
Questi i paesaggi che l’Islanda, terra selvaggia ai confini del mondo, offre ai fortunati turisti che vi approdano nei mesi di giugno e luglio, periodo nel quale la notte sparisce dall’isola. Gli abitanti, circa trecentoventimila in totale, vivono per la metà nella capitale Reykjavik e per il resto su di una superficie grande un terzo dell’Italia. Gente del nord che discende dai Vichinghi; gente cordiale e riservata, abituata a convivere con un ambiente estremo, che rappresenta la loro ricchezza consentendo la pesca e l’allevamento di cavalli, pecore e bovini.

Laguna glaciale
Laguna glaciale

Durante il giro dell’isola, che dura una decina di giorni, si dorme nelle fattorie. Gli agricoltori si sono attrezzati per ospitare i turisti in gradevoli casette costruite nelle vicinanze delle loro residenze; qualcuno viene apposta per cavalcare i docili cavalli presenti in quantità. E entrando nelle case degli Islandesi si impara subito una cosa: le scarpe vanno tolte e lasciate nell’apposita stanza attigua alla porta di ingresso. Dentro la casa si sta a piedi scalzi o in pantofole; gli Islandesi sono rigorosi su questo punto. In compenso sono gentili e preparano splendide colazioni: aringhe affumicate, aringhe in agrodolce, salumi, formaggi saporiti, pomodori, cetrioli, pani con semi, corn flakes, marmellate fatte in casa, yogurt, burro, malto. È sempre presente la bottiglietta dell’olio di fegato di merluzzo da utilizzare come ricostituente; come se ce ne fosse bisogno, dopo una colazione del genere. Il caffè, lungo ma di ottimo gusto, può essere consumato nella quantità desiderata. Questa abitudine è praticata anche nei bar: si paga il costo del caffè poi ci si serve e se qualcuno vuole prenderne più tazze non vi è alcun problema.
Dopo una colazione islandese si può vivere una giornata intensa senza bisogno di nutrirsi fino a sera e le cose da fare e da vedere sono varie: “whale watching”, avvistamento delle balene al nord, partendo dal porto di Husavick. A noi è andata male: quattro ore di navigazione e una sola balenottera minore avvistata. Comunque la giornata di sole con il freddo vento proveniente dal polo e un mare davvero blu, hanno reso interessante l’escursione. Al sud non è da perdere la visita alla laguna glaciale di Jökursárlón, formata da una delle lingue dell’enorme ghiacciaio del Vatnajökull.

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Pulcinelle di mare
Pulcinelle di mare

Il tipico tour prevede di percorrere la strada “numero 1” che costeggia l’isola. Su tale itinerario, si viene subito colpiti dall’enorme numero di uccelli che popolano la costa nutrendosi di pesci e crostacei disponibili in uno dei mari più pescosi del mondo. Proprio in uno di questi splendidi luoghi, nella penisola dello Snaefell, camminando su di un prato verdissimo che finisce su una scogliera a picco sul mare, sono stato attaccato da uno stormo di sterne artiche. Ero in compagnia di mia moglie Paola; avevamo da poco scattato fotografie ad una colonia di gabbiani che hanno trasformato le splendide scogliere basaltiche nella loro casa e stavamo tornando verso la Rav 4 , presa a noleggio. I nostri compagni di viaggio, Raffaele e Adriana, erano ritornati a prenderla e ci stavano venendo incontro per accorciare il nostro percorso. Peccato che fra noi e loro, sul prato che circonda una fattoria, questi volatili avessero costruito i loro nidi. Prima grida stridule e ampie volute in aria, poi sempre più uccelli sopra di noi, grida assordanti, poi sono iniziate le picchiate e il bombardamento con i loro escrementi. Paola, che teme i pennuti, era pietrificata. Fortunatamente il cavalletto della macchina fotografica di notevoli dimensioni agitato sopra le nostre teste ha evitato il peggio. Siamo scappati a gambe levate uscendo dal loro territorio e l’attacco è terminato. Ho capito a cosa servono quei buffi copricapi muniti di lunghi spuntoni, osservati sulle teste di abitanti del luogo chini sui prati, intenti a raccogliere uova.

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