Viaggio alle Faroer. Isole alla fine del mondo. L’aereo della Atlantic Airways procede seguendo una rotta tracciata a memoria. Dall’alto si intravedono le isole che spuntano con le loro alture dalla coltre di nebbia spessa. La mia vicina di sedile avverte: “a volte l’atterraggio è un po’ brusco”. Le nuvole scosse dal vento che avvolgono la terra non lasciano infatti presagire nulla di buono. Il mare è una superficie color ghiaccio, appena increspata dalle onde. Tra le nuvole spuntano di tanto in tanto le sagome brulle delle isole, diciotto in tutto, alcune delle quali disabitate.
Gli scossoni al velivolo sono decisi. Le correnti fanno quello che vogliono del quadrimotore della Atlantic. Quando infine le ruote iniziano a rullare sulla pista tutti si lasciano andare al più classico degli applausi in stile “italiani a Ibiza”. Un rito simile si credeva appannaggio unicamente dei vacanzieri. Al contrario ogni volta che si tocca terra alle Faroer anche i rudi isolani locali, rotti a tutte le tempeste dell’Atlantico, tirano un sospiro di sollievo. Questo è l’universo che ha accolto tempo fa i nostri baldi campioni del mondo, quando hanno calcato il palcoscenico del minuscolo stadio di Torshavn.
Faroer isole “seghettate” dal mare
Nella piccola sala degli arrivi regna un’atmosfera familiare: siamo pronti per vedere questo arcipelago del nord. Meno di mille e quattrocento chilometri quadrati di superficie, ma più di mille chilometri di costa; diciotto le isole in totale, vicine l’una all’altra, separate da fiordi stretti ma profondi centinaia di metri; la distanza dal mare che, anche nei luoghi più interni, non supera mai i cinque chilometri. Le Faroer sono davvero un piccolo paese.
Il primo aspetto che sorprende riguarda le abitazioni. Anche gli edifici governativi, che sorgono sulla piccola penisola di Tinganes al centro del porto di Torshavn, hanno il caratteristico tetto coperto d’erba. Si tratta di un’usanza che risale ai vichinghi, primi colonizzatori delle isole. Quando arrivarono dalla Norvegia, non trovando alberi, per coprire le case in pietra utilizzarono le chiglie delle navi a guisa di tetti. E sopra le chiglie, strati e strati di manto erboso, forse il solo materiale abbondante da queste parti. I sobborghi della piccola capitale Torshavn, esercitano una grande attrazione sulla popolazione delle altre isole, così che la paciosa cittadina di qualche anno fa è rapidamente cresciuta da quindici a ventimila mila abitanti: una crescita esponenziale, se si considerano i numeri della popolazione totale.
Una mini-capitale per un minuscolo paese
Torshavn è una delle più piccole capitali al mondo. Una cittadina in miniatura che ruota attorno al suo porto e dove non manca nulla. Deve il suo nome alla divinità nordica Thor e significa appunto il “porto di Thor”. Attorno alla banchina, gli antichi magazzini delle merci sono dipinti di fresco con tinte brillanti. Lo stile e l’atmosfera che si respira è quello della tipica cittadina di pescatori del nord.
Le case in legno hanno i tetti acuti, abbaini e balconi ovunque. Da alcuni anni qui hanno iniziato a coprire i tetti delle case con tegole e lamiera dai colori decisi, ma molte delle case che compongono il nucleo storico di Torshavn, alle spalle dei magazzini e della cattedrale, sono ancora coperti di erba e strati di corteccia di betulla. Verso sera, anche durante il fine settimana, non c’è in giro quasi nessuno e i versi degli uccelli marini risuonano nell’aria insieme al tintinnio del sartiame delle barche all’ancora nel porto. Tra le case ci sono gli unici alberi delle isole, troppo ventose per tutto quanto supera l’altezza dei cespugli.
Danimarca mamma. Islanda sorella. Norvegia un po’ meno
La campana della chiesa batte il quarto d’ora e i fiori sono ovunque: alle finestre, nelle piccole aiuole di fronte alle case, a fianco delle quali non manca mai la tipica, piccola costruzione in legno per l’essiccazione del pesce e della carne di pecora. E’ strana questa capitale che non ha ambasciate, a parte quella islandese, paese vicino e fratello che apprezza tutto delle isole Faroe, anche la musica delle star locali. La Norvegia, il prepotente vicino che si sente padrone dell’Atlantico del nord, ha qui solo una sede consolare.
Nel centro della città c’è il parlamento locale, quello che i faeroesi amano definire il più piccolo parlamento al mondo con i suoi soli trentadue membri. E la politica è un’attività molto seguita, che genera grandi passioni: i sostenitori si dividono tra conservatori e socialisti, con una nutrita propensione comune ai due schieramenti, a favore dell’indipendenza del paese dalla Danimarca. Non mancano i contestatori, i disillusi dai trucchi del potere, tanto che alle ultime elezioni si è presentato un “Funny Party”, capace di guadagnarsi più di settecento voti, insufficienti (per fortuna, come dicono alcuni) a guadagnare almeno un seggio al parlamento.
Faroer, una vita a contatto col mare
Ma al di fuori della piccola capitale è la natura selvatica che detta legge. Per esempio, se intendete guidare alle isole Faroer state molto attenti, specialmente in primavera, stagione di nuove nascite nel mondo delle pecore.
Queste ultime infatti sono le vere proprietarie di queste terre; sono sacre, proprio come le mucche in India. E investire agnelli e pecore è un crimine sempre e comunque perché qui la pecora ha sempre ragione.
Tiørnuvik primo insediamento di coloni vichinghi
Tiørnuvik
fu il primo insediamento dei coloni vichinghi. John Eysturoy, la mia guida, è un profondo conoscitore del suo paese e profondamente lo ama. Mi racconta che spesso con sua moglie visitano i luoghi più suggestivi delle isole e Tiørnuvik è uno dei suoi preferiti; si fermano lungo la falesia, con un thermos di tè, del pane e magari del pesce secco e lì rimangono per ore respirando l’aria del mare; osservano i leoni marini nelle loro evoluzioni per inseguire i pesci tra le rocce.
Il luogo è di quelli che restano nell’anima: una profonda insenatura che termina in una spiaggia sabbiosa, un fiume che si getta tra le onde, alle spalle una vallata dolce e ampi spazi di terreno pianeggiante: i vichinghi avevano visto giusto, quello doveva essere il “posto” dove vivere.
Sulle isole si vive di pesca ma anche il turismo negli ultimi anni ha cominciato a diventare una voce significativa del bilancio nazionale. Non si parla di grandi numeri, ma trenta-quarantamila turisti all’anno, in grande misura provenienti dalla Danimarca e dagli altri paesi del nord, sono pur sempre un inizio. La stagione va da giugno alla fine di agosto, ma anche maggio e settembre possono essere mesi buoni e quando anche il tempo regge possono riservare fantastiche sorprese.
Calcio, vera passione degli isolani
Anche se pare strano, il calcio è una delle passioni nazionali. Gli isolani hanno una Super League dove militano dieci squadre; il campionato inizia ad aprile, finisce in ottobre e non esiste un solo campo di vera erba; da queste parti non funziona e mantenerla in buono stato sarebbe un’impresa, visto il tempo inclemente.
Quindi tutti a giocare sull’erba sintetica, quella che quando entri in tackle su un giocatore gli lasci segni sulle gambe, quasi gli capitasse di cadere in moto in costume da bagno. Solo in occasione della partita con l’Italia hanno fatto arrivare i rotoli del manto tradizionale dalla Danimarca. Hanno perso 2 a 1 contro gli Azzurri: ed è stato l’evento dell’anno per la giovane Federazione delle Faroer, dato che fanno parte della UEFA dal 1990 e della FIFA dal 1988.
Di strada sportiva, nel loro piccolo, ne hanno fatta parecchia. A una delle prime uscite internazionali hanno battuto l’Austria 1 a 0 e ancora qui tutti se lo ricordano. Contro gli azzurri hanno fatto una grande figura, non hanno subito troppi gol e il sogno segreto di riuscire a farne almeno uno si è realizzato. L’avvenimento entrerà senza dubbio a far parte della galleria dei ricordi da raccontare ai nipoti negli anni a venire, nelle fredde giornate invernali. Così come quella volta che hanno battuto i rivali scozzesi. Oppure quando nel 2003 hanno perso in casa solo 2 a 0 contro la grande Germania e nel ritorno, a casa loro, sono riusciti a addirittura a fare un gol per il 2 a 1 finale.
La vita non è mai stata facile nelle isole Faroer. Da Queste parti sono in perenne lotta contro la furia degli elementi, venti che spazzano la roccia, pioggia quasi tutti i giorni dell’anno e mare in tempesta tutto intorno: gli isolani sono rotti a tutto. E in fondo un match con i campioni del mondo non è una sfida impossibile per chi è capace di vivere in mezzo all’Atlantico.
Notizie utili
Informazioni:www.visit-faroeislands.com, www.visitdenmark.itCome arrivare:
dall’Italia si vola con SAS (www.flysas.it) su Copenhagen e poi in connessione si prosegue per le Isole Faroer con Atlantic Airways (www.atlantic.fo) fino all’aeroporto di Vagar.
Dove dormire:
Hotel Tórshavn, Tórsgøta 4, www.hoteltorshavn.fo, di fronte al porto e appena ristrutturato.
Gjargaardur, Villaggio di Gjogv, isola di Eysturoy, tel. 00298.423171; B&B www.gjargaardur.fo
Dove mangiare: nella zona del porto si trovano numerosi ristoranti dove si serve cucina internazionale.
Glitnir, www.glitnir.org; Hvonn Brasserie, www.hvonn.fo.
Per degustare i piatti della cucina locale, come la carne e il grasso di balena affumicati, oppure la coscia di pecora seccata al vento, si deve andare al ristorante Glasstovan dell’Hotel Føroyar, www.hotelforoyar.com a Tórshavn.
Acquisti: per oggetti in lana tessuti a mano l’indirizzo giusto è Sirri, in centro a Tórshavn, www.sirri.fo
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