Domenica 24 Novembre 2024 - Anno XXII

La regola del Samurai

Samurai I Samurai della Collezione Koellinker nell'allestimento al Palazzo Fortuny dell'architetto Daniela Ferretti (Photo: Giovanna Dal Magro© Mondointasca

“Bushido” ovvero la via del guerriero fatta di onore, eroico coraggio, gentile cortesia e compassione. Dopo Milano, arriva in laguna, nelle sale di Palazzo Fortuny, la mostra che svela le gesta dei temerari guerrieri del periodo Edo. Terrificanti maschere, armature e Katana ancora affilate

Samurai Suji-bachi kabuto a 24 piastre firmato Joshuju Saotome Ieharu
Suji-bachi kabuto a 24 piastre firmato Joshuju Saotome Ieharu

C’è tempo fino al 18 luglio per visitare Palazzo Fortuny, a Venezia, e le sue tre mostre: “Francesco Candeloro, Città delle Città”, al piano terra; “Mariano Fortuny, la seta e il velluto”, al primo piano; “Samurai”, al secondo livello del palazzo. Noi ci soffermeremo su quest’ultima, l’affascinante mostra dedicata ai Samurai, resa ancora più suggestiva dal contrasto tra i pezzi esposti sullo sfondo di pareti in muratura, quasi nude, o che risaltano sul pannello rosso nell’allestimento curato dall’architetto Daniela Ferretti: la rassegna era già stata allestita un anno fa al Palazzo Reale di Milano, presentando opere della collezione Koelliker e delle Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco. Si tratta di una grande collezione privata costituita dall’industriale, cultore e mecenate Luigi Koelliker nella sua casa-museo di Milano che comprende anche quadri, statue, maioliche, tessuti, strumenti musicali e scientifici. Il nucleo di arte giapponese è incentrato soprattutto sulle decine di armature complete da Samurai ed è secondo solo alla raccolta del Museo Stibbert di Firenze.

I tesori svelati della “Collezione Koelliker”

Samurai Le armature in mostra che risaltano sul pannello rosso nell'allestimento di Daniela Ferretti
Le armature in mostra che risaltano sul pannello rosso nell’allestimento di Daniela Ferretti

È un’esperienza sorprendente ammirare queste fiere testimonianze dell’antica casta militare giapponese a Venezia, ambientate in modo suggestivo al Museo Fortuny e nella città dove è conservata, al Museo d’Arte Orientale, la collezione dei molti e pregevoli pezzi rimasti che un altro grande collezionista, il principe Enrico di Borbone, raccolse con la moglie Adelgonda nel viaggio in Oriente del 1889: erano ben trentamila pezzi, due terzi dei quali giapponesi. La collezione subì spostamenti e riduzioni, ma è esposta all’ultimo piano del Museo Correr. La collezione Kolliker, ora dunque visibile a Venezia, non è dettata da una sistematica volontà di rappresentare epoche, scuole, stili. È invece dettata dalle emozioni che ogni pezzo ha saputo dare al collezionista – e oggi a noi – e si contiene nel periodo Edo (1603-1867). Sono le armature cosiddette “moderne”, sorprendenti per la presentazione di equipaggiamenti completi, stupefacenti, oltre che per l’alta qualità, per le strane forme degli elmi (Kawari Kabuto).

Armature, elmi, armi

Samurai Montature con lacca e fornimenti in shakudo (lega di rame e oro). Periodo Muromachi
Montature con lacca e fornimenti in shakudo (lega di rame e oro). Periodo Muromachi

Le armature (Yoroi) dei Samurai erano meno pesanti di quelle dei cavalieri occidentali, costruite con materiali più leggeri, ma proteggevano in misura non meno efficace e permettevano maggiore capacità di movimento. Erano inoltre segno di appartenenza a un clan. Altro simbolo di nobiltà (Mon) era portato sull’elmo e sugli stendardi. In grande considerazione erano tenuti i produttori di armature e i fabbri che producevano le famose lame dei Katana. Le armature più complete proteggevano la testa (Kabuto), le spalle (Sode), le braccia (Kote), il busto (Do), il ventre (Kuzazuri), le gambe (Haidate), i piedi (Suneate). La componente che ci stupisce di più, nelle armature, sono le terrificanti maschere (Mempo) che i Samurai usavano per proteggere il volto, per reggere l’elmo, per atterrire e spiazzare il nemico, il quale doveva credere di avere di fronte un animale feroce, un demone, una donna, un vecchio. Il guerriero che le portava non poteva però permettersi di muovere la bocca e le labbra. L’elmo, quasi sempre in ferro, presenta le forme più stravaganti e aveva un’apertura che permetteva al Dio della guerra di entrare e di aiutare il combattente. Maschere ed elmo erano pezzi unici che distinguevano il Samurai dagli altri combattenti. L’effetto spaventoso che possiamo constatare nelle armature esposte, era spesso aumentato da lunghi mantelli che ingigantivano la figura.

Le “regole” dei Samurai dalla culla alla tomba

Samurai A sinistra il suji-bachi kabuto a 22 piastre attribuito a Myochin Munemasa, a destra un'armatura della seconda metà del periodo Edo in pelle bollita e modellata
A sinistra il suji-bachi kabuto a 22 piastre attribuito a Myochin Munemasa, a destra un’armatura della seconda metà del periodo Edo in pelle bollita e modellata

I principi fondamentali del Samurai erano: Onestà e Giustizia, Eroico Coraggio (che non teme la morte), la Compassione, la Gentile Cortesia, la Completa Sincerità, l’Onore, il Dovere e la Lealtà. Questo codice del Samurai era chiamato “Bushido”, ossia la via del guerriero. La spada lunga (Katana) è l’arma del Samurai; l’acciaio della lama conteneva le virtù sopracitate ed era ritenuta un vero e proprio oggetto di culto. Enorme attenzione era rivolta a costruirla e poi a maneggiarla. L’allenamento fisico era legato al tirocinio spirituale: spada e Confucianesimo, forza fisica e religione erano inscindibili. Il debito di fedeltà (Giri) al proprio signore seguiva il futuro guerriero dalla culla alla tomba e riassumeva il disprezzo per i beni materiali e per la paura, il rifiuto del dolore e soprattutto della morte.

Il rito del Seppuku, più noto come Harakiri

Samurai Kabuto o elmo giapponese, parte integrante dell'armatura dei samurai
Kabuto o elmo giapponese, parte integrante dell’armatura dei samurai

Il codice etico del Samurai, o Bushido ispirò dall’VIII secolo fino al 1868 queste straordinarie figure di guerrieri, capaci, se necessario, di darsi la morte. Le spade erano due: la lunga (Katana) e la corta (Wakizashi); la prima per colpire il nemico, la seconda per togliersi la vita, trafiggendosi il ventre, perché si credeva che l’anima fosse collocata nelle viscere. Questo rito si chiamava Seppuku, volgarmente detto Harakiri.Fino al XX secolo, toccare una spada senza precauzione, cioè senza curare che il fiato non contaminasse la lucentezza e purezza della lama, era condannabile errore. (14/05/10)

Le foto dell’articolo sono di Giovanna Dal Magro

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