Boschi e ghiande in quantità: animale super
Completati i suesposti identikit suini, le due anime del jamòn spagnolo si deprezzano o si sublimano dipendentemente dall’habitat e dall’alimentazione. Un prosciutto ‘serrano’ (termine che affascina il turista italiano in un bodegòn spagnolo, e lo appaga nel pronunciarlo) altro non è che un maiale, di ambo le patas, allevato e nutrito in montagna: niente di eccelso, quindi, ma almeno una buona garanzia che non si tratta del solito pollo cresciuto in batteria al caldo della pianura. Habitat, quindi: si dice che per dare un ottimo jamòn il maiale debba disporre di almeno un ettaro di collina ove grufolare in grazia di dio (ovvio che tale benefit spetti soltanto al più nobile e ripagante pata negra). E soprattutto alimentazione naturale: segnatamente la ghianda (bellota) una vera e propria ambrosia per il quadrupede più disprezzato ma altrettanto degustato nel mondo (quantomeno cristiano, escludendosi, ahinoi – e non sanno cosa si perdono – islamici e israeliti). Un pata negra esclusivamente ‘de bellota’ – quella della quercia (encina) dà un sapore più dolce al jamòn, mentre quella del sughero (alcornoque) lo rende un filino più amaro – per un gastronomo spagnolo rappresenta una sintesi di Mecca, Nirvana e Shangri Là del palato. Meno entusiasmante, quindi meno costoso, un pata negra alimentato con bellota e ‘recebo’, mangime. Siam comunque e sempre al top del gastronomico piacere.
Tra le capitali spagnole del prosciutto
Quanto alle doc, Jabugo – anonima e incolore cittadina Andalusa – è considerata la capitale prosciuttesca spagnola, sinonimo geografico di prelibatezza, ancorché la maggioranza dei maiali pata negra provenga dalla vicina, georgica Estremadura (che ‘esporta’ anche a nord, a Guijuelo, nella provincia di Salamanca, altro noto toponimo del pata negra). Altra zona votata al prosciutto, ma solo di pata blanca, la granadina Alpujarra, sotto la Sierra Nevada con vista sul Mediterraneo: la fresca e secca aria a oltre mille metri di altitudine, rende prelibata una produzione di tutto rispetto.
A titolo di curiosità, il prosciutto alpujarreno di Trevelez è figlio di un’immigrazione: cacciati i ‘moriscos’ (già poco inclini, come tutti i bravi musulmani, a mangiar porco) che si erano rifugiati nelle impervie valli dopo la conquista di Granada da parte dei Re Cattolici, i successori di Filippo II pensarono bene di ripopolare l’Alpujarra con genti basche che si portarono appresso orde di porcelli.
Qui giunti, al lettore non resta che raccogliere i risparmi, volare in Spagna e ‘ir de tapas’ (girare bar e bodegas degustando assaggi). Richiesta qualche fetta di ‘pata negra de bellota’ (rigorosamente tagliata a coltello, me racumandi) potrà anche ritrovarsi meno ricco. Ma avrà appreso che anche il più peccaminoso palato può assaporare una sinfonia.
Ahinoi non immortale.
(04/11/10)