Tra tante polemiche se festeggiare o no l’unità d’Italia (eppoi se fare il “ponte” o no) si è dimenticato di spiegare (o quantomeno se ne è parlato poco) come maturò l’unità e chi partecipò alla sua realizzazione. Unica eccezione, tra i rari personaggi ricordati (in effetti gli attuali Savoia, ‘Fili’ in testa, poco invogliano a tirar fuori dal cassetto i loro antenati) Lui, il Peppino Garibaldi.
Un personaggio, come tutti quelli importanti, amato e vituperato, al punto che recentemente alcuni giovinotti padani o ultras della Serenissima ne hanno bruciato l’effigie all’uscita da una balèra.
Sempre a proposito delle vicende garibaldine (e di riflesso della storia risorgimentale) non è stato dovutamente evidenziato che il Nizzardo sconfisse Borboni e Austriaci dopo essersi ‘fatto le ossa’, leggasi che ‘imparò a guerreggiare’ (e che ossa! sennò mica l’avrebbero chiamato l’Eroe dei Due Mondi!) nel sud America. Più esattamente in Brasile e Uruguay. E mentre del Brasile tutti ormai sappiamo tutto (Ronaldinho, Cesare Battisti, Tanga, Carnaval, Caipirinha e a Milano c’è pure chi indica col dito la casa che abitò Kakà), dell’Uruguay qualcosa ci sfugge. Meglio dedicargli due righe.
Un confine (oggi) duty-free
Le vicende vissute da Garibaldi nel sud America hanno dell’incredibile. Si tratta di una epopea durata sette anni nell’Uruguay e preceduta da un quinquennio in Brasile: fatti d’arme e passioni, coraggio e romantiche gesta, fra le quali la tenera e coinvolgente ‘love story’ con Anita.
Giuseppe Garibaldi, e come i locali sappiano bravamente affrontare sfacchinanti trasferte in pullman, sono stati i prevalenti argomenti venuti alla mente durante le 27 ore di un mio recente viaggio no stop tra Florianopolis e Montevideo (a Chuy, cittadina di confine e immenso Duty Free dall’istituzione di una zona franca, trasbordo dal più sciccoso autobus ‘brasileiro’ su un più spartano vettore ‘uruguayo’).
Peppino: Capitano di terra, di fiume e di mare
Pensieri giustificati, quelli dedicati all’Eroe dei due mondi, perché proprio in questa area del sud America, lungo l’itinerario che sto percorrendo, il condottiero dei Mille compì imprese leggendarie.
Vicende tanto importanti e valorose da potersi affermare che, grazie alle esperienze acquisite in queste ‘terras gaùchas’, tra la Sicilia e le Alpi organizzò spedizioni e vinse scontri che culminarono nell’Unità d’Italia.
Un valoroso non solo in due mondi, il Nizzardo, ma anche multiforme, perché le sue vittorie si compirono per terra (tra scontri campali e arditi colpi di mano da Commando) e per mare (fu corsaro di fronte alle coste dell’Atlantico, ufficiale della marina uruguaiana sul Rio de la Plata e nei fiumi che lo generano).
Infine, come se non fossero bastate le sue sole gesta, nella vicenda vissuta tra Brasile e Uruguay da questo Libertador di stampo sudamericano, casualmente nato a Nizza, si inserisce il non meno eroico mito di Anita.
Garibaldi, le avventure giovanili
Quando nel novembre del 1835 sbarcò a Rio de Janeiro dal brigantino francese “Nautonnier”, salpato in agosto da Marsiglia, il ventottenne generale poteva già vantare solide conoscenze marittime. Infatti aveva navigato nelle acque tunisine, nel Mar Nero e vissuto a lungo sul Bosforo nella cosmopolita Costantinopoli.
Inoltre aveva alle spoalle pericolosi trascorsi politici (fuggiva da una condanna a morte inflittagli dal tribunale militare di Genova per aver partecipato a un fallito moto ispirato dal “solito” Mazzini (lui sì ‘chiacchierabile’, mai una volta, a differenza del nostro Peppino, che rischiò, sapeva solo comandare “Armiamoci e partite”).
Uruguay, con profonde radici italiane
Per i pignoli l’esatto nome è Republica Oriental del Uruguay, possiede meno di tre milioni e mezzo di abitanti su un territorio poco più grande di metà del Belpaese.
Turisticamente parlando non costituisce, ma è ingiusto perché un salto lo merita, una destinazione molto visitata.
I motivi? Le modeste dimensioni ma soprattutto (per la famosa e impietosa legge dell’Ubi Maior Minor Cessat la posizione geografica che vede il Paese ‘schiacciato’ (eccettuate le coste dell’Atlantico) tra Brasile e Argentina.
E oppresso dai due colossi del sud America, l’Uruguay lo è stato anche storicamente, oltre che geograficamente: nel ‘700 fu disputato tra l’impero spagnolo e quello portoghese per divenire il boccone più ghiotto di Brasile e Argentina dopo la loro indipendenza (unica immensa vittoria, sul Brasile, il Mondiale di Calcio 1950, gol di Ghiggia, Maracanà ammutolito, alcuni suicidi).
Andrebbe però rivolta più attenzione, alla Republica Oriental, soprattutto da parte degli italiani per due validi motivi: le già lodate vicende dell’eroe dei due Mondi e la massiccia emigrazione dal Belpaese (l’elenco telefonico di una località uruguayana contiene una sensibile maggioranza di cognomi nostrani). Una emigrazione iniziata già ai primi dell’Ottocento, inizialmente composta da una èlite di gente del mare e commercianti, soprattutto liguri – definiti sardi perché da poco assimilati al regno di Sardegna – attirati dal notevole sviluppo di Montevideo, porto tra i più indaffarati del sud America.
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