Ricchezze e commerci, anche di schiavi
La ‘Ciudad’ (titolo concesso nel 1574) visse il ‘600 come un vero e proprio “Siglo de Oro”. Le navi partivano da Cadice a fine marzo e approdavano a fine giugno scaricando ogni sorta di mercanzia (a Cartagena il Don Chisciotte fu letto nello stesso anno, 1605, in cui fu pubblicato in Spagna). Tra il 1604 e il 1640 furono vendute 35.000 ‘licenze di schiavitù, ma in realtà gli arrivi raggiunsero i 140.000 (il contrabbando collegato alla Tratta non era inferiore a quello dei tesori). Mediamente un abitante possedeva almeno 7 schiavi, i più ricchi fino a 25.
Tanto ben di dio corse seri pericoli nel giugno del 1620 con l’ennesimo attacco di non meglio identificati Fratelli della Costa (tra gli indiziati il tremendo Henry Morgan e François Nau, il sanguinario Olonese).
Prima che finisse il secolo (1697) riecco apparire la bandiera nera con teschio e tibie sulle navi di una potente flotta francese pagata da Louis XIV e comandata da un nobile, Jean Bernard de Desjeans barone de Pointis: 10 galeoni con 80 cannoni, eppoi 6 fregate, 4 corvette, 4 brigantini, 2 pontoni e 5 barche , 9.000 gli uomini trasportati. Per i Cartageneros si trattò di un altro disastro, con il vincitore sgradito ospite in città (vi trascorse un mese) a incassare riscatti e depredare opere d’arte da chiese, palazzi e conventi. Dovevano trascorrere soltanto 13 anni e Jean Baptiste Ducasse, dal Re Sole convertito da filibustiere in ufficiale, comandò un’altra ‘force de frappe’ arrecante le solite, tragiche devastazioni.
Fine dei pirati e del colonialismo
A inizio ‘700 in Europa cambiarono le intese ma a Cartagena cambiò soltanto la nazionalità del predone di turno. Con Francia e Spagna alleate il nemico divenne l’Inghilterra, che affidò le operazioni nei Caraibi al viceammiraglio Edward Vernon. Con il risultato che nel marzo del 1741 la città ricevette la visita di 21 navi da guerra, 170 da trasporto con 15.000 uomini, cui si aggiunsero 9.000 ‘marines’ e 2.000 ‘macheteros’ negri. L’assedio durò quasi un anno ma almeno stavolta – grazie al tosto eroismo di don Blas de Lezo y Olivarrieta, ricordato con un marziale monumento – si risolse con la sconfitta di Vernon.
Era il 5 aprile 1742, una data importante per Cartagena de Indias: dopo quasi 2 secoli, pirati, corsari, filibustieri e bucanieri finivano di costituire un costante, incombente pericolo. E una settantina d’anni dopo, oltretutto meritandosi il già menzionato appellativo di ‘Heroica’, la città si liberò dello status di colonia spagnola entrando a far parte della Grande Colombia. Chi oggi passeggia sui baluardi, sale sulle rampe dei castelli, si aggira tra i forti e le mura (9,5 kilometri degli 11,5 che costituirono il perimetro difensivo) può rendersi conto degli immani lavori compiuti dagli abitanti per la sopravvivenza. E’ lungo l’elenco delle difese approntate nei secoli, tante e sparse su tutta la baia: i forti del Boqueròn e di San Matias, XVI secolo; quelli di Santa Cruz, di Manzanillo, di San Fernando, di San Luis de Bocachica, i baluardi di Media Luna e del Reducto, il castello di San Felipe de Barajas, XVII; i forti di San Josè e di Santa Barbara, XVIII. Una rete di manufatti resa necessaria dalla morfologia del territorio sul quale don Pedro de Heredia fondò l’’asentamiento’, un’isolata lingua di terra separante il mare da una baia ricca di isole e lagune (Ciènegas), luogo ideale per allestirvi un porto sempre che fosse adeguatamente protetto. L’assenza di coste frastagliate e di rilievi (se si eccettua l’esigua altura de La Popa) costringeva pertanto i Cartageneros a costruire una ragnatela di ostacoli in cui imbrigliare visitatori non graditi.